Rileggere i Classici è piacevole e utile. Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Dunque. Era il 1974 e la casa editrice Einaudi pubblicava Todo modo di Leonardo Sciascia. Libro su un pittore di successo che arriva, per caso, in un eremo-albergo dove sta per iniziare un “ritiro spirituale”. Vi partecipano “vescovi, cardinali, uomini politici, industriali, notabili d’ogni genere, tutti vincolati dalla stessa trama di intrallazzi e complicità”. Sciascia mostra che gli esercizi spirituali “offrono una copertura a traffici e trattative che hanno come scopo una più lucrosa spartizione del potere”.
È già abbastanza per cogliere quanto il testo parli (anche) del nostro tempo. “Quando sembra che nulla possa inceppare la macchina delle connivenze”, una serie di delitti sconvolge l’eremo. Un giallo. Certo. Ma anche un invito a riflettere “sulla sostanza e le modalità del potere” clientelare e mafioso. È un prete a gestire l’albergo, una costruzione edilizia oltre ogni legalità: “C’era un eremo… e don Gaetano, tre anni fa, ha tirato su quest’albergo… La Repubblica tutela il paesaggio, lo so; ma poiché don Gaetano tutela la Repubblica… Insomma: la solita storia” (p. 7).
L’io narrante descrive i notabili in ritiro: “Si sentivano in vacanza: ma una vacanza che permetteva di riannodare fruttuose relazioni, ordire trame di potere, rovesciare alleanze…” (p. 27). Sciascia denuncia la “razza padrona”, religiosa all’apparenza, pronta a lucrare quando fiuta un affare. Quante persone (devote) oggi nei processi per mafia e corruzione. Todo modo: “c’era qualcosa di vero… vera pena, in quel loro andare nel buio dicendo preghiere… veniva facile pensare alla dantesca bolgia dei ladri” (p. 46). I nodi affrontati dal romanzo sono molti, “i grandi guadagni fanno scomparire i grandi principi”. L’ironia domina: tra tanta gente per bene chi sarà mai l’assassino? Crescono sospetti e inganni: “è un canestro di vipere”. Si mordono tra loro. Da quel che circola nelle carte delle procure italiane (non solo Consip) di vipere che si mordono è piena, oggi, la classe dirigente.
Al primo delitto, nell’eremo, ne seguono altri. Corruzione. Morte. Ricatti. Sciascia mette a nudo – tra dialoghi filosofici sul male – ingranaggi e meccanismi perversi di un modo di fare politica per denaro: “il corrotto non può provocare rovina sul corruttore senza restare sepolto dalle stesse macerie” (p. 85). È per questo che – in un’inchiesta odierna – alcuni sono ancora, al loro posto. Il filo delle indagini è giusto (nel romanzo e nella realtà): “Il filo… del denaro, degli interessi, degli affari loro, dei ricatti: che è l’unico possibile” (p. 93).
Sciascia non descrive solo i meccanismi del potere nell’Italia democristiano-socialista degli anni ‘70. Mostra un modo di essere e racconta (anche) il nostro tempo: i grandi guadagni fanno scomparire i grandi principi – leggiamo – e viene in mente qualche Ong improvvisata mossa dall’odore dei soldi. Ma quanto è difficile seguire la pista del denaro (“la chiave dei delitti è negli assegni” p.109).
Infatti: le acque si sporcano – non solo nel Mediterraneo – e don Gaetano muore. Assassinato. Don Gaetano: un uomo di chiesa attratto dal male. Todo modo anticipa pagine di Via Crucis (Chiarelettere) e si chiude senza la scoperta dell’assassino. Il romanzo è un’appassionata denuncia di vizi e intrighi – in tempi di compromesso storico – e una lucida riflessione sull’impossibilità di una giustizia: “Io lo dico sempre, caro commissario: il movente, bisogna trovare, il movente…” (p. 123).
Quale “delitto” contro la democrazia praticheranno nell’Eremo-Italia isolato dai Paesi occidentali dove il voto è ancora una buona abitudine e non “vince” con marchingegni elettorali chi perde le elezioni? Il delitto contro la democrazia è già in corso e non vedo un nuovo Sciascia capace di descriverlo.
Angelo Cannatà Il Fatto 9 maggio 2017
Leonardo Sciascia (1921- 1989), scrittore, giornalista, saggista
vedi: Pensiero Urgente n.202)
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