APPELLO
Siamo di fronte a una decisione urgente. Che non è decidere quale combinazione di sigle potrà sostenere il prossimo governo fotocopia, ma come far sì che nel prossimo Parlamento sia rappresentata la parte più fragile di questo Paese e quanti, giovani e meno giovani, in seguito alla crisi, sono scivolati nella fascia del bisogno, della precarietà, della mancanza di futuro e di prospettive. La parte di tutti coloro che da anni non votano perché non credono che la politica possa avere risposte per la loro vita quotidiana: coloro che non sono garantiti perché senza lavoro, o con lavoro precario; coloro che non arrivano alla fine del mese, per stipendi insufficienti o pensioni da fame.
La grande questione del nostro tempo è questa: la diseguaglianza. L’infelicità collettiva generata dal fatto che pochi lucrano su risorse e beni comuni in modo da rendere infelici tutti gli altri. La scandalosa realtà di questo mondo è un’economia che uccide: queste parole radicali – queste parole di verità – non sono parole pronunciate da un leader politico della sinistra, ma da Papa Francesco. La domanda è: “È pensabile trasporre questa verità in un programma politico coraggioso e innovativo”? Noi pensiamo che non ci sia altra scelta.
E pensiamo che il primo passo di una vera lotta alla diseguaglianza sia portare al voto tutti coloro che vogliono rovesciare questa condizione e riconquistare diritti e dignità. Per far questo è necessario aprire uno spazio politico nuovo, in cui il voto delle persone torni a contare. Soprattutto ora che sta per essere approvata l’ennesima legge elettorale che riporterà in Parlamento una pletora di “nominati”. Soprattutto in un quadro politico in cui i tre poli attuali: la Destra e il Partito democratico – purtroppo indistinguibili nelle politiche e nell’ispirazione neoliberista – e il Movimento 5 Stelle o demoliscono o almeno non mostrano alcun interesse per l’uguaglianza e la giustizia sociale.
Ci vuole, dunque, una Sinistra unita, in un progetto condiviso e in una sola lista. Una grande lista di cittadinanza e di sinistra, aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati, società civile. Un progetto capace di dare una risposta al popolo che il 4 dicembre scorso è andato in massa a votare “No” al referendum costituzionale, perché in quella Costituzione si riconosce e da lì vorrebbe ripartire per attuarla e non limitarsi più a difenderla. Per troppi anni ci siamo sentiti dire che la partita si vinceva al centro, che era indispensabile una vocazione maggioritaria e che il punto era andare al governo. Da anni contempliamo i risultati: una classe politica che si diceva di sinistra è andata al governo per realizzare politiche di destra. Ne portiamo sulla pelle le conseguenze, e non vogliamo che torni al potere per completare il lavoro.
Serve dunque una rottura e, con essa, un nuovo inizio: un progetto politico che aspiri a dare rappresentanza agli italiani e soluzioni innovative alla crisi in atto, un percorso unitario aperto a tutti e non controllato da nessuno, che non tradisca lo spirito del 4 dicembre, ma ne sia, anzi, la continuazione. Un progetto che parta dai programmi, non dalle leadership e metta al centro il diritto al lavoro, il diritto a una remunerazione equa o a un reddito di dignità, il diritto alla salute, alla casa, all’istruzione.
Un progetto che costruisca il futuro sull’economia della conoscenza e su un modello di economia sostenibile, non sul profitto, non sull’egemonia dei mercati sui diritti e sulla vita delle persone. Un progetto che dia priorità all’ambiente, al patrimonio culturale, a scuola, università e ricerca: non alla finanza; che affronti i problemi di bilancio contrastando evasione ed elusione fiscale, e promuovendo equità e progressività fiscale: non austerità e politiche recessive. Un simile progetto, e una lista unitaria, non si costruiscono dall’alto, ma dal basso. Con un processo di partecipazione aperto, che parta dalle liste civiche già presenti su tutto il territorio nazionale, e che si apra ai cittadini, per decidere insieme, con metodo democratico, programmi e candidati.
Crediamo, del resto, che il cuore di questo programma sia già scritto nei principi fondamentali della Costituzione, e specialmente nel più importante: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).
È su questa piattaforma politica, civica e di sinistra, che vogliamo costruire una nuova rappresentanza. È con questo programma che vogliamo chiamare le italiane e gli italiani a votare.
Vogliamo che sia chiaro fin da ora: noi non ci stiamo candidando a guidarla. Anzi, non ci stiamo candidando a nulla: anche perché le candidature devono essere scelte dagli elettori. Ma in un momento in cui gli schemi della politica italiana sembrano sul punto di ripetersi immutabili, e immutabilmente incapaci di generare giustizia ed eguaglianza, sentiamo – a titolo personale, e senza coinvolgere nessuna delle associazioni o dei comitati di cui facciamo parte – la responsabilità di fare questa proposta. L’unica adeguata a questo momento cruciale. Perché una sinistra di popolo non può che rinascere dal popolo. Invitiamo a riunirsi a Roma il prossimo 18 giugno tutti coloro che si riconoscono in questi valori, e vogliono avviare insieme questo processo.
