Dall’articolo “Diceva Carlo Levi: la gente ha paura della libertà” di Umberto Di Giovannangeli in  Il Riformista  del  16/4/2020

Oggi c’è una sfida democratica in gioco. Non bisogna sottovalutare il fatto che possa crescere il rischio di aspettative e di richieste di autorità e forse di autoritarismo. Per riprendere il titolo di uno dei saggi più famosi di Carlo Levi la gente a volte ha “Paura della libertà“». A sostenerlo in questa intervista in esclusiva a il Riformista è uno dei più autorevoli storici e sociologi della politica europei: Marc Lazar. professore di Storia e sociologia politica a Sciences Po (Parigi) e Presidente della School of govemment della Luiss.

…..

Professor Lazar, c’è il rischio che ad affermarsi siano nuove forme di autoritarismo sovranista? In altre parole, ai tempi del Coronavirus non c’è anche una emergenza democratica?

Questo rischio esiste, e sarebbe grave minimizzarlo o addirittura negarlo. C’è un rischio di aspettative e di richieste di autorità e forse di autoritarismo. Le disposizioni che sono già state prese e quelle che saranno adottate per controllare la salute della popolazione, attraverso, ad esempio, la tracciabilità delle persone per ragioni di sanità, potrebbero rimanere ed essere estese. C’è una sfida democratica in gioco. Sappiamo da Machiavelli o anche da Carlo Levi, per riprendere il titolo di uno dei sui saggi più famosi, che la gente a volte ha “Paura della libertà”.

 

 

Social e decreti,  sono prove di dispotismo

Non pago di sovvertire i crismi del diritto costituzionale con annunci da sovrano assoluto, il premier affida a Fb le comunicazioni. Un anticipo di Grande Fratello. Quello vero.

Il successo è la capacità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo, sosteneva Winston Churchill. Questo sembra ispirare il Premier Conte che. nonostante i vari fallimenti, alla ricerca di un illusorio successo personale, pare non abbia mai perso il proprio fervore social. Il Presidente, non sufficientemente conscio del pessimo modo di informare gli italiani, continua a sovvertire anche i crismi del diritto costituzionale, oltre che del buon senso.

La bizzarra strategia comunicativa di Conte, che prima annuncia via social l’adozione di misure draconiane e solo successivamente stilla il relativo decreto, suscita più di una perplessità e rischia di affiancare all’emergenza sanitaria quella psicologica dei cittadini che non hanno più fonti certe e vivono “sospesi” cercando l’interpretazione delle temute conferenze stampa di Palazzo.

Senza il relativo decreto, le parole di Conte possono essere soggette a interpretazioni e un uomo di legge, come il Premier è solito evidenziare (a proposito non si era definito “avvocato del popolo”?), dovrebbe riconoscere la fondamentale importanza del principio della autenticità. Ma le basilari regole del diritto sembrano sfuggire al Governo!

Certo si potrebbe ritenere che, in tempi di pandemia, l’urgenza estrema possa costituire un’esimente, ma essa non può però essere utilizzata per esautorare le funzioni e le garanzie costituzionali. Anzi proprio provvedimenti così eccezionali richiedono ancor di più il coinvolgimento continuo di Camera e Senato. Un raccordo quello tra Governo e Camere che invece manca, diversamente da quanto accade in altri Paesi, quali Spagna e Francia, dove esso è stato garantito.

Non è solo la Presidente del Senato, Senatrice Elisabetta Casellati, a evidenziare la difficoltà del Parlamento di svolgere le prerogative affidate dalla Carta Costituzionale, ma anche illustri costituzionalisti.

Le modalità social scelte da Conte stanno poi svilendo anche il ruolo dei professionisti dell’informazione, chiamati a rincorrere le dirette del Premier su quelle piattaforme le quali finora, sfruttando le ampie zone d’ombra della regolamentazione, che imbrigliano solo gli operatori tradizionali, hanno affossato il settore delle news di qualità.

Anche questa allora è una scelta dell’attuale Governo: premiare gli OTT, capaci fino ad adesso di utilizzare in modo utilitaristico il lavoro giornalistico per trarne profitto, a scapito delle testate che lavorano con impegno e professionalità per garantire al Paese l’attendibilità delle fonti. Una strategia che scontenta tutti: dall’Ordine dei Giornalisti, all’Associazione Stampa Parlamentare, all’Usigrai che lamentano una violazione del diritto costituzionale dei cittadini a essere informati, previsto dall’articolo 21.

