A proposito dell’editoriale di Scalfari di domenica scorsa: “In democrazia sono pochi al volante e molti i passeggeri.” L’oligarchia scalfariana.

Eugenio Scalfari è persona tenace e combattiva e non molla nella sua battaglia per l’oligarchia, ai suoi occhi realistica espressione della democrazia. Ma in tutti i dizionari, enciclopedie e saggi di scienze politiche e costituzionali l’oligarchia viene duramente condannata: l’oligarchia, cioè il governo dei pochi è il contrario della democrazia che è il governo del popolo, cioè di tutti i cittadini, come si legge anche nella Costituzione italiana. Questa tesi Scalfari l’aveva già espressa nel suo editoriale di domenica 2 ottobre e l’ha ribadita domenica scorsa 9 ottobre con un editoriale dal titolo “In democrazia sono pochi al volante e molti i passeggeri.”

Sul manifesto, che ha qualche anno in più di Repubblica, potremmo usare lo stesso titolo, ma per denunziare lo stato presente delle cose, per sostenere che in democrazia i cittadini non debbono rassegnarsi a essere passivi passeggeri, ma debbono avere le mani sul volante e che per realizzare questo obiettivo bisogna superare il capitalismo e realizzare il socialismo. So bene che Scalfari, magari con un sorriso di sufficienza, ci risponderebbe che con la gloriosa rivoluzione d’ottobre solo Stalin aveva le mani sul volante: non c’era una oligarchia, governo di pochi, ma una dittatura, governo di uno solo e Scalfari ricorda certamente la radiazione dal Pci di quelli del manifesto che non volevano l’oligarchia.

Il nostro gruppo voleva e vuole, come si tenta fin dai tempi della rivoluzione francese, una società nella quale i cittadini e soprattutto i lavoratori abbiano voce in capitolo e la sovranità appartenga a loro e non ai pochi oligarchi che con la forza si sono conquistati un posto al volante e che ora al referendum del prossimo 4 dicembre voteranno Sì, come temo voglia fare anche Scalfari.

Quindi mi dichiaro decisamente contrario all’oligarchia scalfariana, ma mi viene il dubbio che una personalità come la sua che ha studiato e conosce la società italiana ci voglia dire: «Cari italiani, siamo in un sistema capitalistico nel quale l’unica forma di democrazia possibile è l’oligarchia, il governo di pochi, (un po’ meglio della dittatura, dice lui), contentatevi e non cadete nella vecchia trappola del socialismo». Parola di Scalfari.

Valentino Parlato           il manifesto 11.10.16

 

 

Tempo di oligarchie e di chiarimenti

A Scalfari rispondo che la democrazia è lotta per la democrazia e non è la classe dei privilegiati quella che può condurla.

L’OLIGARCHIA è la sola forma di democrazia, ha sostenuto Eugenio Scalfari nei suoi due ultimi editoriali su questo giornale. Ha precisato che le democrazie, di fatto, sono sempre guidate da pochi e quindi altro non sono che oligarchie. Non ci sarebbero alternative: la democrazia diretta può valere solo per questioni circoscritte in momenti particolari, ma per governare è totalmente inadatta. O meglio: un’alternativa ci sarebbe, ed è la dittatura. Quindi — questa la conclusione che traggo io, credo non arbitrariamente, dalle proposizioni che precedono — la questione non è democrazia o oligarchia, ma oligarchia o dittatura. Poiché, però, la dittatura è anch’essa un’oligarchia, anzi ne è evidentemente la forma estrema, si dovrebbe concludere che la differenza rispetto alla democrazia non è di sostanza.

Tutti I governi sono sempre e solo oligarchie più o meno ristrette e inamovibili; cambia solo la forma, democratica o dittatoriale. Nell’ultima frase del secondo editoriale, Scalfari m’invita cortesemente a riflettere sulle sue tesi, cosa da farsi comunque perché la questione posta è interessante e sommamente importante. Se fosse come detto sopra, dovremmo concludere che l’articolo 1 della Costituzione (“L’Italia è una repubblica democratica”; “la sovranità appartiene al popolo”) è frutto di un abbaglio, che i Costituenti non sapevano quel che volevano, che hanno scritto una cosa per un’altra. Ed ecco le riflessioni.

Se avessimo a che fare con una questione solo numerica, Scalfari avrebbe ragione. Se distinguiamo le forme di governo a seconda del numero dei governanti (tanti, pochi, uno: democrazia, oligarchia, monarchia) è chiaro che, in fatto, la prima e la terza sono solo ipotesi astratte. Troviamo sempre e solo oligarchie del più vario tipo, più o meno ampie, strutturate, gerarchizzate e centralizzate, talora in conflitto tra loro, ma sempre e solo oligarchie.

Non c’è bisogno di chissà quali citazioni o ragionamenti. Basta la storia a mostrare che la democrazia come pieno autogoverno dei popoli non è mai esistita se non in alcuni suoi “momenti di gloria”, ad esempio l’inizio degli eventi rivoluzionari della Francia di fine ‘700, finiti nella dittatura del terrore, o i due mesi della Comuneparigina nel 1871, finita in un bagno di sangue. Dappertutto vediamo all’opera quella che è stata definita la “legge ferrea dell’oligarchia”: i grandi numeri della democrazia, una volta conquistata l’uguaglianza, se non vengono spenti brutalmente, evolvono rapidamente verso i piccoli numeri delle cerchie ristrette del potere, cioè verso gruppi dirigenti specializzati, burocratizzati e separati. Ogni governo realmente democratico non è che una fugace meteora. In quanto autogoverno dei molti, fatalmente si spegne molto presto.

