Il concetto di populismo non è a mio giudizio in grado di interpretare in modo adeguato la vicenda italiana degli ultimi venti anni e, in modo specifico, le posizioni di cui è stato massimo artefice e protagonista Silvio Berlusconi. Quello su cui i classici insistono quando si parla del popolo è la dimensione della totalità, del tutto sulle parti, della comunità sugli individui. (…) Berlusconi non si è mai mosso in una prospettiva comunitaria e organicistica, cioè populistica (come invece ha fatto, almeno in parte, Bossi); ma, anzi, ha accentuato – fino a stravolgerli in senso dispotico – il carattere e la dimensione strutturalmente individualistica della «democrazia dei moderni». Con il suo messaggio ha proposto, e fatto diventare modello di vita e senso comune, una sorta di bellum omnium contra omnes; per riprendere la distinzione di Hobbes, ha sostenuto, e anche realizzato, una regressione dalla «società politica» alla «società naturale». Da questo punto di vista, rispetto al movimento della società moderna, e al significato in esso assunto appunto dalla politica, Berlusconi si è mosso come il granchio: è retrocesso dalla storia alla natura; dalla legge al primato degli spiriti animali.
Nel suo messaggio Berlusconi non si è mai rivolto né alla massa, né al popolo inteso come un totum ma sempre e soltanto agli individui, ai singoli individui: individui isolati, privi ormai di identità comune, chiusi nei loro interessi e pronti, nella crisi, a dislocarsi a destra o a sinistra aseconda delle loro convenienze. È vero: ha usato il termine «popolo» per definire il suo movimento, ma precisando subito che non si trattava di un «partito» tradizionale di massa (cioè di tipo novecentesco), e connotandolo come «popolo della libertà». Ed è, ovviamente, al secondo lemma
che ha assegnato maggior rilievo. Il popolo cui Berlusconi si è rivolto fin dall’inizio della sua avventura politica non ha nulla di totalitario o di organicistico. (…) L’individualismo è stato l’architrave di questa posizione, in accordo su questo punto con la Lega che però, a differenza del berlusconismo, declina motivi comunitari e nuove identità collettive estranee, come tali, all’ideologia del Popolo della libertà. In sintesi nel berlusconismo si sono espressi anche sul piano simbolico, e hanno avuto a lungo successo, nuovi modelli antropologici e culturali, incardinati sul primato degli «spiriti animali», della «società naturale» sulla legge e sulla «società politica». (…)
Qualunque sia il giudizio sulla sua opera, il berlusconismo si è sforzato di dare una risposta a esigenze che, in modo complesso e anche contraddittorio, si erano cominciate a delineare nella società italiana, inclinandole attraverso un’ampia e capillare «rivoluzione ideologica» imperniata sui media – verso un individualismo egoistico e autoreferenziale, chiuso in se stesso, imperniato sull’esaltazione degli spiriti animali. Quali siano stati i risultati di questa stagione è oggi sotto gli occhi di tutti: il primato dell’individuo invece di esprimersi in una più ampia e articolata affermazione dell’uomo e delle sue facoltà si è risolto in nuove e più profonde forme di separazione e di contrapposizione tra gli uni e gli altri; e in nuove forme di sottomissione servile, acuite dal venir meno e dalla crisi delle vecchie strutture politiche e sociali a cominciare dal sindacato. (…)
Non credo che oggi il problema sia quello di insistere, anzitutto, sul valore e sul significato dell’individuo. Nel ventennio passato questa musica è stata suonata in forma addirittura assordante; e, almeno alle origini, poteva avere un senso sintonizzarsi su queste onde. Oggi appaiono però chiari gli esiti intrinsecamente autoritari e dispotici dell’individualismo di cui si è fatto promotore e artefice il berlusconismo. Per riprendere lacoppia usata da Kant e prima da Machiavelli, in questo ventennio il popolo si è disgregato ed è diventato plebe, moltitudine priva di leggi. Ma come Machiavelli ci ha insegnato nei Discorsi una moltitudine senza religione e senza leggi, cioè senza vincoli, non può mai essere uno stato, una repubblica; e sarà sempre superata, come coesione e capacità di azione e di organizzazione, dal regno, dal Principato – in una parola – dal dispotismo. Il problema di un partito riformatore, che voglia stabilire nuove relazioni tra governanti e governanti, oggi è precisamente quello di ristabilire nuovi vincoli, nuovi legami tra i singoli individui considerati come tali, come individui. La democrazia vive di legami, a cominciare da quello costituito dal lavoro, come il dispotismo si nutre di isolamento, divisione, contrapposizione.
Legami nuovi, legami che devono essere capaci ditoccare la pluralità di cerchi entro cui si esprime la vita umana. (…) È questa esigenza, questo rinnovato bisogno di solidarietà, di socialità, anche di condivisione di valori comuni – prepolitici, prepartitici – che un partito riformatore oggi deve sapere intercettare, mettendoli al centro di un nuovo rapporto tra governanti e governati. Senza politica, ne sono convinto, non ci sono né libertà né democrazia. La politica, il partito sono una effettiva risorsa; ma né l’una né l’altro potranno mai più essere quello che sono stati nell’epoca della politicizzazione di massa. Sono, l’una e l’altro, un momento fondamentale, ma un momento, di un vivere che si articola in una pluralità di campi, di cerchi, tutti degni, tutti autonomi, tutti irriducibili a un minimo comun denominatore. Lo spazio del rapporto tra governanti e governati si è esteso enormemente oltre le barriere del XX secolo, sia sul piano delle forme che dei contenuti. E questo incide anche sul carattere e sulla funzione del partito, il quale oggi deve essere al centro di una vasta costellazione di istituti, capace di corrispondere alla pluralità di cerchi in cui si esprime l’esperienza civile e politica. Tocqueville nella Democrazia in America insiste sulla necessità delle associazioni (diventate poi i moderni partiti); oggi, occorre individuare, e valorizzare, nuove forme di cooperazione e di aggregazione – nuovi istituti appunto aprendosi in tutte le direzioni, imparando, se necessario, anche da quello che avviene nella sfera religiosa. Bisogna passare dal mondo chiuso della politicizzazione di massa all’universo delle nuove forme di associazione, di relazione, di comunicazione.
Michele Ciliberto l’Unità 21 luglio 2011
vedi: L'Italia dei doveri,