L’ 8 dicembre 1981 muore a Roma dopo una lunga malattia FERRUCCIO PARRI (91 anni, nome di battaglia Maurizio), insegnante, politico, giornalista, Azionista, Antifascista, capo della Resistenza italiana e presidente dell’unico governo fondato sulla Resistenza nel 1945.
Parri nasce a Pinerolo (TO) da una famiglia di origini marchigiane, quarto di cinque figli. Il padre, insegnante di letteratura italiana e fervente mazziniano, spinse la famiglia a spostarsi frequentemente a causa del suo lavoro scolastico. Dopo aver completato gli studi liceali, Parri si iscrisse nell’autunno del 1908 alla facoltà di lettere dell’Università di Torino, scegliendo l’indirizzo storico-geografico.
Da studente divenne un appassionato lettore delle molteplici riviste fiorentine, in particolare de La Voce di Giuseppe Prezzolini (1882- 1982), che arricchì la sua educazione mazziniana ricevuta in famiglia e che gli indicò il compito che le nuove generazioni dovevano fare proprio, ovvero battersi per una riforma etica della politica e promuovere l’educazione civile del popolo italiano.
Intanto la famiglia si era trasferita a Genova e Parri si laureò in storia moderna. Svolto a Genova nel 1913 il servizio militare si decise a seguire la carriera paterna, dedicandosi all’insegnamento. E il suo primo incarico nel gennaio 1914 fu come insegnante di lettere presso l’Istituto tecnico e nautico di Genova poi a Reggio. Qui insegnò fino a quando venne richiamato alle armi.
A questo periodo risalgono le prime riflessioni politiche e critiche sul socialismo e sul parlamentarismo in senso antigiolittiano: esprimeva infatti l’insofferenza per un sistema politico che gli appariva bloccato, incapace cioè di promuovere il ricambio generazionale. Ai suoi occhi, la guerra dunque giunse come la grande occasione per intraprendere una ‘rivoluzione antigiolittiana’.
Parri affrontò l’esperienza della prima guerra mondiale, armato di queste convinzioni: partì dunque per il fronte alla fine del maggio 1915 come sottotenente di fanteria riportando due medaglie e diverse ferite, compreso un congelamento ai piedi. Diventato tenente per meriti di guerra nel 1916 fu nuovamente ferito: il suo disprezzo per il pericolo fu riconosciuto dalle autorità militari che lo premiarono più volte, conferendogli tre medaglie d’argento al valore. Nel 1917 fu promosso al grado di capitano, ma non poté riprendere il servizio in trincea a causa delle conseguenze del congelamento ai piedi. Promosso al grado di maggiore, nell’aprile 1918 venne assegnato all’ufficio operazioni del comando supremo.
Partecipò come ufficiale di Stato Maggiore alla preparazione dei piani di battaglia per la vittoriosa offensiva italiana di Vittorio Veneto: Parri, su richiesta del comando supremo, scrisse il famoso bollettino della Vittoria firmato dal Maresciallo d’Italia Armando Diaz il 4 novembre del 1918. Con la fine della guerra, Parri continuò a occuparsi di questioni politico-militari relative all’armistizio e allo studio dei nuovi confini.
Lasciò il servizio militare nel 1919 e si trasferì a Roma dove rimase fino alla fine del 1921, lavorando come impiegato nei servizi sociali dell’Organizzazione nazionale combattenti e tornando per qualche tempo ad insegnare. Nel periodo romano si adoperò per far circolare un progetto di riforma dell’esercito negli ambienti politici e governativi
La riflessione di Parri negli anni del primo dopoguerra continuò ad essere antigiolittiana. All’inizio di gennaio del 1922 fu assunto al Corriere della Sera diretto da Luigi Albertini (1871- 1941). Mentre insegnava lettere al liceo Parini di Milano si sposò con ESTER VERRUA, già compagna di liceo, da allora in avanti inseparabile compagna di tutta la vita La casa di Ferruccio e di Ester divenne di lì a poco uno dei luoghi della cospirazione antifascista, dove passarono ERNESTO ROSSI (1867- 1967), CARLO ROSSELLI (1899- 1937) e PIERO GOBETTI (1901- 1926).
