Tra lecito e illecito – Il sindaco viola la legge, rivendicandolo per un’idea: la città dell’accoglienza
Mimmo Lucano sta vivendo le peggiori ore della sua vita. Chiuso nella sua casa trasformata in carcere è tormentato dal timore che il “modello Riace” finisca a pezzi. Che il paese si svuoti dei migranti, ritorni quel deserto di anime che era prima della grande illusione. Un po’ di vita alla marina. Case vuote al Borgo, per strada solo vecchi, i lunghi inverni nell’attesa dell’estate e del ritorno degli emigranti, gli italiani di Calabria che da decenni hanno costruito il futuro loro e dei figli al Nord, in Germania, in altri continenti. Hanno arrestato Mimmo Lucano, “’o curdu”, in ricordo di quello sbarco del 1998 di 200 profughi curdi che spuntarono come i Bronzi dallo Ionio. Ha rubato soldi? Neppure un centesimo. Ha fatto arricchire voraci cooperative sulla pelle dei migranti? No.
Lo scrive il giudice per le indagini preliminari che ha siglato il suo arresto ai domiciliari. La gestione dei fondi per l’accoglienza di profughi e rifugiati, minori, famiglie e bambini venuti dal mare, ospitati a Riace è “tutt’altro che trasparente… è acclarato che tutti i protagonisti dell’attività investigativa conformano i propri comportamenti a estrema superficialità”, ma “il diffuso malcostume emerso nel corso delle indagini non si è tradotto in alcune delle ipotesi delittuose delineate dagli inquirenti”. Non c’è concussione, non malversazione, non danno allo Stato, neppure associazione a delinquere. Riace non è Isola Capo Rizzuto, non Mineo, non Padova. Mimmo non si è arricchito con il suo sogno, non ha lucrato sulla pelle dei disperati: povero era e povero è.
Ma Mimmo ha violato la legge. Nella gestione dei fondi per l’accoglienza e della complessa rete di norme e leggi che regolano l’immigrazione è “soggetto avvezzo a muoversi sul confine (invero sottile in tali materie) tra lecito e illecito”. E lo fa in piena coscienza. Deliberatamente. Lo fa da disobbediente civile. Lo ammette. Lo dice pubblicamente. Lo teorizza quando usa il deprecabile escamotage di un paio di “matrimoni combinati” per accorciare la strada all’ottenimento di permessi di soggiorno e cittadinanza. Tutto discutibile, ovviamente. Ma quando Lucano ha seguito alla lettera leggi, norme e codicilli, se ne è pentito. Il 26 gennaio in una fetida baracca di San Ferdinando muore Becky Moses, nigeriana di 26 anni. A Riace aveva una casa e stava imparando un mestiere. Le respinsero per tre volte la richiesta di asilo e dovette andar via. Finì a fare la prostituta e morì in una baracca. Tra le fiamme.
Sarà un processo a stabilire se Mimmo “capatosta” è colpevole di qualcosa oppure no. Questo dice la legge e le sue garanzie, quelle che il ministro dei tweet Matteo Salvini ignora. Insieme al suo sottosegretario Carlo Sibilia ha già emesso la sentenza. Mimmo Lucano è disobbediente e visionario. La storia del Sud è zeppa di questi personaggi.
Danilo Dolci (grande pacifista e organizzatore sociale) violava deliberatamente la legge. A Partinico organizzò uno “sciopero alla rovescia” (i disoccupati che costruivano una strada), lo arrestarono e lo processarono. Lo difese Piero Calamandrei.
“Il Pubblico ministero ha detto che i giudici non devono tenere conto delle ‘correnti di pensiero. Ma cosa sono le leggi se non esse stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta… E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarci entrare l’aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue, il nostro pianto. Altrimenti, le leggi non restano che formule vuote… affinché diventino sante esse vanno riempite con la nostra volontà”.
Enrico Fierro Il Fatto 3 ottobre 2018
Un peccato di umanità
Mimmo Lucano è agli arresti domiciliari, nessuno stupore in un Paese che ha ormai fatto sua una prassi suicida: criminalizzare la solidarietà. Mimmo Lucano è stato il primo a essere attaccato da Matteo Salvini ed è oggi il primo a cadere sotto la scure di una legge iniqua come la Bossi-Fini che nessun governo, nemmeno quelli che hanno fatto dell’anti-berlusconismo la propria bandiera, ha voluto cambiare. Fanno sorridere i Di Maio, stolti e pilateschi, che credono di poter archiviare con un post su Facebook il modello Riace come una bad practice targata Pd. La loro incapacità di leggere il presente è solo pari alla rabbia che covano verso un alleato di governo che li ha completamente tagliati fuori da quella comunicazione becera di cui si sentivano padroni.
