«Il popolo americano è diviso da una guerra culturale. In più, alcune parti delle sue élite hanno un interesse materiale a creare caos. […] Anche se ufficialmente erano una democrazia basata sulle regole, gli Stati Uniti erano diventati, dopo decenni di economia liberista, un contesto privo di regole per chiunque disponesse di potere tecnologico o finanziario». Paul Mason
«C’è un nuovo totalitarismo all’orizzonte, non imposto da dittatori pazzi, ma prodotto da un adattamento volontario alle nuove dimensioni sociali del potere». Jonathan Friedman
Michel Foucault, Sorvegliare e punire, nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976
Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, LUISS, Roma 2019
Verità e Potere
Il controllo sociale come obiettivo primario della Modernità. Nella sua fase aurorale (Primo Moderno), entro il perimetro tracciato dalla nuova economia mercantile e dalla scienza calcolante che si sono fatte Stato; dunque l’organizzazione preposta alla sorveglianza analizzata da Foucault. Nella sua fase autunnale (o forse terminale) – post-moderna o iper/sur-moderna che dir si voglia – strutturata dalle tecnologie comunicative, la mercificazione del virtuale esplorata dagli studiosi dell’infosfera; tra cui la nostra guest star Zuboff.
Con una costante, immutabile nel tempo: la preoccupazione di tenere a bada ceti percepiti come “pericolosi”. Partendo dalla grande intuizione metodologica – alla base dei processi del disciplinamento messa in pratica a partire dalla fine del secolo XVIII in ogni ambito del sociale – che con la fine della pena spettacolarizzata (leggi, le torture su pubblica piazza), a fronte di una nuova tecnologia del castigo, «si è passati da un’arte di sensazioni insopportabili a un’economia di diritti sospesi».
Strategia ispirata a una ricetta generale per l’esercizio del potere sugli esseri umani, che diventerà il filo conduttore definitivo: «la sottomissione del corpo per mezzo del controllo delle idee». Il grande tema foucaultiano della produzione di verità come esercizio di potere: «la verità è di questo mondo; essa vi è prodotta grazie a molteplici costrizioni. E vi detiene effetti obbligati di potere. Ogni società ha il suo regime di verità, la sua politica generale della verità». Più sinteticamente, «la verità nei suoi effetti di potere e il potere nei suoi discorsi di verità».
Ecco – quindi – emergere e imporsi la visione generale del controllo come grande macchina, già messa a punto negli opifici e nelle fabbriche dove si organizza un nuovo tipo di sorveglianza del modo di comportarsi dei lavoratori, in termini di zelo e prontezza. «La disciplina fa funzionare un potere relazionale che si sostiene sui propri meccanismi e che, allo splendore delle manifestazioni, sostituisce il gioco ininterrotto di sguardi calcolanti […]. Potere che è in apparenza tanto meno corporale quanto più è sapientemente fisico».
A margine di questo celeberrimo saggio sull’instaurazione nel Moderno dell’universo disciplinare – risalente al 1975 – così annotava David Harvey: «è in questi termini che Foucault rileva la svolta repressiva delle pratiche illuministiche in direzione della sorveglianza e del controllo».
Un continuismo di logiche nell’evoluzione della società dedita alla sorveglianza, oggi potenziato a dismisura dalle tecnologie a disposizione; nel passaggio dalla metafora dell’orologio (propria della fisica newtoniana) a quella del network, egemone nell’attuale fase detta dell’informazionalismo.
Rivelando la persistenza nel tempo di quello che appare il “cuore di tenebra” di un regime che si dichiara ostentatamente “democratico”. Dunque, in apparenza rispettoso dei diritti civili. Privacy compresa.
