Mi dispiace ma non sono d’accordo. e non mi serve di invocare le ragioni del pacifismo. mi basta prendere atto del reale. La riforma delle forze armate che sta per essere votata anche dal Partito democratico fa male all’Italia. È frutto di un’idea vecchia, pericolosa e insostenibile. Aumenta le spese militari e la spesa pubblica. E chi sta pensando di cambiare e ricostruire il nostro Paese non può non saperlo. Capisco le ragioni di chi crede che nonostante le lacrime di tante famiglie l’Italia debba continuare a comprare cacciabombardieri, droni, missili, bombe laser, blindati, portaerei, elicotteri e sottomarini. Capisco chi è convinto che l’Italia debba continuare a fare la guerra in Afghanistan e magari domani in qualche altra parte del mondo come abbiamo fatto in Iraq e in Libia. Per loro questa riforma è «indispensabile, essenziale ed epocale». Consentirà alle vecchie gerarchie militari di convertire i posti di lavoro in armamenti e giochi di guerra.
Quello che non capisco è l’atteggiamento di chi si candida a tirar fuori l’Italia dalla crisi e a restituirgli la dignità internazionale perduta. Si dirà che il Partito democratico ha raccolto le sollecitazioni venute dalla Tavola della pace introducendo al Senato importanti modifiche. Ed è vero che grazie al Pd si è impedito che i generali si trasformassero in mercanti d’armi e d’ora in avanti ci sarà più controllo parlamentare sul bilancio della Difesa e sull’acquisto delle armi. Ma tutto ciò non basta. Resta un Parlamento che rinuncia al suo potere di indirizzo su una materia delicatissima. Resta il taglio di 43.000 posti di lavoro per finanziare l’acquisto dei cacciabombardieri F35 e degli altri 70 programmi di armamento. Resta l’odiosa norma che costringerà i comuni alluvionati o colpiti da una catastrofe naturale a pagare il conto dell’intervento delle forze armate. E poi ci sono le cose che mancano: i criteri che dovrebbero guidare una riforma coerente e motivata da un’aggiornata analisi geopolitica delle minacce, del ruolo che vuole svolgere il nostro Paese e dalle missioni da realizzare, i criteri che dovrebbero comportare una vera riqualificazione della spesa, la cancellazione degli sprechi e dei privilegi di cui ancora godono le alte gerarchie, la revisione dell’intreccio perverso di rapporti con l’industria militare, etc.
È stato detto che questa riforma era improcrastinabile. Falso! Le Forze Armate hanno già subìto un taglio strutturale del 10% imposto da Monti per aggiustare i conti dello Stato e gli effetti della riforma Di Paola potranno dispiegarsi solo dopo il 2015. C’era dunque tutto il tempo per mettere a punto una riforma vera ed efficace, fatta nel rispetto delle persone e per il bene del Paese. Si è preferito invece seguire la strada imposta con straordinaria caparbietà dall’ammiraglio Di Paola. Sotto la sua pressione molte schiene si sono piegate e molte bocche si sono cucite. Ora però
bisogna impedire che oltre al danno ci sia anche la beffa e che sia lo stesso Di Paola a scrivere i decreti attuativi della riforma nel mezzo della campagna elettorale. Il capogruppo del Partito democratico alla Camera, Dario Franceschini, ci ha dato delle rassicurazioni. Ma a questo punto serve un atto formale che impegni il governo a non procedere. E poi serve l’apertura di un dibattito pubblico. È scandaloso che ad occuparsi di questi temi ci siano stati solo «Famiglia Cristiana» e «l’Unità». È insopportabile la censura della Rai di tutte le voci che esprimono un punto di vista diverso dalla lobby militare-industriale. Ed è inaccettabile che questi temi siano ancora una volta esclusi dalla campagna elettorale.
Forse non è ancora venuto il tempo di abolire gli eserciti (anche se nessuno può disprezzare il nostro diritto di sognarlo). Ma tra le guerre ad alta densità inseguite dall’ammiraglio Di Paola sul modello dell’ultima guerra a Gaza e gli interventi di polizia internazionale iscritti nella carta dell’Onu (modello Libano per intenderci) c’è una gran differenza. E, siccome non possiamo più permetterci di fare l’una e l’altra cosa, dobbiamo scegliere. Nel frattempo, martedì 11 dicembre alle ore 11 noi saremo in piazza Montecitorio per dare all’Italia un futuro migliore di questo tempo amaro.
Flavio Lotti (coordinatore nazionale della Tavola della pace) l’Unità 8 dicembre 2012
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“Bisognava pensarci prima. La guerra? Non si deve fare mai”
30 miliardi, nonostante la crisi.