Eh sì, perché sentire la conferenza stampa di Salvini a Napoli è un piacere che ciascuno dovrebbe concedersi: intanto scopriamo che il problema di Napoli sono i motorini sequestrati, che occupano spazio. Se Salvini conoscesse Napoli, saprebbe che il problema di Napoli semmai sono i motorini non sequestrati, quelli su cui viaggiano intere famiglie con bambini piccolissimi. Ma siamo sempre là: il problema di Palermo è il traffico. Il problema del Paese sono gli immigrati e il problema della Calabria è Mimmo Lucano. E noi illusi che pensavamo fosse il narcotraffico.
La motivazione dell’arresto di Mimmo Lucano è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma mai nell’inchiesta leggerete che Mimmo Lucano ha agito per un interesse personale. Mai. E Mimmo Lucano ha fatto politica nell’unico modo possibile in un Paese che ha leggi inique.
Mimmo Lucano ha fatto politica disobbedendo. Disobbedienza civile: questa è l’unica arma che abbiamo per difendere non solo i diritti degli immigrati, ma i diritti di tutti. Perché tutti abbiamo il diritto di vivere una condizione di pace sociale, senza nessun ministro che ci indichi numeri civici dove vivono persone da cacciare in quartieri da “bonificare”. Esatto, bonificare. Queste le parole di Salvini. Ma bonificare da cosa? Dagli esseri umani?
Tutti abbiamo il diritto di vivere senza cercare colpevoli, e se il ministro ha subito individuato in Mimmo Lucano un nemico da abbattere, il Pd non ha mai compreso che se davvero voleva ripartire da qualche parte per ritrovare un barlume di credibilità, avrebbe dovuto farlo da Riace, da Mimmo Lucano. E prima ancora da Lampedusa e da Giusi Nicolini. E invece Mimmo è solo, e la Bossi-Fini è ancora lì a inchiodare, a bloccare chiunque decida di accogliere e di salvare vite. Legge-obbrobrio, legge intoccabile.
Mimmo Lucano, un uomo solo a lottare contro una legge iniqua. Una legge che vede silenziosamente coesi coloro i quali ogni giorno si presentano a noi come acerrimi nemici. I Salvini, gli Orfini, i Minniti e i Toninelli, i Renzi, i Martina, i Di Maio, i Di Battista, i Bonafede, tutti uguali: nessuno di loro ha mai osato mettere in discussione i frutti più amari del berlusconismo: la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi che riempiono le carceri di immigrati e tossicodipendenti, rendendo il nostro uno Stato-fortezza, uno Stato di polizia. In un Paese diverso, un partito di sinistra unirebbe elettori solo dicendo basta a questi due obbrobri.
Vi sembra possibile che il problema della Calabria, terra di narcotraffico e corruzione criminale, sia l’immigrazione? Mimmo Lucano è stato arrestato anche per “fraudolento affidamento diretto della raccolta rifiuti”, eppure mai si legge negli atti della Procura di Locri che abbia agito per guadagno personale, anzi si sottolinea il contrario. Il razzismo oggi in Italia è usato come arma di distrazione di massa, dovremmo rassegnarci a questa pratica trasversale a ogni partito, ma no. Non ci rassegniamo.
Questo governo, attraverso l’utilizzo politico di questa inchiesta giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione definitiva dell’Italia da democrazia a Stato autoritario. Con il placet di tutte le forze politiche.
Ma le parole sono superflue, anche le mie. Andate piuttosto a Riace, vedrete bambini africani che parlano calabrese e case in disuso messe a disposizione degli immigrati da chi ha lasciato l’Italia, da italiani migranti economici accolti in Australia o in Sudamerica. Italiani che in questa Italia non ce l’hanno fatta.
Dobbiamo mettere il nostro corpo in difesa del progetto Riace che è il modello più importante di accoglienza di tutto il Mediterraneo. “Io la carta d’identità gliela faccio… Io sono un fuorilegge, sono un fuorilegge perché per fare la carta d’identità io dovrei avere un permesso di soggiorno in corso di validità…in più lei deve dimostrare che abita a Riace, che ha una dimora a Riace, allora io dico così, non mando neanche i vigili, mi assumo io la responsabilità e gli dico va bene, sono responsabile dei vigili…la carta d’identità, tre fotografie all’ufficio anagrafe, la iscriviamo subito…”. Io sono un fuorilegge, dice Mimmo Lucano.
Fuorilegge per aver fatto carte d’identità a chi avrebbe dovuto avere documenti per diritto e in tempi brevi. Per essersi assunto, da solo, le responsabilità che dovrebbe assumersi un intero Paese. E invece, insieme a questa politica codarda, tutti giriamo lo sguardo altrove. Agli occhi dell’opinione pubblica si vuol far passare Mimmo Lucano per colpevole e chi ha rubato agli italiani quasi 50 milioni di euro, e chi ha sequestrato persone inermi per bieco profitto politico, no. Tutto questo è assurdo e paradossale.
Ecco perché vi invito tutti a stare accanto a Mimmo Lucano; la democrazia va difesa e questo processo diventa un banco di prova: impegniamoci tutti a smontare, una a una, le accuse a Mimmo Lucano. È l’unico modo che abbiamo per difendere il nostro Paese e quello che siamo. La caccia agli oppositori si è aperta, ci arrendiamo al processo di trasformazione della Repubblica italiana nella Repubblica ungherese di Orbán? No, non ci arrendiamo.