Sorveglianza, mutazione pirata del Capitalismo
È da questa natura bifronte del Moderno che viene emergendo il fenomeno che prende nome di “Capitalismo della sorveglianza”; coniugando inconfessati retro-pensieri demofobici, che ci accompagnano dal tempo delle cosiddette “rivoluzioni borghesi”, con le inusitate potenzialità dell’Intelligenza Artificiale dedicata a profilare, analizzare e catalogare congerie incommensurabili di dati. Sia per scopi di ordine pubblico sia di promozione commerciale. All’insaputa di coloro da cui tali dati sono stati estratti. Mentre il sogno digitale (Internet come grande spazio di democrazia) si va facendo sempre più oscuro. Il tema centrale del ponderoso (e pure talvolta dispersivo) saggio della Zuboff.
Operazioni smascherate già nel 2013 da Edward Joseph Snowden, il whistleblower (il segnalatore di illeciti, alla lettera “quello che fischia il fallo”) ex consulente della National Security Agency USA.
Intervistato da Roberto Saviano, il giovane ramingo, tuttora inseguito dalla giustizia del suo Paese, ha ricostruito così le origini del fenomeno: «dopo la bolla [2008, crack Leman Brothers e implosione del sistema finanziario mondiale, ndr] le aziende capirono che la connessione umana che Internet aveva reso possibile poteva essere monetizzata: dovevano semplicemente trovare il modo di inserirsi in questi scambi sociali e trarne profitto. Così è nato il capitalismo di sorveglianza».
Un plesso di interessi convergenti tendenti al perverso. Difatti «il vero nemico non è la tecnologia ma l’attuale regime politico ed economico – una diabolica commistione tra il complesso militare-industriale e la totale mancanza di controllo su annunci pubblicitari e mondo bancario – che sfrutta le più recenti tecnologie per raggiungere i suoi scopi malvagi (anche se redditizi e talvolta piacevoli). La Silicon Valley è la componente in vista di questo mix, quella di cui si parla di più, la più naive».
Intuizione da cui è balzato fuori un nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche segrete di estrazione, previsione e vendita; raggiungendo una platea di tre dei sette miliardi di umani che abitano la Terra.
Una via di mezzo tra la pirateria informatica e il parassitismo, che attualmente produce la massima concentrazione di ricchezza promettendo la sicurezza assoluta; in prima battuta a scapito della privacy, per arrivare all’espropriazione dei diritti umani fondamentali e perfino alla sovversione della sovranità democratica. Regime bollato dalla Zuboff “famelico e insaziabile”.
«Come le civiltà industriali hanno potuto prosperare a discapito della natura e ora minacciano la Terra, così una civiltà dell’informazione nata dal capitalismo della sorveglianza e dal suo nuovo potere strumentalizzante prospererà a discapito della natura umana e minaccerà di distruggerla».
La svolta dal capitalismo dell’informazione in direzione di una nuova logica di accumulazione: il controllo manipolativo dei comportamenti. Nelle due versioni: economica (propensioni di acquisto) e politica (induzione subliminale di scelte nel campo elettorale). In un contesto sociale dove i Big Data ormai costituiscono il cuore nella maggior parte dei rapporti di potere dell’economia digitalizzata.
Secondo il massmediologo Evgeny Morozov e la tecnologa digitale Francesca Bria, «tale modello è stato accuratamente descritto come capitalismo della sorveglianza, in quanto la sorveglianza non si applica solo a scopi securitari da parte di governi e agenzie di intelligence, ma diventa il cuore dei nuovi modelli economici della società digitale. Prodotto gratuito a patto che i cittadini diventino il prodotto stesso».
Una cappa in espansione che è diventata scandalo mondiale, lo spartiacque nella comprensione delle potenzialità truffaldine nell’uso dei dati personali, con lo smascheramento all’inizio del 2018 del ruolo esercitato da una società britannica – Cambridge Analytica – nell’elezione del presidente degli Stati Uniti e nel referendum sulla Brexit. La raccolta illegale dei dati personali di milioni di account Facebook senza il loro consenso, utilizzati a scopo di propaganda politica.