La frequentazione del Corriere albertiniano coincise con una rapida maturazione di Parri in senso liberal-democratico e antifascista. Per questo Parri fondò Il Caffè, un quindicinale che uscì il 1° luglio 1924, nel pieno della crisi MATTEOTTI, per chiudere nel maggio 1925, quando ormai lo stato era fascistizzato.
Attorno a Parri e RICCARDO BAUER (1896- 1982) si strinse un gruppo di antifascisti di vario orientamento culturale. Questo gruppo era unito dalla prospettiva politica di combattere il fascismo e dalla convinzione che fosse necessario conquistare il ceto medio per promuovere la democratizzazione dello Stato liberale. Un’altra iniziativa di Parri fu la pubblicazione, a partire dal novembre 1924, del periodico La Patria, per evitare la fascistizzazione dei combattenti e reduci. Soggetto a continui sequestri per ordine del prefetto, La Patria riuscì a resistere fino al giugno 1925: Parri si aprì allora definitivamente alla battaglia antifascista per la democrazia.
Nel novembre 1925 Parri si dimise dalla redazione del Corriere che, sottratto ad Albertini, si era e allineato alle direttive del governo fascista. Le dimissioni furono per Parri l’occasione di compiere il primo gesto pubblico del suo antifascismo integrale, senza compromessi che gli costò anche la tessera di giornalista. Dovette successivamente lasciare il ruolo d’insegnante per non aver preso la tessera del Partito Fascista, necessaria per svolgere la professione. Sospettato di attività antifascista, subì varie percosse.
Iniziava allora quella faticosissima strada che lo fece assurgere al cospetto dei suoi coetanei e delle generazioni successive quale coscienza stessa della democrazia italiana. Dopo l’abbandono del Corriere, Parri partecipò alla costruzione di una rete clandestina, che si dette diversi compiti: realizzare espatri di personalità dell’antifascismo, pubblicare all’estero scritti che non trovavano più spazio sulla stampa italiana e provvedere, infine, all’assistenza legale e finanziaria dei perseguitati politici.
Assieme a Carlo Rosselli, SANDRO PERTINI (1896- 1900), ADRIANO OLIVETTI (1901- 1960) ed altri, realizzò, nel dicembre 1926, l’impresa di trasferire FILIPPO TURATI (1857- 1932) in Francia, fuggendo da Savona con un motoscafo guidato da ITALO OXILIA (1887- 1971) e sbarcando in Corsica. Arrestato insieme a Rosselli sulla via del ritorno, fu protagonista, dopo un periodo di carcerazione, del processo celebrato a Savona (9 settembre 1927) e destinato a entrare nella memoria dell’antifascismo (tra gli imputati c’erano anche Sandro Pertini ed altri importanti antifascisti): Parri e Rosselli accusarono dal banco degli imputati il regime di Mussolini, tacciandolo di essere l’incarnazione dell’‘antinazione’ che condannava al carcere i combattenti della Grande Guerra. I due antifascisti si rivolsero all’opinione pubblica europea, costantemente sollecitata a monitorare la situazione italiana grazie all’azione di esuli come GAETANO SALVEMINI (1873- 1957).
Le pene inflitte dal tribunale di Savona furono seguite da una vera e propria persecuzione di tipo amministrativo, resa ancora più dura dall’assenza della più elementare certezza del diritto. Parri trascorse sei anni tra carcerazione e confino fino all’amnistia del 20 dicembre 1932: passò attraverso due processi (Savona e Roma), fu inviato in ben quattro luoghi di confino (Ustica, Lipari, Campagna in provincia di Salerno e Vallo della Lucania), stazionò in molte carceri del Regno (Massa, Savona, Civitavecchia, Roma e Palermo) e fu infine soggetto a una sorveglianza costante nel breve intervallo di libertà di cui godette nel corso del 1930.
Pur essendosi rifiutato ripetutamente di firmare la domanda di grazia, nel 1930 Parri fu liberato con un atto di clemenza di Mussolini. Tornato a Milano, svolse per qualche tempo una vita quasi normale, con pochi problemi di polizia, potendo così allacciare nuovamente le vecchie amicizie e riprendere la vita familiare. Questa situazione durò poco, perché si trovò coinvolto nella retata del 29 e 30 ottobre 1930 che portò in carcere il gruppo di Giustizia e Libertà di Milano. Venne assolto ma alla fine del marzo 1931subì una nuova condanna a cinque anni di confino ma non la dovette scontare per intero, potendo usufruire dell’amnistia del 1932.