Resta quindi da chiedersi cosa si nasconde dietro la scellerata modalità informativa.

In questa “illogica” scelta comunicazionale, degna di un confessionale del Grande Fratello, sembra celarsi (neanche poi così velatamente) l’intenzione di rafforzare la figura del Premier, intento a sfruttare sempre più i canali social con obiettivi personali.

Ecco che allora se da un lato si cerca di esautorare il Parlamento delle funzioni costituzionalmente garantite, da un altro si vuole – quasi disperatamente – utilizzare un’emergenza sanitaria per rinvigorire il consenso: in questo modo non solo si minano più volte le certezze della Carta Costituzionale, ma si manifesta una pericolosa tendenza verso un ambiguo presidenzialismo, non in linea con quella forma di governo parlamentare propria della nostra Repubblica.

Attenzione allora! Il rischio è di porre le basi di quel governo dispotico definito da Nicolas Chamfort, in cui il superiore è vile e l’inferiore avvilito.

Antonio Martusciello       Il Riformista  15/4/2020

 

 

L’abuso dell’emergenza

La questione è l’uso che il potere pubblico intende fare di questo “di più” che la pandemia gli sta trasferendo in termini di potestà.

Nella crisi causata dalla pandemia si entra tutti uguali, ma si rischia di uscire diversi. Non solo in relazione ai tempi, ai modi, alla virulenza della minaccia e dei differenti metodi di contrasto impiegati dai Paesi. Ma addirittura in rapporto alla natura del nostro sistema politico-istituzionale, alla sua morfologia e alla sua stessa fisiologia.

Perché mentre il potere attacca il virus, il virus ha già intaccato il potere. Non è lui che muta, come temevamo nei peggiori incubi: si sta accontentando di modificare noi, cioè il rapporto tra i cittadini e lo Stato, perché trasforma sotto i nostri occhi l’immagine e il ruolo dell’autorità pubblica, il moderno sovrano.

Non c’è dubbio che il carattere inedito e insieme mortale dell’infezione universale richiede uno scarto rispetto al ritmo normale dell’azione politica. Serve rapidità nelle decisioni, tempestività, flessibilità, chiarezza nella catena di comando, centralizzazione del flusso di informazioni ufficiali. La crisi verticalizza il meccanismo decisionale, mette il governo direttamente di fronte ai cittadini, personalizza nel leader la domanda di sicurezza, porta la popolazione a raccogliere le sue libertà attorno al potere legittimo.

Non solo. Il governo in queste circostanze particolarissime si trova a esercitare un potere esclusivo, che viene prima delle scelte e delle decisioni, e le determina. Potremmo definirlo un potere di interpretazione della crisi, di sua definizione. È il governo, infatti, che ha la responsabilità di determinare contorni, velocità, pericolosità, profondità e durata del pericolo, e di registrare su questi parametri le contromisure.

Il potere pubblico non ha dunque in mano soltanto l’arma materiale della difesa collettiva, ma anche quella metafisica del disvelamento del male, del racconto ufficiale del suo procedere, facendo ogni giorno il fixing del rapporto tra la scienza, la medicina, la ricerca e il maleficio: che diventa per converso la borsa quotidiana della nostra paura.

Tutto questo è avvenuto ovunque: e ovunque ha determinato per meccanismo naturale un plusvalore di autorità, pronto naturalmente a dissolversi alla prima falla della sicurezza minacciata dei cittadini. Lo vediamo concretamente nella soggezione volontaria, da parte della grandissima parte della popolazione, alle norme straordinarie che forzatamente limitano i diritti individuali, prima fra tutti in questo caso la libertà di movimento. Qui siamo davanti all’esercizio concreto di questa potestà speciale conferita dalla crisi: l’esercizio di un potere disciplinare, di carattere universale, riconosciuto come lecito perché necessario dalla pubblica opinione.

La questione è l’uso che il potere pubblico intende fare di questo “di più” che la pandemia gli sta trasferendo in termini di potestà. Vuole usarlo al servizio dell’emergenza, spendendolo nella crisi, o al contrario pensa di usare l’emergenza per interesse privato, entrando in uno spazio sovrano che altrimenti gli sarebbe precluso?

