Il 2 luglio 1857 muore a Sanza (Salerno) massacrato da una folla di contadini CARLO PISACANE (38 anni) militare, Patriota rivoluzionario Risorgimentale e Difensore della Repubblica Romana del 1849.
Carlo Pisacane nacque a Napoli da famiglia aristocratica. Nel 1826 il padre morì prematuramente lasciando la famiglia in ristrettezze economiche e il giovane Carlo iniziò la carriera militare a dodici anni quando entrò nella Scuola militare di San Giovanni a Carbonara. All’età di quattordici anni si trasferì nel collegio militare della Nunziatella e vi rimase fino al 1838 anno in cui sostenne gli esami di licenza.
Nel 1840 venne inviato a Gaeta come aiuto tecnico alla costruzione della ferrovia Napoli-Caserta, nel 1843 ricevette la promozione a tenente e ritornò a Napoli. Al ritorno nella città natale rincontrò ENRICHETTA DI LORENZO (1820- 1871), un suo amore giovanile che intanto si era sposata e aveva avuto tre figli: Enrichetta sarà una grande Patriota. Ad ottobre Pisacane subì un’aggressione probabilmente orchestrata dal marito di Enrichetta a causa del suo riavvicinamento con la donna.
Ai primi di febbraio del 1847 Carlo ed Enrichetta lasciarono l’Italia imbarcandosi diretti a Marsiglia. Dopo un viaggio pieno di peripezie ed inseguiti dalla polizia borbonica il 4 marzo 1847 giunsero a Londra sotto falso nome: Enrico e Carlotta Lumont. A Londra rimasero pochi mesi poi i due partirono alla volta della Francia dove il 28 aprile 1847 vennero arrestati perché viaggiavano con passaporti falsi. Poco dopo vennero scarcerati ma erano in condizioni economiche davvero precarie e intanto la figlia Carolina, nata dal loro recente matrimonio, morì prematuramente.
In Francia Carlo Pisacane ebbe l’opportunità di conoscere personalità del calibro di Dumas, Hugo, Lamartine e George Sand. Per guadagnarsi da vivere decise di arruolarsi come sottotenente nella Legione Straniera e partì per l’Algeria. Anche questa esperienza durò pochi mesi: infatti venne a conoscenza dell’imminente rivolta antiaustriaca nel Lombardo-Veneto e decise di tornare in patria per offrire i suoi servigi come militare esperto (1848).
In Veneto e in Lombardia combattè contro gli Austriaci come capitano comandante la 5a Compagnia Cacciatori dei Corpi Volontari Lombardi; a Monte Nota (TR) venne ferito ad un braccio e venne raggiunto da Enrichetta a Salò (BS) che lo assistette e lo curò. Partecipò poi come volontario nelle file piemontesi nella Prima Guerra di Indipendenza che non sortì i risultati sperati.
Dopo la sconfitta piemontese Pisacane si trasferì a Roma dove partecipò alla grande esperienza della REPUBBLICA ROMANA (1849). Il 27 aprile divenne Capo Sezione dello Stato Maggiore della Repubblica e combattè con grande intensità ed eroismo in prima linea contro i Francesi ma durante la difesa della città ebbe dei contrasti con GIUSEPPE GARIBALDI, poco incline a sottostare alla rigida organizzazione militare che Pisacane cercava di trasmettere all’esercito repubblicano.
Anche Enrichetta si distinguerà per impegno e coraggio nella difesa della Repubblica e nell’attività delle “ambulanze“ ( così erano chiamati i luoghi di ricovero dei feriti). Dopo la sconfitta della Repubblica Pisacane venne arrestato dai francesi e poi liberato grazie all’intervento della moglie. Si trasferirono in Svizzera: in terra elvetica il patriota italiano si dedicò alla scrittura di articoli sulle vicende delle guerre recenti a cui aveva partecipato. Intanto il suo pensiero si fece più vicino alle idee di Michail Bakunin ( filosofo e rivoluzionario russo, 1814- 1876) e venne profondamente influenzato dalle idee francesi del “socialismo utopistico”.
Enrichetta si spostò a Genova dove nel 1850 venne raggiunta dal marito e rimasero per sette anni in Liguria: qui Carlo scrisse il suo saggio “Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49“ in cui riaffermò il primato della questione sociale su quella politica: scopi ultimi della rivoluzione dovevano essere l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e del principio di autorità essendo la sovranità un diritto di natura inalienabile, non delegabile e che risiede nell’intera nazione; solo il socialismo, cioè una completa riforma dell’ordine sociale, avrebbe spinto il popolo alla battaglia offrendogli la speranza di un futuro migliore. Pisacane si può definire per questo uno dei primi socialisti italiani.