Rilasciato nel 1931 fu assunto come impiegato dalla Edison di Milano, ove dopo poco tempo fu promosso dirigente e posto a capo della sezione economica dell’Ufficio Studi della grande azienda elettrica milanese. Continuò a mantenersi segretamente in contatto con il movimento di Giustizia e Libertà, nato in Francia nel 1929 per opera di Carlo Rosselli ed altri, che prospettava la nascita in Italia di una democrazia sociale. Mentre era a Milano Parri, attraverso articoli e saggi e un’intera rete di contatti proponeva un legame fra moderno capitalismo industriale e antifascismo, coinvolgendo gli uffici studi di aziende e banche.
Con la caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 Parri decise che il momento della lotta armata fosse tornato. Avendo aderito pienamente al Partito d’Azione fin dalla fondazione nel 1942, accettò l’incarico di responsabile militare del PdA all’inizio di settembre e fu naturale che in autunno i vertici del partito pensassero ancora a lui come guida delle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Assunto il nome di battaglia di Maurizio (lo pseudonimo “Maurizio” proveniva dal nome della chiesa di San Maurizio posta sulla cima della omonima collina, nella città natale di Pinerolo) Parri accettò ma restava in lui ferma la convinzione che la nazione venisse prima dei partiti.
Egli divenne quasi naturalmente, per la sua capacità di mediazione tra le varie componenti politiche del movimento partigiano e per la preparazione militare, il capo del comitato militare del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) milanese che si riuniva nei sotterranei della Edison: egli mostrò di avere fin da subito idee molto chiare sulla separazione fra decisioni politiche e scelte militari. Con la costituzione il 9 giugno 1944 del Comando generale dei Volontari per la Libertà, una sorta di guida militare dei partigiani, Parri fu nominato vice-comandante, insieme al futuro leader comunista Luigi Longo (1900- 1980) e al generale Raffaele Cadorna. Parri e Longo si dedicarono congiuntamente a rafforzare le strutture della Resistenza. Pur reputando necessario un compromesso tra monarchia e antifascismo, Parri temeva che le istanze di rinnovamento politico totale nel dopoguerra potessero venire affossate.
Il 2 gennaio 1945 Parri venne catturato dalla Gestapo in un appartamento milanese dove si era appena nascosto sotto falso nome assieme alla moglie: fu interrogato e trasferito nel carcere di Verona. Il suo caso entrò in una complessa trattativa fra i servizi segreti anglo-americani e le autorità naziste in cerca di un salvacondotto. Una volta liberato, trascorse le ultime settimane prima della Liberazione in Svizzera dove incontrò Allen Dulles ( agente segreto americano della CIA) dicendogli con coraggio di voler rientrare al più presto in Italia per riprendere la lotta partigiana. Numerose congetture furono aperte sull’arresto di Parri: dopo la guerra varie voci asserivano che era stato favorito dai servizi segreti inglesi per indebolire la componente di sinistra della Resistenza. La maggioranza degli storici oggi ritiene invece che quello di Parri fu un arresto fortuito.
Parri riuscirà, comunque, a sfilare il 6 maggio 1945 a Milano durante la grande manifestazione per la Liberazione accanto agli altri capi della Resistenza e sarà decorato dagli USA con la Bronze Star medal. Parri fu favorevole alla condanna a morte di Mussolini ma definì una “macelleria messicana” l’oltraggio riservato a Piazzale Loreto a Milano al corpo di Benito Mussolini e degli altri; inoltre disapprovò fermamente le azioni delle bande, soprattutto comuniste, che si dedicavano alla “vendetta”, uccidendo ex fascisti.
Nell’immediato dopoguerra, Parri si ritrovò al centro della vita nazionale, allorquando i partiti antifascisti lo invitarono a presiedere il primo governo nominato dopo la Liberazione. Il nome di Parri fu proposto da LEO VALIANI (1909- 1999) affiancato dal socialista Rodolfo Morandi come una personalità intermedia fra le forze di sinistra e quelle centriste presenti nel CNL.
