Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo del 1922. Oggi compie novant’anni.
Compie perché il suo pensiero, la sua profezia laica, la sua preziosa provocazione intellettuale, i messaggi della sua opera letteraria e cinematografica sono più che mai attuali, vivi, necessari. Compie perché la sua contrapposizione al presuntuoso ottimismo di chi esalta il trionfo della modernità con le sue magnificenze, la sua dolente preoccupazione etica e umanistica di chi, invece, assiste all’avanzata della tecnologia e vi legge in nuce un futuro disumano e violento sono più che mai attuali, vivi, necessari. Per noi “ milioni di candidati alla morte dell’anima”. ( P.P.Pasolini, 1962)
Pasolini, nel 1974 a Milano, partecipa ad un dibattito, all’interno di una Festa dell’Unità, avente titolo “Ideologia e politica nell’Italia che cambia” al quale partecipavano anche il pittore Renato Guttuso e Giorgio Napolitano. Ecco una parte del suo intervento:
“Dirò subito che la mia tesi è molto più pessimistica, più acremente dolorosamente critica di quella di Napolitano. Essa ha come tema conduttore il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto un’affermazione totalmente eretica e eterodossa. C’è già nel Manifesto di Marx un passo che descrive con chiarezza e precisione il genocidio ad opera della borghesia verso determinati strati delle classi dominate, soprattutto non operai, ma sottoproletari o certe popolazioni coloniali. Oggi l’Italia sta vivendo in maniera drammatica per la prima volta questo fenomeno: larghi strati che erano rimasti fuori della storia, la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese, hanno subìto questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia. Come avviene questa sostituzione di valori? Io sostengo che oggi essa avviene clandestinamente, attraverso una sorta di persuasione occulta. Mentre ai tempi di Marx era ancora la violenza esplicita, la conquista coloniale, l’imposizione violenta, oggi i modi sono molto più sottili, abili e complessi, il processo è molto più tecnicamente maturo.
Perché è successa questa tragedia, questo genocidio dovuto all’acculturazione imposta subdolamente? Ma perché la classe dominante ha scisso nettamente “progresso” e “sviluppo”. Ad essa interessa solo lo sviluppo, perché solo da lì trae i suoi profitti. Bisogna farla una buona volta una distinzione drastica tra i due termini “progresso” e “sviluppo”. Si può concepire uno sviluppo senza progresso, cosa mostruosa che è quella che viviamo in circa due terzi d’Italia: ma in fondo si può concepire anche un progresso senza sviluppo, come accadrebbe se in certe zone contadine si applicassero nuovi modi di vita culturale e civile anche senza o con un minimo di sviluppo materiale. Quello che occorre è prendere coscienza di questa dissociazione atroce e rendere partecipi le masse popolari perché essa scompaia, e sviluppo e progresso coincidano….
Lo sviluppo che questo nuovo potere vuole dà un colpo di spugna al fascismo tradizionale, che si fondava sul nazionalismo o sul clericalismo, su vecchi ideali, e instaura una forma di fascismo nuovo e ancora più pericolosa. E’ in corso nel nostro paese questa sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d’accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale, ma finora sono stati un mezzo di spaventoso regresso, di genocidio culturale….. La distruzione di valori in corso non implica una immediata sostituzione di altri valori, col loro bene e il loro male, col necessario miglioramento del tenore di vita e insieme un reale progresso culturale. C’è nel mezzo un momento di imponderabilità e qui e ora sta il grande pericolo. Pensate a cosa può significare in queste condizioni una recessione economica, e vi corre un brivido se vi si affaccia il parallelo con la Germania degli anni Trenta. Qualche analogia il nostro processo di industrializzazione degli ultimi dieci anni con quello tedesco di allora ce l’ha: fu in tali condizioni che il consumismo aprì la strada, con la recessione degli anni ’20, al nazismo…. Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i modelli imposti dal capitalismo, e rischiano una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una assenza di capacità critiche, una passività, ricordo che erano le forme tipiche delle SS e vedo stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce uncinata. Una visione apocalittica la mia. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui.”
Pier Paolo Pasolini – Milano, 7 settembre 1974