Le idee politiche del patriota napoletano si diversificarono in parte da quelle di GIUSEPPE MAZZINI, suo originario maestro, ma questo non impedì ai due di pianificare insieme una insurrezione nel meridione di Italia. I due studiarono un’azione rivoluzionaria che, collegata all’attività cospirativa del comitato napoletano di GIUSEPPE FANELLI (patriota napoletano, 1827- 1877), scongiurasse la soluzione moderata e monarchica della questione italiana perseguita dal Piemonte. Inoltre Pisacane volle attuare concretamente le sue teorie riguardo la “Propaganda del Fatto” ovvero l’azione avanguardistica che genera l’insurrezione popolare. Pertanto iniziò a prendere contatti con altri patrioti molti dei quali conosciuti durante la breve parentesi della Repubblica Romana.
Il 4 giugno 1857 si riunì con gli altri rivoluzionari per concordare i particolari dell’azione. Questo primo tentativo di raggiungere le coste del Regno di Napoli fallì perché Pisacane, che doveva impadronirsi con alcuni compagni del vapore Cagliari, per una tempesta non poté ricevere il carico di armi che ROSOLINO PILO (patriota siciliano, 1820- 1860) gli avrebbe dovuto consegnare in mare (9 giugno 1857). Recatosi a Napoli per avvertire del contrattempo il comitato, nonostante le perplessità espresse da Fanelli, Pisacane rientrò a Genova deciso a ritentare l’azione e il 25 giugno con una ventina di uomini s’impossessò del Cagliari. I patrioti allora scrissero un documento in cui sintetizzavano il loro pensiero:
“Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente che avendo tutti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti nella giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiariamo gli iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello non senza maledirlo sapremo morire da forti seguendo la nobile falange de’ martiri italiani. Trovi altra nazione al mondo uomini che come noi s’immolano alla sua libertà e allora solo potrà paragonarsi all’Italia benché sino a oggi ancora schiava“.
Anche questa volta Pisacane non poté ricevere le armi da Pilo, le cui barche a causa della nebbia non riuscirono a incontrare il vapore, ma proseguì ugualmente facendo rotta su Ponza per liberare i prigionieri presenti nel carcere: vennero liberati 323 detenuti che partirono con lui. Il 28 giugno il piroscafo attraccò a Sapri (Salerno).
Non avendo trovato traccia della sperata insurrezione (a cui avrebbe dovuto lavorare il comitato napoletano) Pisacane e i suoi cercarono invano di far sollevare le popolazioni di Torraca (SA); il 30 arrivarono a Casalnuovo (SA) e il primo luglio a Padula (SA) dove si scontrarono con i soldati borbonici che, aiutati dalla popolazione, riuscirono ad avere il sopravvento sui rivoltosi.
Pisacane e circa 80 superstiti furono costretti a fuggire a Sanza (SA). Qui il giorno seguente il parroco del paese don Francesco Bianco fece suonare le campane per avvertire il popolo dell’arrivo dei “briganti“. Così si concluse la sfortunata storia di questa insurrezione: infatti i contadini aggredirono i rivoltosi trucidandoli con ferocia e massacrando anche Pisacane ( alcune ipotesi storiche dicono che rimasto ferito si sia tolto la vita nella battaglia per non cadere prigioniero). I pochi superstiti vennero processati e condannati a morte: la pena verrà in seguito commutata in ergastolo.
Garibaldi aveva sempre espresso forti perplessità sull’azione progettata da Pisacane considerandola troppo avventata e non sufficientemente organizzata ma la sfortunata spedizione di Pisacane sarà di forte ispirazione per quella guidata da Garibaldi tre anni dopo nel 1860 ( I Mille) che realizzerà, anche se parzialmente, il sogno di Pisacane.
Sul luogo della morte di Pisacane e dei suoi compagni fu messo un cippo sepolcrale con questa iscrizione:
“Nuovo Decio disfidante il fato CARLO PISACANE da queste plebe livide di strage ruinava alla morte nè mai selvaggia tirannide strappò all’avvenire della patria un più eroico cuore.”
I resti di Pisacane e di molti suoi compagni sono andati dispersi.
Sul generoso e tragico tentativo rivoluzionario di Pisacane e dei suoi compagni il poeta Luigi Mercantini (1821- 1872) scriverà nel 1858 la celebre poesia La spigolatrice di Sapri:
… Eran trecento e non voller fuggire;
parean tremila e vollero morire:
ma vollero morir col ferro in mano
e avanti a loro correa sangue il piano:
fin che pugnar vid’io per lor pregai
ma a un tratto venni men né più guardai:
io non vedea più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.
Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti.
Vedete il nostro video ” Il dovere della Memoria“: QUI