Dal 1892 al 1925 ebbe una certa notorietà in Italia la rivista socialista, progressista e di satira L’Asino. Nel numero del 7 gennaio 1912 venne pubblicato un lungo articolo dedicato alla figura del tenace sacerdote don Giuseppe Fabrizi, ex parroco di Ardea (RM) e ancora vivente. Soprattutto l’articolo è dedicato a descrivere le persecuzioni ecclesiastiche e civili che don Giuseppe era costretto a subire per le sue posizioni sociali e religiose coraggiose e a servizio degli ultimi.
L’articolo parte dal momento in cui don Giuseppe viene rinchiuso in manicomio per la sua lotta contro le gerarchie ecclesiastiche (dal manicomio poi uscì, ma non riuscì più a rifarsi una vita vera e propria).
La rivista, pur profondamente anticlericale, narra i fatti anche se con grande e giusta forza polemica.
Perché prete buono, cacciato in carcere e in manicomio.
L’alleanza del Vicariato e della Magistratura nella feroce persecuzione.
Lo abbiamo conosciuto nel paesello di Ardea, abbandonato sulla spiaggia romana, senza scuole e senza medici, alla rapacità dei latifondisti; il parroco don Giuseppe Fabrizi diede tutto se stesso e i propri risparmi alla salute fisica e morale dei lavoratori.
Domandò case, strade, scuole, medicine, poste.
Si rivolse al Prefetto, al Consiglio scolastico, al comune di Genzano (nelle mani dei clericali e di agugliani , e nulla ottenne per quelle povere genti. Si rivolse al deputato del collegio… Illuso! Copriva tale carica quell’Aguglia di nefasti ricordi, che lasciò suo degno discepolo e continuatore l’attuale Valenzani.
I preti, per i ricchi, contro il prete.
Toccati i signorotti dalla voce cristiana di don Fabrizi si inviperirono e chiamarono in aiuto il vescovo Agliardi (della diocesi di Albano, n.d.r.) e il vicariato di Roma. Il primo (oh, serafico uomo!) impose al parroco di Ardea le dimissioni.
«Obbedisco! Ma… dove vado?»
«In America! Ivi Riceverete il permesso di officiare!»
«Ma almeno i pochi soldi del viaggio in terza classe…»
«Vi saranno mandati in America coi certificati.»
Don Giuseppe parte, ma non trova né impiego né pane né certificati.
Scrive al vicariato di Roma.
Silenzio!
Scrive al cardinale Agliardi.
Silenzio!
Finalmente gli giunge… il divieto di risiedere negli Stati Uniti!
Il prete facchino, bracciante, tranviere, cartolaio, sguattero.
Se si trattasse di un prete dei soliti, provar un po’ la vita del lavoratore potrebbe esser meritata espiazione agli ozi delle canoniche, ma don Fabrizi non se la meritava la vitaccia che fu costretto a condurre per aver troppo difeso i poveri!
Sdegnato per il silenzio del vicariato e del cardinale, scrive a questi delle lettere risentite nelle quali ricordava per lo meno l’obbligo di rimborsarlo dei denari spesi nel viaggio.
Tre anni senza risposta! Tre anni di martirii!
L’agguato.
Messo assieme qualche sudato risparmio, lo prende la nostalgia dell’Italia, di Roma, di Genzano sua dolce, fra gli oliveti e le vigne.
Rimpatria.
Tre giorni dopo veniva arrestato e portato a Regina Coeli. Lasciamo qui la parola al «Messaggero»:
“Da questo punto cominciano per il povero prete perseguitato i casi più strani ed inverosimili.
Dopo sette giorni di permanenza alle carceri venne interrogato da un giudice istruttore, dal quale seppe che era imputato di estorsione. Protestò contro la calunniosa accusa, dimostrò tutto un passato di condotta incensurata, ma non valse a nulla: venne confermato il suo arresto, fu citato a comparire in giudizio e dopo centoundici giorni di prigionia preventiva venne condotto in tribunale e condannato a sei mesi e 20 giorni di reclusione.
Ed apprese in quella circostanza che per le lettere inviate nel 1908 al cardinale Agliardi dall’America, era stato condannato in contumacia, in seguito a querela di parte a 4 mesi e 20 giorni di reclusione e lire 466 di multa.
Rassegnatosi cristianamente al suo destino, don Fabrizi scontò la sua condanna «anticipando col desiderio il giorno della sua liberazione”.
Dal carcere al manicomio.
Appena uscito di carcere per istanza del Procuratore del re, viene esaminato dal dottor Cividalli e mandato… nel manicomio di Roma!
Tre volte l’illustre alienista prof. Bonfigli, direttore del manicomio, dichiara che il Fabrizi non è pazzo e può uscire senza danno per sé o altri; tre volte il Tribunale di Roma sentenzia di… saperne più del Bonfigli e di ritenere il Fabrizi pazzo! – E questi è ancora oggi in manicomio!
Cospirazione mostruosa?
Giustamente il «Messaggero» del 5 ottobre corrente osservava:
«Questa sollecitudine quasi affannosa, certamente insolita del magistrato di contraddire e di opporsi ai responsi medici, non può nel caso attuale essere interpretata che come una palese e mostruosa ingerenza del Vicariato di Roma che giunse talora a questi risultati col compiacente accordo della questura».
E della Magistratura: si deve purtroppo aggiungere che questo scandalosissimo caso, incredibile in pieno secolo XX!
Meditate, lavoratori!
Ma al disopra del drammatico caso personale, una considerazione si presenta spontanea.
I preti, da qualche tempo van facendo gli amici del popolo. Ipocrisia e menzogna!
Che si tratti di una finta lo dimostra la sorte del povero don Fabrizi!
Quando un buon prete come lui prende sul serio la missione cristiana e difende senza secondi fini la causa dei miseri, la sua fine è carcere e manicomio per volere di quella chiesa stessa che dei miseri ostenta il patrocinio!
Con le sue stesse mani, lorde di un nuovo delitto, la Chiesa di Roma ha smascherato la propria malvagità!
Rettifiche allegre.
Il prof. Cividalli scrive alla stampa romana che effettivamente il Fabrizi era – se anche non lo è più – un «querulomane»!
Avete capito?
Dopo essere stato cacciato dalla sua parrocchia, dopo essersi visto rifiutare i documenti della sua illibatezza personale e professionale, dopo essere stato spinto alla estrema miseria si mostra querulomane!
E dopo cinque ricorsi del direttore dell’ospedale – prof. Bonfigli – che lo ritiene ad ogni modo guarito, vedendosi ostinatamente tenuto il manicomio, scrive al Procuratore del Re in forma risentita.
Querulomane ancora!
Evvia! Si vuol burlare il pubblico e fare strazio della libertà individuale dei cittadini!
Oggi l’illustre prof. Tamburini dirà l’ultima parola, ma intanto ben a ragione il «Messaggero» concludeva: «Senza il coraggioso intervento del prof. Bonfili, l’ex parroco di Ardea avrebbe finito di diventare pazzo per davvero! Questo è il pericolo in cui [sic] pare corrano i cittadini invisi al vicariato romano, e sta qui il nido di tutto lo scandalo!»
L’Asino 7/1/1912
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