Anna Falcone* e Tomaso Montanari** , *Vicepresidente Comitato per il No alla riforma costituzionale, **Presidente di Libertà e Giustizia 6 giugno 2017 il Fatto
Lo spirito del “no” batta l’inciucio R.&B.
Qual è il rimedio più efficace contro la corruzione, l’inefficienza delle leggi, e l’inaffidabilità dei politici? Ma è ovvio: mandare al governo uomini poco trasparenti, nemici della legalità, o del tutto inattendibili. Per fortuna uomini siffatti da noi abbondano. Due di essi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, sono pronti a rinnovare il loro antico sodalizio e ad assumersi l’improba fatica di riprendere il timone della Repubblica.
Le loro credenziali sono impeccabili. Berlusconi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale, è ineleggibile e ha evitato il carcere per gravissimi reati, quali la corruzione di senatori, il finanziamento illecito di partiti e il falso in bilancio, grazie al vergognoso trucco della prescrizione ed ha costruito la sua ascesa politica sulle accuse ai giudici di condannare galantuomini per ragioni ideologiche.
Renzi ha tuonato in Senato il 19 aprile 2016 contro la “vera e propria barbarie del giustizialismo”, e ha dato a tutti gli italiani un mirabile esempio di serietà quando ha affermato che se avesse perso il referendum sulla riforma costituzionale avrebbe abbandonato la politica. Invece è di nuovo sulla cresta dell’onda, capo indiscusso del Pd, affamato di governo come e più di prima. Domanda innocente ai suoi seguaci: come fate a fidarvi di un individuo così? O lo ammirate proprio perché è del tutto inaffidabile?
Cosa farà un governo Renzi-Berlusconi è fin troppo facile immaginare, in base al vecchio adagio che la volpe perde il pelo ma non il vizio: mano libera ai corrotti e ai corruttori, generosa profusione di menzogne e demagogia, mani legate ai magistrati che indagano sui politici. Se non fosse una tragedia per la Repubblica, sarebbe perfino divertente assistere a una competizione fra Renzi e Berlusconi su chi sa meglio mentire e meglio ingannare gli italiani.
La prova generale dell’alleanza di governo Renzi-Berlusconi l’abbiamo già vista il 16 marzo 2017 quando Forza Italia e una bella fetta di Pd hanno votato insieme per salvare Augusto Minzolini – condannato in via definitiva per peculato – dalla decadenza dal seggio parlamentare prevista dalla legge Severino: uno scempio vergognoso della legalità da fare fremere di sdegno ogni coscienza retta.
Ma il primo obiettivo della rinnovata santa alleanza sarà di sicuro la Costituzione repubblicana che entrambi detestano: l’uno perché avverte in essa odor di comunismo; l’altro perché la ritiene vecchia e incompatibile con la sua visione dell’azione di governo come gara di velocità. Berlusconi riesumerà il testo della sua riforma bocciata con il referendum del 25 e 26 giugno 2006; Renzi rispolvererà la sua riforma bocciata dal referendum popolare del 4 dicembre. In un batter d’occhi identificheranno i molti punti in comune e ci rifileranno un’altra riforma che permetterà a chi governa, cioè a loro stessi, di governare senza intralci istituzionali.
Di chi sarà la colpa, se tutto questo si avvererà? Ma di Marco Travaglio, naturalmente, che ha guidato la campagna per il No. Ce lo ha spiegato Roberto Dalimonte: “[Marco Travaglio] mi ha reso famoso, almeno tra i miei studenti e colleghi. L’ultima volta che ci siamo incontrati, in questa stessa trasmissione, io mi sono inventato ‘il paradosso di Travaglio’. È il paradosso di chi, votando No al referendum costituzionale del 4 dicembre, ha riportato in auge Berlusconi”.
Sfugge all’illustre giurisperito che la Costituzione non decide chi governa; stabilisce soltanto chi sceglie i governanti e i limiti entro i quali i governanti possono legittimamente governare. Chi governa lo scelgono gli elettori con i loro libero voto. Se Berlusconi ottenesse la maggioranza dei voti governerebbe sia con la Costituzione in vigore sia con quell’oscenità che abbiamo respinto il 4 dicembre. E governerà anche quando lo chiamerà Renzi, se avrà la maggioranze dei voti. Se Berlusconi governerà la colpa sarà dunque o degli elettori o di chi lo vorrà come alleato, ovvero di Renzi.