Secondo il giornalista inglese Paul Mason, «attraverso Cambridge Analytica e Facebook gli americani hanno creato algoritmi di controllo delle opinioni che consentono alla loro democrazia di essere manipolata da chiunque abbia i soldi per farlo».
Con impatti a partire dalla vita quotidiana. Emblematico il caso di quel padre raggiunto indebitamente dalla notizia «che la figlia era incinta dopo aver trovato nella buca delle lettere un volantino pubblicitario della catena di negozi Target [forniture alle puerpere, ndr]. La previsione (azzeccata) dell’azienda era basata sull’analisi dei prodotti acquistati di norma da altre donne incinte».
Indignatevi!
Una clamorosa rottura nella storia del Capitalismo, di cui la Zuboff elenca quelli che – a suo giudizio – sono i punti principali: «per prima cosa si basa sul privilegio di una libertà e una conoscenza illimitate; per seconda cosa abbandona gli storici rapporti di reciprocità con le persone; per terza cosa, dietro allo spettro della vita nell’alveare è possibile intravedere una visione collettiva della società, sostenuta da un’indifferenza radicale espressa nel Grande Altro (‘il burattinaio che impone la propria volontà per mezzo dell’apparato digitale’)».
Decodificando: la totale libertà di azione – in larga misura neppure compresa nei suoi effetti devastanti dalle istituzioni regolative pubbliche – di cui dispongono i capitalisti della sorveglianza nel “raschiamento e vendita delle vite altrui trasformate in materia prima”; la rimozione dello scambio relazionale inclusivo tra potere economico e società (in particolare il compromesso keynesiano-fordista alla base del Welfare: accettazione dell’ordine proprietario a fronte della promessa occupazionale); lo sviluppo imprevisto, per un regime incubato dal neo-liberismo di sessant’anni fa, che vede i capitalisti della sorveglianza trasformarsi negli autoproclamati padroni di una società ridotta all’ordine dell’alveare o del termitaio, grazie al piedistallo su cui sono issati dalla clamorosa asimmetria di conoscenza tra loro e le masse passivizzate.
Morozov aveva parlato di “signori del silicio”, Zuboff ripristina la denominazione tardo-ottocentesca di “robber barons” (baroni ladri).
Quanto emerge è una inedita forma di totalitarismo che ribalta ogni precedente condizione storica: se all’inizio del Diciannovesimo secolo e poi per buoni tra quarti del Novecento l’ascesa della democrazia era indissolubilmente legata alla dipendenza dalle masse del capitalismo industrialista, «il capitalismo della sorveglianza è parte di una preoccupante deriva, che secondo molti analisti politici sta portando il pubblico a non ritenere più la democrazia una necessità inviolabile».
Secondo la terminologia proposta dai politologi harvardiani Daron Acemoglu e James A. Robinson, il passaggio dell’economia fattasi potere da una condizione “inclusiva a una estrattiva”.
«Le istituzioni politiche ed economiche, che sono in ultima analisi il prodotto delle scelte di una società, possono essere di tipo inclusivo e assecondare la crescita economica, o viceversa di tipo estrattivo e ostacolarla. Le nazioni falliscono quando hanno istituzioni economiche estrattive sostenute da istituzioni politiche dello stesso tipo che ne intralciano la crescita o la impediscono del tutto».
Se tale analisi è corretta, sulla testa dell’umanità incombe non la minaccia della “sesta estinzione” (la scomparsa dei vertebrati), bensì “la settima”; che non riguarderà la natura, «bensì la parte più importante della natura umana: la volontà dell’individuo, i legami di intimità, la socialità che ci lega l’un l’altro attraverso le promesse e la fiducia».
Una possibilità inquietante, innanzi alla quale la parola di Shoshana Zuboff è sempre la stessa che nel fatidico 2011 risuonò nei quartieri di tutto l’Occidente sedicente “avanzato”: «indignazione». Zuboff populista? Il futuro potrà essere digitale, ma dovrà per prima cosa essere umano.
Pierfranco Pellizetti in Micromega on line 27 novembre 2019
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