La retorica della salute pubblica usata per chiedere e ottenere la limitazione delle libertà. Non ci preoccupiamo per il bene comune, ma per il nostro interesse personale.
La retorica politica e giornalistica, in un trionfo di buffissimi toni da Ventennio, racconta che durante questa crisi l’Italia s’è unita in mirabili dimostrazioni di solidarietà e altruismo. Gli italiani avrebbero finalmente capito che qui è in gioco la salute pubblica, e che ciascuno deve contribuire alla protezione di quel bene comune.
L’idea sarebbe dunque questa: rinunciamo a una quota di libertà e benessere personale in favore di un interesse preminente, cioè appunto quel bene comune rappresentato dalla salute pubblica. Niente di più falso.
Perché tutelare la salute pubblica significa anche – io direi: prima – non lasciare che un Paese muoia di debito e fallimenti. Tutelare la salute pubblica significa assicurare le condizioni di funzionamento della produzione industriale, dell’istruzione, della giustizia. Perché non curare tutto questo produce non solo povertà e svilimento di un Paese ma, concretamente, una prospettiva di incalcolati decessi..
Istigati da quella retorica, gli italiani hanno preso a reclamare qualsiasi restrizione e a celebrarne l’inevitabilità in omaggio a quel bene supremo, la “salute pubblica”, pure facendo le visite che tutto questo insorga a motivo di una nobile ansia altruistica.
Ma non è vero e anzi è vero il contrario. Tutto questo suppone semmai una magari comprensibile ma certamente egoistica pretesa di protezione singolare in barba agli interessi comuni e superiori.
Vogliamo che il governo faccia “tutto” quel che si deve per fermare il virus: cioè chiudere scuole, negozi, uffici, giardini, e poi limitare i nostri movimenti assicurando l’ordine con il presidio delle camionette ed elevando a delitto la dichiarazione sbagliata resa al militare che ci interroga sul nostro itinerario.
Questo preteso “tutto”, che chiediamo al governo di fare e di cui ci compiaciamo quando è fatto, nei nostri desideri non è per nulla rivolto alla tutela del bene pubblico ma al nostro singolare: voglio che il governo faccia tutto affinché io non mi ammali.
E il richiamo alla “salute pubblica”, questo feticcio, è solo un modo ipocrita per ammantare di qualche sensibilità civica un feroce interesse personale e al più familistico.
Il primo interesse pubblico sarebbe quest’altro: e cioè che si comprendesse che non si può fare tutto contro il dilagare di questa malattia, se per “fare tutto’ intendiamo subordinare ogni scelta, ogni decisione, ogni provvedimento all’esigenza di contrasto del virus.
Più ancora: il primo interesse pubblico sarebbe di far comprendere che tutto non solo non si può fare, ma non si deve.
Iuri Maria Prado, avvocato Il Riformista 19/3/2020
“La retorica, a quanto pare, è artefice di quella persuasione che induce a credere ma che non insegna nulla intorno al giusto e all’ingiusto.”
Socrate (470- 399 a.C.), filosofo greco
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