Potremmo consolarci con la considerazione che non voteremo più con l’incostituzionale Italicum ma con un sistema proporzionale. Ho sempre sostenuto che il proporzionale è migliore di qualsiasi sistema maggioritario perché offre migliori garanzie che il Parlamento rappresenti gli orientamenti politici dei cittadini. Purtroppo, ci ammonisce Andrea Pertici (Il Fatto, 2 giugno, 2017), il proporzionale che Renzi e Berlusconi stanno cucinando ci regalerà un Parlamento di nominati, in palese contrasto con il voto del 4 dicembre, quando i cittadini hanno espresso la volontà di scegliere i propri rappresentanti. Non sarebbe meraviglioso se lo spirito del 4 dicembre si manifestasse anche alle prossime elezioni e ci liberasse, per sempre, di Renzi e di Berlusconi? Troppo bello per essere vero.
Maurizio Viroli Il Fatto 3 giugno 2017
Un’alleanza di sinistra che parli al m5s
È giunto il momento di mettere a frutto la vittoria del No al referendum del 4 dicembre. Poco si è fatto in questi sei mesi per tradurre quel voto di resistenza in un progetto di riscossa costituzionale. Il più grave errore è stato quello di vedere come un punto d’arrivo quello che invece doveva essere un punto di partenza.
Gettare subito le fondamenta per costruire un fronte popolare, aperto, orizzontale, partecipato dal basso, unitario e inclusivo. Perché possano trovarvi posto tutte le anime democratiche del popolo del No, ma senza escludere in partenza con veti chi, pur avendo votato Sì, si impegni seriamente nel progetto di attuazione della Costituzione che abbiamo salvato il 4 dicembre scorso, e per il ripristino dei diritti sociali e civili che gli ultimi governi hanno letteralmente saccheggiato. Non è stato fatto finora e resta l’amarezza per l’occasione persa. Ma non siamo ancora fuori tempo massimo.
In questi mesi, Matteo Renzi, da peggior bugiardo, si è riorganizzato: non ha abbandonato la politica, come pure aveva promesso in caso di sconfitta, e si è messo al lavoro per tornare rapidamente a Palazzo Chigi. E ovviamente dalla sua parte ha ancora gli stessi centri di potere che l’hanno sostenuto finora, che aspettano di incassare altri dividendi. Quale sia il progetto dell’ex premier è ben noto, la priorità è allora fermarlo alle prossime elezioni per impedire che possa finire il lavoro che ha iniziato tre anni fa e proporre agli italiani un’alternativa di governo. Si può fare.
Marco Travaglio ha indicato proprio su questo giornale una possibile strada, io direi che è anche l’unica. La legge elettorale con cui si dovrebbe tornare al voto, ammesso che resti quella di cui si parla in questi giorni, non offre molte alternative: occorre che le varie anime della sinistra ritrovino un’unità programmatica, superando vecchi e inutili steccati, abbandonando antichi egoismi, personalismi e settarismi, andando al di là delle tessere di partito, mettendosi insieme non con le loro sigle, ma con il loro impegno e alleandosi col mondo dei movimenti civici e costituzionali.
Quello che una volta era il popolo della sinistra ha perso fiducia e lo si può riconquistare solo con una proposta credibile, non con un altro contenitore politico nelle mani delle solite élite, percepite ormai come distanti e viste con insofferenza. Quel tipo di errore lo abbiamo già commesso e sappiamo com’è andata.
Bisogna allora partire dalle esigenze concrete dei cittadini e fare quello che purtroppo non si è fatto finora: costruire un progetto con un’identità politica chiara, un’alleanza per la Costituzione che riprenda e rilanci la vittoria del 4 dicembre, che guardi agli interessi dei più deboli, che ripristini i diritti sociali e civili cancellati, che stia dalla parte dei lavoratori, che s’impegni a costruire un’occupazione vera e stabile, che faccia della lotta alle mafie e alla corruzione una priorità, che difenda la scuola pubblica e l’ambiente. Questo lo vogliono tanti italiani, come dimostrano le più di 50.000 firme che in pochi giorni abbiamo raccolto su change.org attorno alla proposta della confisca dei beni dei corrotti. È il momento per un nuovo civismo costituzionale.
Ma non basta. È necessario che questa alleanza per la Costituzione trovi nel Movimento 5 Stelle l’interlocutore con cui portare avanti un programma imperniato su pochi punti, chiari, su cui fare fronte comune, costruire un’intesa di scopo in grado di restituire finalmente democrazia, giustizia e diritti ai cittadini. La sfida è anche per loro, perché escano dall’isolamento e accettino di fare un percorso condiviso con chi combatte le stesse battaglie pur non avendo la stessa tessera. È arrivato il momento di pensare in grande. La protesta da sola non serve a cambiare le cose. Ciascuno abbia il coraggio di cambiarsi un po’ per cambiare radicalmente il Paese.
Antonio Ingroia Il Fatto 8 giugno 2017
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