L’autogolpe del premier ungherese Orbán (subito omaggiato dai sovranisti di casa nostra, ridotti a cercare negli autoritarismi altrui la forza smarrita in patria) che si assegna pieni poteri illimitati nel tempo, è la conferma del tragitto tracciato per anni dalle democrazie illiberali: che oggi trovano nella guerra contro il virus quel che cercavano in tempo di pace, e cioè la deroga permanente dal sistema dei controlli di legittimità delle Corti Costituzionali, di legalità da parte della magistratura, e dal controllo politico del parlamento e della libera informazione.

In questo senso lo stato d’eccezione compie il disegno autoritario dentro una falsa cornice democratica da due soldi: non accontentandosi del potere legittimo che si è conquistato, il leader si appoggia alle paure dei cittadini per estrarre dal caos dell’emergenza le norme speciali che superano la norma ordinaria, e fondano un nuovo ordine.

Il messaggio per la nostra epoca è che in tempi speciali serve una forma di governo speciale, capace di istituzionalizzare il dominio e di purificare il comando, liberandolo dall’impaccio delle regole e dei bilanciamenti. La conseguenza di questo meccanismo psicopolitico è evidente: la democrazia, dice la lezione di Budapest, non è adatta a governare l’emergenza, funziona solo se deformata e ridotta a guscio vuoto: che aspettiamo?

Siamo dunque davanti a un triplice confronto, nella sfida tra gli Stati e la pandemia. La risposta del sistema totalitario cinese, quella autoritaria dei nazionalismi illiberali e quella apparentemente disarmata delle democrazie occidentali.

Prendendo l’Italia come campione-pilota di quest’ultimo campo, dobbiamo ammettere che il sistema sanitario ha tenuto, il welfare ha dato un’altra prova di civiltà, la risorsa civile di generosità e di solidarietà di medici e infermieri ha fatto il resto. Il governo ha compiuto errori, soprattutto all’inizio. Ma vediamo giorno per giorno che li hanno commessi pressoché tutti i leader occidentali, con l’unica differenza che altrove non ci sono politici “ribassisti” che minacciano commissioni d’inchiesta per il dopo.

Nessuno da noi teme un abuso di potere. La realtà è che viviamo piuttosto uno squilibrio mai visto tra la debolezza del governo e della maggioranza e l’accumulo di potere che si raccoglie nelle sue mani.

Ma non è in questo squilibrio la garanzia di un uso democratico dell’emergenza: piuttosto, nell’autocoscienza del sistema (maggioranza e opposizione) di dover porre via via nuovi limiti al potere man mano che la crisi lo rafforza: limiti di tempo, di trasparenza, di controllo delle Camere e della pubblica opinione.

È il meccanismo liberal-democratico che regge la prova capitale dell’eccezionalità, con le sue tentazioni. Una prova che vale per oggi e soprattutto per domani: quando rischiamo di trovarci in un continente dove lo stato d’emergenza diffuso diventa il sistema permanente di governo, e l’unica vera forma d’eccezione, dove resiste, è la democrazia liberale.

Ezio Mauro     Repubblica  31/3/2020

 

 

Treviso – Quando l’emergenza giustifica l’abuso

Il 2 aprile un blitz delle forze dell’ordine al centro sociale Django motivato da un “falso allarme”: 12 persone sanzionate.

Qual è il limite necessario tra le misure di prevenzione e profilassi e gli abusi di potere in piena emergenza pandemica da covid-19? A Treviso ci troviamo davanti a un episodio a dir poco preoccupante:, il 2 aprile il centro sociale Django si è trovato a fronteggiare un blitz sproporzionato di forze dell’ordine, conclusosi con il sanzionamento di volontari per i senza fissa dimora, accorsi per calmare la situazione.

Il motivo del blitz, che ha visto protagonisti 12 agenti, è stato il falso allarme da parte di un residente di una presunta festa all’interno dello spazio sociale che ospita una casa di seconda accoglienza per migranti. Migranti che alla vista di divise e manganelli hanno subito allertato i volontari che si sono precipitati in loco per capire cosa stesse succedendo.