Il ‘governo della Resistenza’, nominato il 21 giugno 1945, fu caratterizzato dal confronto fra diverse ipotesi di ricostruzione democratica cercando di coniugare la democrazia con una qualche idea di rivoluzione, emersa dall’esperienza resistenziale appena conclusasi. Era giunto insomma per Parri il momento di tradurre in cifra giuridica lo spirito della Resistenza e sentì in effetti la responsabilità di guidare la nazione verso la ricostruzione morale e materiale, superando le lotte di partito e le diversità ideologiche, e non mancando mai di parlare in nome della nazione, che egli considerava un valore superiore a qualsiasi ideologia. Tra l’altro Parri, terminata la lotta armata al fascismo, propone una guerra senza quartiere alla mafia: per questo alcuni idioti lo definiranno “Fessuccio Parri”.
Nel novembre 1945, i liberali e i democristiani aprirono proditoriamente la crisi che costringerà Parri alle dimissioni: si chiudono, anche simbolicamente, le speranze di rinnovamento attribuite da molti al movimento resistenziale: quelle di dare all’Italia un governo di popolo che non implicasse la restaurazione della vecchia classe dirigente responsabile di aver dato vita al fascismo. La Costituente si aprì nel 1946 in un’atmosfera non più di unanime fervore rivoluzionario, ma di patteggiamento tra i grandi partiti di massa, da una parte i democristiani, dall’altra i socialisti e i comunisti.
Nello stesso anno il Partito d’Azione entrò in una profonda crisi e nel marzo del 1946 Parri creò, con UGO LA MALFA (1903- 1979, anch’egli ex azionista), il piccolo partito della Concentrazione Repubblicana che confluira, poi nel Partito Repubblicano Italiano (Pri). Nel 1946 venne anche eletto deputato della Costituente e nel 1948 senatore. Nel corso del 1947, Parri profuse le sue energie per la costruzione di una terza forza laica, che raccogliesse il consenso delle forze sociali non ancora egemonizzate dai partiti di massa. Entrò a far parte dell’Unione parlamentare europea, e dopo le elezioni del 18 aprile 1948, divenne presidente del gruppo parlamentare per l’Unione Europea al Senato italiano.
Parri restava l’uomo simbolo della Resistenza agli occhi sia dei suoi antichi compagni sia dei suoi eterni nemici. Nel 1949, convinto che nell’Italia divisa dalla guerra fredda fosse necessario tessere il filo condiviso della memoria resistenziale, si pose al centro di un’iniziativa di grande rilievo: fondò con altri resistenti la FIAP (Federazione Italiana Associazioni Partigiane) per evitare l’ egemonizzazione della Resistenza da parte del Partito Comunista. Fondamentale fu anche il suo contributo per la nascita dell’ Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI). A partire da allora, fu uno dei protagonisti della piena legittimazione della Resistenza antifascista che nel corso degli anni più duri della guerra fredda era rimasta ai margini dell’insegnamento scolastico e delle commemorazioni pubbliche. Per questo Parri subiva continuamente attacchi provenienti da periodici della destra qualunquista e neofascista.
Nel 1953 Parri abbandonò il Pri in disaccordo con la nuova legge elettorale, la cosiddetta “legge truffa” voluta dalla DC, e diede vita con PIERO CALAMANDREI (1889- 1956) al Movimento di Unità Popolare che ottenne appena lo 0,6% alle elezioni del 1953, ma che sarà decisivo nel far mancare alla coalizione vincente il quorum per ottenere il premio di maggioranza previsto dalla “legge truffa”.
Parri abbandonò nel 1953 l’anticomunismo democratico, una componente tradizionale del suo pensiero, nella convinzione che la democratizzazione del sistema politico repubblicano dovesse passare soprattutto per il rafforzamento del suo fondamento antifascista. Pur non eletto nel nuovo Parlamento, nel 1955 si ritrovò a figurare come candidato delle sinistre per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ma egli rinunciò a concorrere.
