Diamo un voto all’Economist? Il settimanale inglese ha pubblicato in copertina, e già ne abbiamo dato notizia, l’immagine di Silvio Berlusconi, e una scritta choc che cosi lo de­finisce: “l’uomo che ha fottuto un intero paese”. Se­guono un editoriale e un supplemento, tutto dedica­to all’Italia. Pare che qualcuno, all’aeroporto di Fiu­micino, abbia esitato prima di consentire l’ingresso di una pubblicazione così esplosiva. Ma non siamo una repubblica africana: prima o dopo la rivista non pote­va non arrivare in edicola, e i giornalai I’hanno gioio­samente messa in mostra, sperando di venderla bene. Nell’aprile del 2001, l’Economist ci aveva messo in guardia: quest’uomo, aveva scritto anche allora in copertina, non ha le carte in regola per governare l’Italia. Ma gli italiani votarono per lui,e per lui hanno continuato a votare fino ai nostri giorni. Hanno accettato le leggi ad personam, le invettive contro i giudici, le Ruby e le barzellette.

Adesso l’era berlusconiana vol­ge al termine, si comincia a tirare le somme. Tira le somme anche un giornalista dell’Economist che con alcuni collaboratori ha trascorso un mese fra noi, ha letto libri e articoli, ha parlato con vari personaggi e con gente comune, infine ha scritto il testo di un sup­plemento che merita di essere letto. Il tono, lungi dall’essere malevolo, rivela una simpatia di fondo. Ma quella copertina non lascia dubbi: Berlusconi ha fot­tuto l’Italia. Vero o falso? Diamo un voto all’Economist, dunque. E anticipo subito la mia conclusione. Il suo giudizio sull’era di Berlusconi è fondato, lo sottoscrivo senza esitare: a mio parere i colleghi del settimanale inglese enume­rano con precisione gli errori e gli orrori del perso­naggio. Ma a loro sfugge il suo aspetto più grave, co­me dirò fra poco. Vediamo però, innanzi tutto, l’atto di accusa. A carico del nostro presidente del Consiglio l’editoriale di apertura cita i festini, i bunga bunga, che poco si addicono a un capo di governo in genere, e specie a un uomo della sua età. Cita le leggi fatte su mi­sura per proteggerlo dai processi, i conflitti di interes­se: tutti addebiti che conosciamo fin troppo bene. Ma l’Economist ritiene che la colpa più grave sia la totale indifferenza del personaggio per le condizioni eco­nomiche dell’Italia. Il governo, forte di una maggio­ranza senza precedenti, avrebbe dovuto varare alcu­ne fondamentali riforme, necessarie per dare slancio all’economia. Non lo ha fatto. Sicché il paese è fermo, perde terreno. E non è vero che non sia riformabile, come qualcuno sostiene: il passato dimostra il con­trario. Era compito del governo rimetterlo in moto: non ne è stato capace.

Tutto vero: diagnosi esatta. Ma io penso che l’inca­pacità di rilanciare l’economia non sia il fatto più gra­ve quando tiriamo le somme di un ventennio (o poco meno). La causa prima della catastrofe, secondo me, è la devastazione morale che Berlusconi lascia in ere­dità. E bisognava aspettarselo. Che affidamento po­teva dare un uomo che si dava alla politica per evitare i processi, per sfuggire al carcere? Il primo segnale della sua improntitudine, del suo cinismo, si ebbe quan­do, non appena eletto, propose come ministro della Giustizia un suo avvocato, in seguito condannato per­ché aveva corrotto (col denaro di Berlusconi) un ma­gistrato. Capite? Un corruttore di giudici al dicastero della Giustizia, alla testa della magistratura italiana. Da allora, il suo comportamento totalmente privo di senso morale ha contribuito in un crescendo inarre­stabile alla demoralizzazione, al cinismo della nazio­ne. In Italia, abbiamo avuto per vent’ anni, o poco meno, un Primo ministro che, inseguito dai processi, in­vece di vergognarsi se l’è presa coi giudici: ce l’hanno con me, diceva e continua a dire. E quanti altri segni di cinismo si sono susseguiti attraverso il tempo: da quando abbiamo visto ministeri importanti affidati a ragazzotte senza arte né parte, fino alle scene penose di questi giorni, di un Primo ministro che, ormai pa­ralizzato nell’azione politica, come ammettono an­che i suoi seguaci, invece di farsi da parte nell’ interes­se nazionale persiste imperterrito. Per puntiglio, per scommessa.

Questo, più ancora della mancanza di riforme, è dunque il danno grave del berlusconismo. La rinasci­ta economica di una nazione, prima che dalle leggi, è determinata dallo stato d’animo dominante: lo ab­biamo visto negli anni del così detto miracolo. Oggi, il nostro è un paese che non crede più in se stesso. Un paese stuprato. Soltanto in questi giorni, dopo il lun­go sonno, si assiste ai primi segni di vita. Ma la lentez­za, la fatica con cui cominciamo a liberarci di Berlu­sconi, la mancanza al vertice di uomini abbastanza ri­soluti per metterlo alla porta in quattro e quattr’otto, indicano quanto sia profonda la crisi: psicologica pri­ma che politica, prima che  legislativa. Lo stato d’ani­mo depresso, più ancora delle mancate riforme, è la vera tragedia italiana.

 

Piero Ottone       La Repubblica   21 Giugno 2011

 

 

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