Confino: «Un colossale edificio di mistificazione e di frode», come lo definì Primo Levi. Furono quindicimila gli italiani condannati tra il 1926 e il 1943. Fra loro migliaia di antifascisti. Non una “villeggiatura” concessa da Mussolini ai suoi, stereotipo che ancora a volte emerge nell’opinione pubblica italiana. Per questo è particolarmente utile il lavoro di Ilaria Poerio, studiosa dell’Italia e dell’Europa contemporanee, che nel suo saggio A scuola di dissenso. ci restituisce, nella sua verità, un importante capitolo della nostra storia. Che permette, in controluce, anche di ricostruire il modo in cui venne organizzato il dissenso e la lotta politica al regime.
Se l’obiettivo del fascismo era quello di annichilire l’opposizione, questo libro dimostra che l’intento non fu raggiunto. Perché le colonie di confino, «con difficoltà ed esiti diversi», si trasformarono in laboratori politici, in scuole e riunioni di partito, in università dell’antifascismo. Si parlò persino del “governo di Ventotene” e non si può dimenticare che proprio in quell’isola, ad opera di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi fu redatto il manifesto per un’Europa libera e unita che sarebbe diventato uno dei testi fondanti del processo di unificazione europea. Gli esiti delle condanne contro gli oppositori fu dunque paradossale. C’è poi la parte che ricostruisce i meccanismi del confino: ci si andava in base alle leggi “fascistissime” del 1926 che davano una definizione piuttosto generica di «persona pericolosa». E che ripescarono una pratica inventata dai romani: a Ventotene la prima confinata fu Julia, figlia di Cesare Augusto, grazie a una legge emanata dal padre per punire le donne accusate di adulterio.
Francesca Bolino Repubblica 22.5.16
Il libro: Ilaria Poerio A scuola di dissenso ed. Carocci, €26
Quando il fascismo si voleva liberare di persone sospette, ma sulle quali non esistevano accuse formali, applicava la legge del confino. Tra il 1926 e il 1943 furono circa 15.000 gli italiani condannati al confino di polizia, tra loro diverse migliaia di antifascisti. I più pericolosi venivano relegati nelle isole. Costretti all’immobilità dal regime, gli antifascisti cercavano strumenti per restare fermi ma non inerti. Nelle colonie di confino si istituirono mense e biblioteche, scuole e cooperative: si studiava, si leggeva, si discuteva, si elaboravano documenti, come nel più animato dei congressi politici. Mentre nel resto del paese gli spazi di libertà si restringevano fino a scomparire, nelle isole di confino si andava a chiedere consiglio, si portavano notizie e informazioni, che venivano studiate, vagliate, confrontate e integrate le une con le altre, vanificando così l’essenza stessa della punizione che il regime aveva voluto dare. Per una generazione intera di antifascisti, il confino rappresentò una tappa cruciale nella costruzione di sé. Il loro agire sarà anche, almeno simbolicamente, premessa per l’edificazione della Repubblica. (IBS)
vedi: Elogio del dissenso
Il fascismo... è stato l'autobiografia della nazione.
Ernesto Rossi, la lungimiranza della laicità