Intanto Unità popolare confluì nel Partito socialista italiano (PSI) e Parri tornò in Parlamento in seguito alle elezioni del 1958 come indipendente nelle liste del PSI. Assieme a uomini quali il comunista UMBERTO TERRACINI (1895- 1983), Leopoldo Piccardi e RICCARDO LOMBARDI (1901- 1984, ex azionista), Parri lavorò all’inizio del 1959 alla costituzione di un consiglio federativo della Resistenza e fu uno dei protagonisti indiscussi delle giornate del giugno-luglio 1960 con le sanguinose repressioni delle proteste popolari a Genova e Reggio Emilia contro il governo di Tambroni sostenuto dalla destra. Il 12 luglio fu latore in Parlamento di una nuova proposta per lo scioglimento del Movimento sociale italiano (MSI), mentre il 21 dello stesso mese parlò a Porta S. Paolo a Roma di fronte a una piazza gremita, sottolineando ancora una volta il carattere antifascista della Costituzione repubblicana.
Nel settembre del 1962 fonda con Ernesto Rossi il Movimento Gaetano Salvemini. Nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Antonio Segni il 2 marzo 1963, Parri continuò la sua battaglia politico-culturale lungo il sentiero tracciato negli anni precedenti. Fondò, sempre assieme a Ernesto Rossi, nell’aprile dello stesso anno il periodico L’Astrolabio, una tribuna da cui condusse campagne per la realizzazione di una democrazia più compiuta e dalla quale denunciò il risorgente neofascismo. Nel corso del 1965 e del 1966, Parri, come direttore, fu autore sull’Astrolabio di una serie di articoli che aprirono le indagini sul caso del generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo e sul suo progetto di golpe del 1964 (detto Piano Solo): il caso verrà ripreso successivamente da Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi sull’Espresso.
Gli anni successivi si svolsero all’insegna di un costante avvicinamento di Parri al Partito comunista italiano, sia pure nella posizione di indipendente di sinistra: infatti alla fine del 1967, in vista delle elezioni politiche del 1968, lanciò, insieme ad alcune personalità del mondo politico e culturale italiano, l’Appello per l’unità delle sinistre. Alle elezioni molte di queste personalità si presentarono come indipendenti nelle liste PCI-PSIUP. Gli indipendenti eletti al Senato confluirono in un Gruppo parlamentare autonomo denominato Sinistra Indipendente di cui Parri fu il presidente per molti anni, mantenendosi all’opposizione dei vari governi di centrosinistra. La Sinistra Indipendente si caratterizzò per essere un gruppo aperto a personalità provenienti dalla Resistenza ma di diversa estrazione politica religiosa e sociale in posizione di alleanza critica in particolare con il PCI e la DC come i socialisti Tullia Carettoni e Luigi Anderlini, il dissidente cattolico e partigiano ADRIANO OSSICINI (1920- 2019), gli ex azionisti CARLO LEVI (1902- 1975) e GIORGIO AGOSTI (1910- 1992).
Nel 1974 in occasione delle stragi neofasciste di Brescia e del treno “Italicus” di Bologna Parri svolse un’intensa attività pubblicistica di denuncia delle trame oscure che minavano la democrazia e i valori della Resistenza e che continuerà negli anni successivi partecipando anche a trasmissioni televisive.
Il 25 gennaio del 1980 morì sua moglie Ester e il 30 aprile 1980 venne ricoverato all’ospedale militare del Celio. Morì in seguito a un collasso cardiocircolatorio l’8 dicembre 1981. I funerali si svolsero il giorno successivo alla presenza del capo dello Stato, Sandro Pertini, mentre toccò a un altro compagno della lotta antifascista, Leo Valiani, il compito di pronunciare l’orazione funebre. Parri fu sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno a Genova, come egli aveva espressamente scelto, accanto alla tomba di GIUSEPPE MAZZINI, il referente di tutta la sua vita.
Così scrisse Carlo Levi di Ferruccio Parri:
“Mi pareva che egli fosse impastato della materia impalpabile del ricordo, costruito col pallido colore dei morti, con la spettrale sostanza dei morti, dei torturati, con le lacrime e i freddi sudori dei feriti, dei rantolanti, degli angosciati, dei malati, degli orfani, nelle città e sulle montagne. Il suo corpo stesso pareva fatto di questi dolori, essi scorrevano nel suo sangue.”
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