Da mille anni un Papa non proclamava beato il Papa che l’aveva preceduto. Processo aperto prima dei 5 anni dalla morte formalmente previsti per indagare sulla santità. Ma il vuoto lasciato da Giovanni Paolo II era insopportabile nella Chiesa ferita da una crisi di credibilità: necessità di richiamare la speranza impallidita dagli scandali di sacerdoti e monsignori che indignano i fedeli; richiamarla attorno alla figura di un pontefice carismatico, attento alla quotidianità della gente che ne adorava semplicità e messaggio profetico. La notizia di un miracolo ha permesso di accorciare i tempi. Bisogna dire che la rivelazione di un intervento sovrumano è solo uno dei motivi contemplati dal tribunale dei santi. Per la Chiesa santo è la persona alla quale si riconoscono virtù eccezionali; esempio da seguire. Era successo per Teresa di Calcutta. Due mesi dopo la scomparsa, trascurando le voci dei prodigi, proprio Giovanni Paolo II confermava il processo di beatificazione. Prima della piccola donna vissuta fra i disperati, il beato più rapido della storia (se così si può dire) era José Maria Escriva de Balaguer, predicatore che incensava il franchismo e fondatore dell’Opus Dei. Ultimo respiro nel 1975: sette anni dopo, sugli altari. “Raccomandato da consorterie potenti”, l’amarezza dei teologi discordi. Più raccomandato di Pio XII il quale se ne va nell’ottobre 1958. Nel 2001 il cardinale Ratzinger (prefetto della Congregazione della Fede) dà il via al processo ma passano 8 anni prima della firma che ne decreta le “virtù eroiche” scontentando le comunità ebraiche: quel silenzio sulle deportazioni nei campi della morte.
Resta fra noi mortali il vescovo Romero ucciso sull’altare in Salvador nel 1980: difendere i contadini affamati non lo ha reso popolare in Vaticano. Lo hanno colpito sull’altare come Tomas Becket, arcivescovo di Cantembury 750 anni prima. Il poema che gli dedica Eliot (“Assassinio nella Cattedrale”) appare per avvicinare nel tempo il sacrificio di chi resiste ai poteri violenti quando fascismo e nazismo avvelenano l’Europa. Adesso è l’America di Romero. Nel 1997 arrivano a Roma le conclusioni della chiesa salvadoregna: aveva aperto il processo con qualche difficoltà. Difficoltà che continuano. Certi vescovi, certi cardinali non si arrendono: il Romero beato diventa la sconfitta di una vita dedicata ad emarginarlo. Facile negli anni in cui Wojtyla pensava alla chiesa del silenzio della sua Polonia. Un religioso ucciso a Varsavia diventa l’eroe che conquista l’altare, ma i preti, le suore e i gesuiti massacrati in Salvador dalla dottrina Reagan, annebbiano il disegno americano dell’aiutare Solidarnosc a liberarsi da Mosca. Ricordo la solitudine di Romero: non riusciva a far sapere al Papa quali tragedie insanguinavano l’innocenza dei fedeli. Nunzio apostolico Kadar reticente; burocrazia vaticana blindata. Finalmente incontra Giovanni Paolo col suo pacco di carte che raccontano di sacerdoti uccisi perché “comunisti”. “Metta via”, Wojtyla ha forse paura di sfogliarle. Eppure la visita cambia il Papa. Con la Polonia democratica lo sguardo si allarga al mondo così detto libero e infelice. Alla fine del ‘900 annuncia solennemente i nomi dei martiri della fede. A sorpresa c’è anche Romero. Non è la sorpresa dei credenti; è la sorpresa dei compilatori dell’elenco degli esempi da amare. Ancora una volta se ne erano dimenticati: Giovanni Paolo rimedia all’ultimo momento. E il cardinale Ratzinger richiama il vescovo Pedro Casaldaliga: la sua diocesi è la più larga del mondo nel Brasile dello Xingu. La sua cattedrale sembra una chiesa di campagna. All’ingresso espone un ritratto di Romero “santo delle Americhe”. Ratzinger ordina di farlo sparire. E il vescovo torna sconsolato fra le miserie: “Povero Romero, Roma continua a detestarlo. Chissà perché”.
Maurizio Chierici il Fatto Quotidiano 18 gennaio 2011
vedi: Wojtyla. La palude dei beati lontana dai mortali
Romero. Il coraggio di un vescovo 31 anni dopo
L'ARCIVESCOVO DEVE MORIRE. Oscar Romero e il suo popolo