Da dieci anni non passa giorno senza che qualcuno invochi l’esigenza di una nuova classe dirigente. Eppure quasi nessuno sembra accorgersi che, se tale espressione suona ormai logora all’orecchio dei più, non è per l’inettitudine o la disonestà dei singoli, ma anche e soprattutto perché l’età globale ha inesorabilmente compromesso le condizioni d’esistenza di una classe dirigente in senso proprio. Le oligarchie si sono sgretolate, dunque, in una società liquida e trasparente? Nient’affatto. Il nostro è il tempo opaco dei gruppi di interesse privato, che premono sui decisori pubblici in vista di un tornaconto particolare. Che cosa resta, quindi, della democrazia? Finché si ignorerà che le élites politiche sono essenziali per una democrazia libera e pluralistica, partecipata e consapevole, i partiti soccomberanno ai movimenti e il potere scivolerà indisturbato nelle mani di pochi giganti transnazionali. (IBS)

Il libro:   Giulio Azzolini,  Dopo le classi dirigenti. Le metamorfosi delle oligarchie nell’età globale,  ed. Laterza 2017,  € 20,00

 

Dal libro:

“La rabbia contemporanea non scommette sull’irresistibile avvento di un’altra società… il rancore dei nostri giorni è prima di tutto quello di chi rifiuta di essere espulso dal sistema capitalistico entro cui è cresciuto o quello di chi, trovandosi fuori, è disposto a tutto pur di entrare a farne parte”.

 

“La classe dirigente, ha scritto di recente Carlo Galli, “è la parte che dirige attivamente, con i suoi interessi e le sue ragioni, il Tutto” nazional-territoriale. Agire da classi dirigenti significa conferire alla società un orientamento politico, presentandolo come favorevole all’interesse generale. In questione c’è la direzione della collettività, la commistione tra interessi particolari e generali. Espressa in termini gramsciani, la funzione specifica delle classi dirigenti sarebbe quella di egemonizzare le masse. E qui non importa stabilire se la classe dirigente sia unica e coesa: già Dorso, come Aron e più di Gramsci, afferma che la concorrenza tra le varie frazioni della classe dirigente potrà anche essere vigorosa, ma l’aspetto dirimente consiste sempre nella capacità di tradurre azioni molteplici in una direzione comune. Ancora con le parole di Galli,

è importante sottolineare che le èlites burocratiche, che dovrebbero incarnare l’interesse generale-, e che quindi è impossibile pretendere da esse la gratuità, l’abnegazione, il sacrificio a favore del bene comune; ma è d’altra parte necessario che, nonostante la loro intrinseca parzialità, le élites siano all’altezza del compito di dirigere, e cioè non si limitino a coltivare interessi particolari ma li giustifichino come quelli che in una determinata fase storica sono i più utili alla collettività. Le élites, insomma, non sono semplicemente gruppi d’interesse o di pressione; non hanno solo privilegi o rendite di posizione da difendere, deroghe da chiedere, agevolazioni da esigere: sono anche capaci di cimentarsi apertamente con la sfera pubblica, di trasformare l’egoismo in egemonia .

Giulio Azzolini è ricercatore presso il Dipartimento di Filosofia dell’ Università di Roma “La Sapienza”.

 

vedi:  La maschera democratica dell'oligarchia

Quelle passioni meschine che avvelenano la politica

Psicopolitica e neoliberismo

Il finanzcapitalismo deve essere disarmato

La parabola della democrazia dei partiti


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