Se c’è qualcosa che assomiglia al coronavirus per come ce lo hanno descritto i virologi è proprio il populismo. Il nostro corpo pensa che il Covid-19 sia una sostanza amica, lo accoglie e poi si infetta.
Allo stesso modo le ragioni dei populisti attirano l’attenzione delle persone, del popolo, perché almeno apparentemente hanno un elemento di verità, ma poi avvelenano tutto: la politica, la società, l’economia.
Il virus del populismo, in Europa e nel mondo, purtroppo ha viaggiato a lungo, senza che ci fosse un contenimento, né un vaccino, né la volontà di salvare le menti tarpate da una vera e propria infezione della percezione, del ragionamento, dell’umanità.
Oggi che l’emergenza è reale, che i morti ormai quasi non si contano più e che il futuro appare traballante, ci rendiamo conto di come quell’altro virus abbia devastato la politica e le istituzioni. Per anni i temi fondamentali del dibattito politico e della sua azione legislativa sono stati non le vere emergenze del Paese, ma tutto ciò che poteva avere una ricaduta elettorale, puntando sui sentimenti, distorti e orientati spesso dai media, delle persone.
Così invece di discutere del lavoro, di un piano industriale o dello stato della sanità, abbiamo preferito puntare sul taglio dei vitalizi, sulla riduzione dei parlamentari o prendercela con migliaia di migranti spacciati per una invasione del nostro territorio.
Le conseguenze sono devastanti. La crisi oggi imporrebbe un di più di politica, ma la politica è diventata solo “governabilità” e proprio questo impoverimento impedisce di governare davvero, di prendere decisioni chiare, univoche, coraggiose.
Si preferisce inseguire l’umore delle persone, assecondare il sentimento maggioritario, collezionare i like.
Ma se si è arrivati a questo è perché in precedenza c’è stato un processo costante, inesorabile, terribile di svilimento delle istituzioni democratiche. Prima tagliando i vitalizi, poi riducendo il numero dei parlamentari con la motivazione che la democrazia costa troppo, che uno vale uno.
Invece non solo non è così, ma la democrazia è preziosa e farne una questione di costi ha significato perdere uno strumento prezioso tralasciando le grandi sfide.
Domani, speriamo presto, molto presto, quando usciremo da questo incubo il Paese si troverà con più di una crisi aperta: da Alitalia all’ex Ilva di Taranto, dalle piccole e medie imprese del Nord-Est al Sud da cui i grandi marchi scappano o vogliono scappare. Forse, se la riforma del taglio dei parlamentari non venisse bloccata, si risparmierà qualcosina, ma nel frattempo il Paese si risveglierà povero, in emergenza e senza una classe dirigente adeguata a governarla. Perché chi oggi siede a Palazzo Chigi è figlio della cultura populista che è complice del disastro.
Su una questione in particolare i populisti hanno creato un buco nero di umanità, menzogne ed economico. Il tema dei migranti. Per anni non si è parlato d’altro, in maniera ossessiva, creando paura e consenso. L’idea che veniva spacciata per vera era che fossimo di fronte all’invasione, che i migranti ci avrebbero conquistati e avrebbero colonizzato la nostra cultura.
Nonostante fossimo uno dei Paesi europei con meno immigrati, le elezioni e i referendum si sono persi o vinti inseguendo questa convinzione.
Oggi il risveglio è brusco, perché ci si rende conto che manca la mano d’opera per fare la raccolta negli italianissimi campi. Non solo i migranti non ci hanno invaso, ma ci servono e la loro mancata regolarizzazione oggi ricade sulla nostra già provata economia. Il tema dei migranti ha avuto questo doppio effetto: non affrontare i problemi reali, costruendo un nemico immaginario e non ha tenuto conto della realtà lavorativa del Paese.
Ora il risveglio. Un brutto risveglio, non solo per l’emergenza che sta mietendo vittime. Ma perché ci siamo resi conto della debolezza della nostra democrazia e della crisi economica e sociale. Vale per il Nord come per il Sud. E le isole. La Sardegna guidata dal governatore leghista Christian Solinas sarà molto probabilmente una delle Regioni che pagheranno il prezzo più alto. Lo stato d’emergenza è stato dichiarato fino al 31 luglio, ma il lockdown nella terra di Gramsci era già iniziato e continuerà anche dopo.
Fallita Airitaly, a rischio chiusura definitiva l’aeroporto di Olbia, trasporto navale risibile, pastorizia sull’orlo del baratro: l’estate del Covid si preannuncia una macelleria economica e sociale. Ma anche in Sardegna le elezioni le aveva vinte Salvini, parlando di migranti.
E per questo che l’urgenza oggi è doppia: scoprire un vaccino contro il coronavirus e un vaccino, altrettanto fondamentale, contro i populisti.
Angela Azzaro Il Riformista 4 Aprile 2020
I danni del populismo e della demagogia ai tempi del Covid-19
Il populismo e la demagogia hanno connotato l’ultima campagna elettorale del 2018 e hanno contraddistinto la retorica politica tanto del governo giallo-verde, quanto di quello giallo-rosso. Ma in questa condizione di emergenza sanitaria che stringe il Paese in una morsa mortale, la comunicazione politica è cambiata?
Parlare alla pancia della gente, si sa, è il metodo migliore per ottenere un consenso immediato, da mettere subito all’incasso di una competizione elettorale.
