L’esercito per le strade, per favore no

In Sicilia l’esercito è già arrivato. A Milano sta per arrivare. Altre Regioni lo chiedono e il governatore della Campania De Luca non ha timore a dire che “bisogna militarizzare tutto”. Non si riferiscono al supporto da dare ai medici e agli operatori sanitari nel gestire l’emergenza, né all’assistenza alle persone anziane o malate, o all’aiuto da dare, e che finora non è stato dato, a coloro che sono senza fissa dimora, italiani e soprattutto migranti, oggi i più esposti di tutti. No. Si riferiscono ai controlli, ai divieti, alle multe.

Anche quando la situazione è tragica, la molla che scatta è sempre quella di chiedere non più autorità, ma più autoritarismo, non più democrazia, che è invece quella che ci sta salvando, ma meno democrazia.

L’esercito che a Bergamo ha trasportato le bare, facendo un servizio e un gesto di grande valore, ora viene chiamato a dettar legge. E a me fa paura. Molta paura. E penso che al di là delle ideologie, una popolazione già stremata dai fatti e da come vengono raccontati da molti media, di tutto abbia necessità fuorché di venire ulteriormente spaventata. Eppure è quello che accadrà. Ci sentiremo assediati.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di pensarci come una comunità libera e non come dei sudditi di un potere militare. Il rischio è grosso. Viene in mente la serie tv Il racconto dell’Ancella tratto dal romanzo della scrittrice canadese Margaret Atwood: con la scusa dei problemi ambientali, un piccolo gruppo di potere usa l’esercito per annientare le libertà e sottomettere le donne, ridotte in schiavitù. Sono le ancelle, le schiave, il cui unico valore è la possibilità di procreare. Un mondo senza amore, senza speranza, senza colori. Lì non si vedono persone correre – quelli che oggi sono diventati i nemici pubblici numero uno – né si creano assembramenti.

Nella serie, come nel romanzo, la scintilla che porta alla dittatura è reale: la questione ambientale. Nessuno del resto può negare che su questo fronte ci siano grossi problemi, basta chiedere a Greta Thunberg. Ma niente giustifica l’affermarsi di un sistema feroce e dittatoriale. Certo non siamo arrivati a quel punto. Ma dobbiamo stare attenti, vigilare.

Se infatti un problema serio, serissimo come il Covid-19 invece di essere affrontato con gli strumenti della democrazia viene affrontato con le misure usate anche dalle dittature, provoca sicuramente una ricaduta negativa. Molto negativa.

Stiamo attraversando un crinale assai delicato. Dobbiamo capire se. travolti dall’emergenza, davvero vogliamo affidarci a un potere assoluto, non più democratico, o se invece oggi più che mai vogliamo scommettere sulla carta della condivisione e della partecipazione.

Tanti film e romanzi che abbiamo letto in questi anni ci hanno avvertito del rischio che correvamo. Paura del virus e potere dispotico si sono spesso legati nel costruire il nostro immaginario catastrofista. Ma erano film, erano libri.

Qui stiamo parlando della nostra realtà. E non ci deve essere emergenza che possa valere, non c’è pericolo che ci debba fare cambiare strada. In questi giorni stiamo giocando una doppia partita. Salvare quante più vite possibili. Fare di tutto perché il virus si fermi.

Ma anche salvare il bene più prezioso: la libertà e la democrazia. Militarizzare le nostre città, va dalla parte opposta.

Angela Azzaro      Il Riformista  21/3/2020

 

 

Fase difficile, ma non è la guerra. Vogliono uccidere la democrazia?

Usano il covid per rafforzare il potere di pochi

Si ha l’impressione di una strumentalizzazione di questo momento, certamente emergenziale, ma in cui si ripetono proclami come al fronte. Chiusi ormai da giorni in casa, l’orizzonte sia spaziale e sia temporale di ciascuno di noi si è improvvisamente ristretto. Così come non è più possibile uscire di casa, al tempo stesso è sempre più difficile uscire dalla paralisi presente e fare progetti per il futuro.

Il continuo riferimento nei discorsi pubblici alla “guerra”, che il paese sta combattendo e che unito può vincere, la comunicazione istituzionale sempre più militarizzata, scandita dai bollettini della Protezione civile e dalle dirette Facebook del Presidente del consiglio, accentuano un comune sentimento di vivere “un’ora suprema”.

Ma è davvero così? La generazione degli italiani, che hanno vissuto consapevolmente la Seconda guerra mondiale con i bombardamenti e la fame, non c’è più. Ma c’è ancora quella di coloro che hanno vissuto il dopoguerra e visto gli immani sacrifici che furono dietro il famoso miracolo economico. E, poi, vi sono i resoconti dai veri teatri di guerra: l’Iran, il confine tra la Grecia e la Turchia per fare un esempio.

La guerra, insomma, è tuttaltra cosa, e perciò, forse, vi è bisogno di un ridimensionamento, come ha scritto Giuliano Cazzola su questo giornale. E’ un momento difficile, molto difficile, le conseguenze economiche saranno devastanti, ma non è una guerra.

Eppure, va registrato un atteggiamento delle istituzioni troppo spesso teso a rappresentare l’emergenza coronavirus come uno stato di guerra.

La comunicazione delle istituzioni è tutta tesa a dare l’idea dell’uomo solo al comando. Conte che comunica con le dirette Facebook, in una relazione diretta tra il condottiero ed il suo popolo. Conte che scandisce frasi come “ho deciso”, “mi assumo la piena responsabilità politica”, le quali implicitamente significano l’obliterazione di tutte le procedure democratiche di assunzione delle scelte politiche.

Contemporaneamente, con un disgustoso asservimento di molta parte dell’informazione, l’accusa di sciacallaggio a qualsiasi critica possa riguardare la condotta del governo. Basta considerare il silenzio indecente di larga parte dei mezzi di informazione su quanto è avvenuto e su quanto sta avvenendo nelle carceri e sulla palese inadeguatezza dell’attuale Guardasigilli.

L’impressione, allora, è di una strumentalizzazione di questo momento, certamente difficile ed emergenziale, per mandare in soffitta la democrazia e sostituirla con una democratura. Se non nelle forme, nei fatti, che è quello che alla fine rileva.

Ed il pensiero, allora, non può non andare a quel fiume di proclami che si sono costantemente levati contro ogni proposta di riforma costituzionale, volta a rafforzare i poteri dell’esecutivo in modo infinitamente più modesto di quanto la realtà attuale ci consegna.

Oggi stiamo assistendo ad una radicale torsione delle istituzioni democratiche nel senso della esaltazione dell’uomo solo al comando e chi reagisce è subito accusato di alto tradimento.

La responsabilità del sistema dei media, nel suo complesso e salve poche meritevoli eccezioni, è grave: l’informazione da cane di guardia della democrazia trasformata in cagnolino del potere.

Ma la maggiore responsabilità non può non essere del Presidente della Repubblica e del Partito Democratico. Sono loro che hanno le chiavi per impedire questa degenerazione. Perché non lo fanno?

Astolfo Di Amato       Il Riformista   19/3/2020

 

 

“La sovranità è un fazzoletto inventato perché i militari ci si asciughino la bava”

Luis Sepulveda (1949), scrittore e giornalista cileno

 

 


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