Nel vuoto di sovranità seguito all’8 settembre elaborarono un insieme di norme che prefigurò il nuovo ordine democratico
L’8 settembre 1943 il vuoto di sovranità aperto dalla dissoluzione dello Stato regio fa del Centro-Nord una terra di nessuno giuridica nella quale, come nello stato di natura di Hobbes, non c’è ordine, non c’è legalità, c’è solo paura della morte. Paura che nasce sia dalla violenza predatrice e terroristica esercitata in modo organizzato dai nazifascisti, sia dall’arbitrio sregolato e illimitato dei singoli militi e poliziotti tedeschi e repubblichini. E di ritorno allo stato di natura parla la migliore storiografia degli ultimi decenni, da Claudio Pavone a Giovanni De Luna, per la quale, venuta meno la sovranità statale, ogni italiano si trova nella condizione di poter scegliere di far valere la propria sovranità individuale.
È Marcello Venturi a mostrarci, nei suoi racconti, con l’elegante potenza del grande scrittore, come la sovranità del singolo che prende le armi sia legata in modo costitutivo al farsi individualmente carico della paura della morte che irrompe nelle esistenze degli italiani con il vuoto di imperium dell’8 settembre. Il partigiano di Venturi si arma per dare sovranamente ordine alla terra di nessuno giuridica in cui si muovono tedeschi, fascisti, delatori, estorsori, cacciatori di ebrei e di renitenti. Scegliendo di dare e prendere la morte per creare la nuova legalità, il partigiano fa del proprio corpo naturale il corpo politico sovrano e la banda è il luogo in cui la spontaneità sovrana del singolo in armi si fa autogoverno democratico.
Parola e azione
La banda partigiana è esperienza giuridica di instaurazione di un ordine basato sulla responsabilità personale, sulla partecipazione e sull’autogoverno. È, secondo la definizione di Quazza, microcosmo di democrazia diretta perché il farsi partecipazione della spontaneità sovrana del singolo trasforma la vicinanza esistenziale dello stare in banda in istituzione politica, nella pratica della politica come spazio orizzontale di parola e di azione in prima persona, senza alcun medium rappresentativo. La banda è un ordine giuridico: è ordo ordinatus dalle regole che essa stessa si dà; è ordo ordinans che, direttamente o per il tramite delle zone libere e delle repubbliche che a volte instaura, crea l’ordine giuridico del territorio che controlla.
Le bande adottano atti normativi per disciplinare ogni aspetto della vita delle popolazioni, costituiscono organi di governo locale, organizzano elezioni, battono moneta, istituiscono organismi giudiziari, esercitano le attività di polizia e di giurisdizione, regolamentano i tributi, disciplinano i prezzi, fissano minimi salariali, istituiscono guardie civiche, definiscono i programmi scolastici, regolamentano il trasporto civile, il servizio sanitario, i commerci, gli ammassi, i razionamenti. L’attività ordinativa delle bande viene svolta e intesa dai partigiani come creazione di un nuovo ordine giuridico, e questo ordine è segnato dalla sovranità del singolo e dall’idea della cittadinanza come insieme di diritti e doveri in cui quella sovranità si esprime. I partigiani sanno che saldare tra loro, progressivamente, gli ordini giuridici instaurati dalle diverse bande significa costituire e precostituire il nuovo ordine democratico generale.
Si è spesso scritto che la Resistenza italiana è caratterizzata da una scarsa capacità di progettazione istituzionale e da un ridotto sforzo di immaginare Stati futuri. Altrettanto spesso si è trascurato però di considerare che la Resistenza, se progetta poco, realizza molto, perché le bande creano, nell’immediato e nel concreto del ferro e del fuoco della guerra civile, i tanti tasselli ordinativi del nuovo Stato delle autonomie e delle libertà. La Resistenza è un’esperienza costituente perché instaura un nuovo ordine giuridico e, come tale, segna la rottura con l’ordinamento fascista e con quello monarchico ben prima dei decreti luogotenenziali, del 2 giugno 1946 e del 1° gennaio 1948.
La matrice del diritto
Quell’esperienza rimane dentro le persone che l’hanno vissuta e i tanti partigiani eletti alla Costituente la portano con sé, così che nella Costituzione del 1947 trova spazio e riconoscimento quella sovranità del singolo che della Resistenza è stata l’origine e il motore. Difatti, la cittadinanza repubblicana è l’insieme dei diritti in cui si esprime la sovranità popolare come sovranità dei singoli e il referendum abrogativo, strumento non plebiscitario di partecipazione e di decisione politica, fa della nostra democrazia una democrazia mista, non solo rappresentativa, ma anche diretta. Nella Costituzione repubblicana – a volerla leggere senza gli occhiali di una giuspubblicistica che, come ha scritto Mario Galizia, non ha ancora voluto fare i conti con la continuità delle proprie teorie e categorie tra fascismo e Repubblica – rivivono quell’autogoverno e quel protagonismo democratico e dal basso dei cittadini che furono la matrice e il centro valoriale del «nuovo diritto» delle bande partigiane e che rappresentano il fondamentale legato della Resistenza come fatto costituente.
Giuseppe Filippetta La Stampa 6/4/2017
vedi: La nostra Costituzione è stata fatta dai partigiani
La Costituzione figlia delle bande partigiane
Il paradosso della Costituzione
Costituzione: i valori non sono in crisi