Tuttavia, la questione non è solo quantitativa. Anzi, non riguarda principalmente il numero, ma il chi e il come governa. Gli Antichi, con la brutale chiarezza che noi, nei nostri sofisticati discorsi, abbiamo perduto, dicevano semplicemente che l’oligarchia è un regime dei ricchi, contrapposto alla democrazia, il regime dei poveri: i ricchi, cioè i privilegiati, i potenti, coloro che stanno al vertice della scala sociale contro il popolo minuto. In questa visione, i numeri perdono d’importanza: è solo una circostanza normale, ma non essenziale, che “la gente” sia più numerosa dei “signori”, ma i concetti non cambierebbero (dice Aristotele) se accadesse il contrario, se cioè i ricchi fossero più numerosi dei poveri. Si può parlare di oligarchia in modo neutro: governo dei pochi.

Ma, per lo più, fin dall’antichità, alla parola è collegato un giudizio negativo: gli oligarchi non solo sono pochi, ma sono anche coloro che usano il potere che hanno acquisito per i propri fini egoistici, dimenticandosi dei molti. L’oligarchia è quindi una forma di governo da sempre considerata cattiva; così cattiva che deve celarsi agli occhi dei più e nascondersi nel segreto.

Questa è una sua caratteristica tipica: la dissimulazione. Anzi, questa esigenza è massima per le oligarchie che proliferano a partire dalla democrazia. Gli oligarchi devono occultare le proprie azioni e gli interessi particolari che li muovono. Non solo. Devono esibire una realtà diversa, fittizia, artefatta, costruita con discorsi propagandistici, blandizie, regalie e spettacoli. Devono promuovere quelle politiche che, oggi, chiamiamo populiste. Occorre convincere i molti che i pochi non operano alle loro spalle, ma per il loro bene. Così, l’oligarchia è il regime della menzogna, della simulazione.

Se è così, se cioè non ne facciamo solo una questione di numeri ma anche di attributi dei governanti e di opacità nell’esercizio del potere, l’oligarchia, anche secondo il sentire comune, non solo è diversa dalla democrazia, ma le è radicalmente nemica. Aveva, dunque, ragione Norberto Bobbio quando denunciava tra le contraddizioni della democrazia il “persistere delle oligarchie”. Se ci guardiamo attorno, potremmo dire: non solo persistere, ma rafforzarsi, estendersi “globalizzandosi” e velarsi in reti di relazioni d’interesse politico-finanziario, non prive di connessioni malavitose protette dal segreto, sempre più complicate e sempre meno decifrabili. Se, per un momento, potessimo sollevare il velo e guardare la nuda realtà, quale spettacolo ci toccherebbe di vedere?

Annodiamo i fili: abbiamo visto che la democrazia dei grandi numeri genera inevitabilmente oligarchie e che le oligarchie sono nemiche della democrazia. Dovremmo dire allora, realisticamente, che la democrazia è il regime dell’ipocrisia e del mimetismo, un regime che produce e nutre il suo nemico: il condannato che collabora all’esecuzione della sua condanna. Poveri e ingenui i democratici che in buona fede credono nelle idee che professano!

C’è del vero in questa visione disincantata della democrazia come regime della disponibilità nei confronti di chi vuole approfittarne per i propri scopi. La storia insegna. Ma non ci si deve fermare qui. Una legge generale dei discorsi politici è questa: il significato di tutte le loro parole (libertà, giustizia, uguaglianza, ecc.) è ambiguo e duplice, dipende dal punto di vista. Per coloro che stanno in cima alla piramide sociale, le parole della politica significano legittimazione dell’establishment; per coloro che stanno in fondo, significa il contrario, cioè possibilità di controllo, contestazione e partecipazione.

Anche per “democrazia” è così. Dal punto di vista degli esclusi dal governo, la democrazia non è una meta raggiunta, un assetto politico consolidato, una situazione statica. La democrazia è conflitto. Quando il conflitto cessa di esistere, quello è il momento delle oligarchie. In sintesi, la democrazia è lotta per la democrazia e non sono certo coloro che stanno nella cerchia dei privilegiati quelli che la conducono. Essi, anzi, sono gli antagonisti di quanti della democrazia hanno bisogno, cioè gli antagonisti degli esclusi che reclamano il diritto di essere ammessi a partecipare alle decisioni politiche, il diritto di contare almeno qualcosa.

Le costituzioni democratiche sono quelle aperte a questo genere di conflitto, quelle che lo prevedono come humus della vita civile e lo regolano, riconoscendo diritti e apprestando procedimenti utili per indirizzarlo verso esiti costruttivi e per evitare quelli distruttivi. In questo senso deve interpretarsi la democrazia dell’articolo 1 della Costituzione, in connessione con molti altri, a incominciare dall’articolo 3, là dove parla di riforme finalizzate alla libertà, all’uguaglianza e alla giustizia sociale.

Queste riflessioni, a commento delle convinzioni manifestate da Eugenio Scalfari, sono state occasionate da una discussione sulla riforma costituzionale che, probabilmente, sarà presto sottoposta a referendum popolare. Hanno a che vedere con i contenuti di questa riforma? Hanno a che vedere, e molto da vicino.

Gustavo Zagrebelsky       La Repubblica del 12/10/2016.

 

vedi:  Potere concentrato e potere diffuso

Pensiero Urgente n.233)

Democrazia trasformata in oligarchia

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