Lo sanno bene i cinquestelle, che sono divenuti primo partito nelle elezioni politiche del 2018, raggiungendo quasi il 33% alla Camera dei Deputati e al Senato, ma lo sa ancora meglio la Lega di Matteo Salvini, che partendo dal 17% del 2018, in meno di un anno di governo e utilizzando in maniera professionale la retorica demagogica e populista, ha raggiunto, alle elezioni europee del maggio 2019, il 34,26% dei consensi; un balzo enorme se paragonato al risultato delle politiche dell’anno precedente, da record mondiale se paragonato a quello delle europee del 2014, quando la Lega, guidata dal medesimo Salvini, ma ancora connotata da una retorica antimeridionalista, si era fermata a poco più del 6%.
Accertato, pertanto, quanto sia facile raccattare consensi attraverso una politica fatta di moltissime chiacchiere e di pochissimi fatti, gran parte degli altri movimenti politici italiani hanno deciso di cimentarsi nell’impresa. Ma è davvero facile come sembra? O utilizzare questo tipo di dialettica politica comporta dei rischi? La domanda è ovviamente retorica! I rischi sono altissimi e i danni ingentissimi, riguardano davvero tutti.
I provvedimenti restrittivi della libertà personale, che hanno interessato l’Italia nel trascorso mese di marzo, hanno già prodotto un calo del PIL del 6% su base annuale e le previsioni di Confindustria giungono fino a -10%.
In molte città del Mezzogiorno, Palermo, Catania, Napoli ma più in generale anche in Calabria e Puglia si sono già verificati casi di assalti ai supermercati, da parte di piccoli gruppi organizzati, che hanno tentato di fare la spesa senza pagare il conto alla cassa. In questi casi sono intervenute le forze dell’Ordine a sedare la protesta.
La situazione però si va complicando di giorno in giorno, sono nati e sono sempre più attivi gruppi privati su Facebook e WhatsApp, dove alcuni capipopolo aizzano le folle a organizzarsi per assaltare supermercati e negozi di generi alimentari. In questi gruppi la parola “rivoluzione” ricorre ogni giorno con sempre maggiore frequenza.
Il rischio che la situazione volga al peggio è davvero concreto, tanto che in molte città del Mezzogiorno la polizia è costretta a presidiare i centri commerciali e non si contano più i procedimenti penali per istigazione a delinquere che sono stati avviati.
Moltissime famiglie hanno difficoltà oggettive a mettere insieme il pranzo con la cena e il loro numero aumenterà esponenzialmente, nel giro di qualche giorno. Il Governo ha varato alcune misure di sostegno economico per i meno abbienti ma, all’avvio del programma, il sito dell’INPS ha rivelato tutti i suoi limiti, risultando irraggiungibile per parecchie ore. L’accaduto è stato giustificato con un attacco Hacker, ma ormai pochi ci credono veramente.
Tuttavia, le misure di sostegno economico appaiono oggettivamente insufficienti e i problemi destinati ad aumentare rapidamente.
In questo contesto, Giorgia Meloni, segretaria di Fratelli d’Italia, chiede l’erogazione di mille euro al mese per tutti gli italiani che ne facciano richiesta, Matteo Salvini addirittura propone un “anno bianco fiscale” per tutto il 2020, ovvero l’azzeramento delle tasse per tutti i cittadini, patendo dalle imprese.
È evidente che queste misure si connotano per una retorica, ancora una volta, demagogica e populista. L’effetto istantaneo (ma effimero) è quello che fa salire il gradimento per questi leader politici ma l’effetto meno immediato e magari non voluto, è quello di fare percepire alle masse, già in seria difficoltà economica, che effettivamente lo Stato potrebbe fare fronte ai loro bisogni, in maniera integrale.
La società drogata dal reddito di cittadinanza da una parte e sfiancata dalla carenza di posti di lavoro dall’altra (l’Italia è il paese europeo con il più alto tasso di disoccupazione giovanile), si ritrova così ad avvitarsi in una spirale assistenzialista che potrebbe, nella più rosea ipotesi, garantire una magra sussistenza ma ruberebbe il futuro e ogni aspirazione alle nuove generazioni.
È evidente che, in queste condizioni, la protesta potrebbe facilmente sfociare in movimenti di massa di disobbedienza civile, se non di vera e propria eversione. Stupisce come i leader dei partiti maggiormente rappresentativi non percepiscano questo pericolo o lo sottovalutino drammaticamente.
Mi piacerebbe, in questo delicatissimo momento per la storia d’Italia e d’Europa, che coloro i quali ricoprono un incarico pubblico o di responsabilità tenessero costantemente presente che la priorità non è aumentare il consenso, in vista della prossima competizione elettorale, bensì riuscire a tenere in piedi questa nazione tra le macerie, non solo economiche, che lascerà questa pandemia.
Non ci possiamo permettere di alzare inutilmente i toni, le critiche e le proposte di qualsiasi schieramento politico devono essere presentate nei luoghi deputati e nelle forme previste. Siamo stanchi di annunci, slogan, lunghi monologhi e show televisivi o sui social, abbiamo bisogno di un governo vero, di persone responsabili e soprattutto di un’opposizione parlamentare che convinca per capacità e serietà delle proposte.
I giovani italiani non vogliono un futuro di decrescita felice con un sussidio mensile di sussistenza, vogliono avere la possibilità di lavorare e confrontarsi sui mercati mondiali, vogliono che lo Stato faccia poco e l’essenziale ma che lo faccia bene. Parliamo tanto di genio e creatività italiana, ma dove sono finite?
Andrea Pruiti Il Riformista 2 Aprile 2020
“Il trionfo della demagogia è momentaneo, ma le rovine sono eterne… La guerra contro la demagogia è la più difficile di tutte le guerre.”
Charles Péguy (1873- 1914), scrittore e poeta francese
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