Attiviamoci tutti, ché ora tocca a noi perché, come scrisse Bertolt Brecht: “Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”.
Roberto Saviano Repubblica 3 ottobre 2018
La disobbedienza generosa di Lucano
Ho un amico senegalese, arrivato in Italia sei anni fa: è un clandestino. Lavora: fa il falegname. Ha un ruolo nella nostra società: a cui non nuoce in nulla, anzi alla quale giova moltissimo, con la sua dedizione, con la qualità del suo lavoro, con la sua onestà. Ma è un fantasma: uno schiavo del nostro sistema.
Ma con le leggi che ci siamo dati, non c’è modo di fargli avere un permesso di soggiorno, e chissà, un giorno la cittadinanza. Abbiamo chiuso tutte le strade: e non perché siano troppi, ché anzi ci servono (in tutti i sensi). No: per la “percezione dell’insicurezza” messa a reddito da una politica ridotta all’imprenditoria della paura.
Ebbene, se io potessi organizzare un matrimonio combinato per dargli la cittadinanza, lo farei. Se, pur violando qualche norma, potessi affidargli un appalto pubblico per un lavoro che fosse in grado di fare bene, non ci penserei un momento. È quello che ha fatto Mimmo Lucano, su una scala così importante da essere diventato un modello e un riferimento internazionale. Ora Mimmo Lucano si difenderà in un processo, come tutti coloro che si trovano costretti a violare la legge perché quella legge è inumana, ingiusta, sbagliata. È una resistenza civile, una disobbedienza: e chi la pratica sa perfettamente che può essere chiamato a pagarne tutto intero il prezzo.
Anche se vive in una terra, come la Locride, in cui certo le infrazioni della legge hanno altri moventi, e in cui un cittadino si potrebbe ingenuamente aspettare che la procura usasse tempo e soldi per perseguire altri reati. Ma il punto non è questo. Il punto è da che parte stare: e c’è un’Italia che sta con Mimmo Lucano, perché sente che l’unico modo di superare queste leggi è disobbedire, pagandone il prezzo. Chi la pensa così sa che dalla parte del sindaco di Riace c’è un alleato potente: che si chiama Costituzione della Repubblica italiana. Già: si può violare la legge, e però attuare la Costituzione.
Il precedente è quello celeberrimo di Danilo Dolci, processato nel 1956 per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a disobbedire alle leggi e invasione di terreni. Capi di imputazione ben più gravi di quelli contestati a Lucano: e legati anche in quel caso a una lotta per i diritti dei più poveri. In quel memorabile processo sfilarono come testimoni della difesa di Dolci figure come quelle di Carlo Levi ed Elio Vittorini, e fuori dall’aula le ragioni dell’imputato furono difese da La Pira, Piovene, Guttuso, Zevi, Bertrand Russell, Moravia, Bobbio e Zavattini, Silone, Sellerio, Capitini, Paolo Sylos Labini, Eric Fromm, Sartre, Jean Piaget e da altri ancora.
Alla fine Dolci fu condannato: a cinquanta giorni di reclusione. Eppure la sua battaglia ebbe un’importanza cruciale: per cambiare il senso comune, e le stesse leggi della Repubblica.
Uno degli avvocati difensori di Dolci fu, è noto, Piero Calamandrei, e la sua arringa è il testo più illuminante da leggere per capire anche questo caso di 62 anni dopo: “Anche oggi l’Italia vive uno di questi periodi di trapasso, nei quali la funzione dei giudici, meglio che quella di difendere una legalità decrepita, è quella di creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla Costituzione”.
Ebbene, quel periodo di trapasso non è finito: la nostra legalità non è ancora la legalità nuova promessa dalla Costituzione. In particolare, la legislazione sui migranti è in gran parte contro lo spirito e la lettera della Costituzione, e contro i diritti umani più elementari. Disobbedire a queste leggi, essendo disposti a pagare il prezzo di questa disobbedienza, è un modo generoso e impervio per cambiare lo stato delle cose.
Per questo sto con Mimmo Lucano, e faccio mie le parole di Calamandrei: “Vorrei, signori Giudici, che voi sentiste con quale ansia migliaia di persone in tutta Italia attendono che voi decidiate con giustizia, che vuol dire anche con indipendenza e con coraggio questa causa eccezionale: e che la vostra sia una sentenza che apra il cuore della speranza, non una sentenza che ribadisca la disperazione”.
Tomaso Montanari, presidente di “Libertà e Giustizia”, Il Fatto 4 ottobre 2018
Vedi: Dalla Nuova Zelanda notizie per l’Italia
"Vi sembra giustizia? Bisogna disobbedire."
Io difendo il sindaco Domenico Lucano
Come si fabbrica la cattiveria
Un uomo solidale: DANILO DOLCI
I migranti e l’ipocrisia dell’accoglienza
Calamandrei: " La rivoluzione sulla Carta inizia riconoscendo i diritti sociali”