Multa al Centro Sociale Django

Questo episodio mette in luce come ci siano degli aspetti chiaramente politici che vengono malcelati da misure tecniche per limitare la crisi sanitaria: l’esempio più chiaro è dato dalla totale incoerenza di norme e decreti prodotti a livello regionale. Viene da chiedersi perché tanta solerzia e pugno duro per fronteggiare una situazione rivelatasi infondata o per controllare la persona che corre da sola in mezzo al nulla e non ci sia stata la stessa preoccupazione per verificare ad esempio la situazione di dipendenti e degenti delle Rsa abbandonati a loro stessi senza Dpi necessari a fronteggiare la pandemia per settimane.

Non è forse il caso di chiedersi se sia più necessario in questo momento creare un sistema comunitario dal basso, capace di creare reti di supporto per tutti e tutte piuttosto che generare un clima di terrore e isolamento, in cui la comunicazione è sostituita con la delazione e la cooperazione con l’abuso di potere?

Questo il testo del Centro Sociale Django in merito ai fatti di quel giovedì sera di inizio aprile:

“Come riportato da quotidiani e testate online, il 2 aprile una pattuglia del Comando di Polizia Locale del Comune di Treviso è intervenuta, verso le ore 21.00, presso il centro sociale Django per verificare la segnalazione, poi rivelatasi completamente falsa, secondo la quale era in corso una presunta festa. Se nei giornali si riporta correttamente la falsità della segnalazione, non si ritrovano alcuni dettagli che trasformano un semplice intervento di polizia in un blitz andato molto al di là di un semplice accertamento.

Primo, quello che non si legge sui giornali è che il Comando di Polizia Locale, composto da quattro agenti, è giunto presso il Cs col proprio furgone, assieme a due pattuglie dei Carabinieri e altrettante della Polizia di Stato (12 agenti in totale), un assembramento alquanto esagerato per una festa inesistente.

Secondo, quello che non si legge sui giornali è che tale assembramento di forze dell’ordine, non pago di aver accertato il “falso allarme” (Treviso Today), trovando il cancello principale chiuso, ha forzato l’uscita di emergenza del Cs, scardinandone l’ingresso. I ragazzi ospiti di Caminantes, una struttura di seconda accoglienza all’interno del Cs, hanno così assistito all’irruzione, nel piazzale interno al Cs, di dodici appartenenti alle forze dell’ordine che, manganello alla mano, minacciavano di violare il loro domicilio e di entrare presso la struttura in cui sono ospitati.

Terzo, quello che non si legge sui giornali è che sei volontari dell’associazione, avvertiti dai ragazzi all’arrivo delle forze dell’ordine, sono giunti con lo scopo di tranquillizzare, a ben vedere a ragione, i ragazzi stessi, spaventatisi soprattuto a seguito dell’irruzione e dell’atteggiamento bellicoso delle forze dell’ordine (entrati dentro il piazzale interno al Cs, ripetiamo, con i manganelli in mano). I volontari di Caminantes, il cui ruolo è presto mutato dal tranquillizzare i ragazzi ospiti di Caminantes al tranquillizzare le forze dell’ordine lì assembratesi, prendevano atto anch’essi del falso allarme e, placati gli animi, rientravano nelle loro abitazioni.

Quarto, quello che non si legge sui giornali è che gli agenti in questione, probabilmente delusi per aver dispiegato così tante forze e mezzi per niente, hanno inviato multe da 400 euro ai volontari dell’associazione Caminantes, per aver dato luogo ad un assembramento. (I verbali delle multe sono stati recapitati solo oggi. Nei verbali viene inoltre falsamente riportato che i volontari sarebbero stati invitati ad andarsene, invito mai posto).

Risulta quanto meno curioso, se non assurdo, il fatto che a essere sanzionati, per aver violato le norme di contenimento al Coronavirus, siano volontari di un’associazione che, come altre in queste settimane, sta distribuendo settimanalmente dispositivi igienico-sanitari ( mascherine, guanti e gel disinfettanti) a persone senza fissa dimora; proprio al fine di tutelarle dai pericoli del SARS-COV-2, che evidentemente le forze dell’ordine contrastano con multe, manganelli e minacce.

Risulta altrettanto assurdo che l’assembramento che ci contestano è stato inizialmente causato dalle stesse forze dell’ordine, intervenute nel numero di 5 mezzi (1 furgone del Comando di Polizia Locale, 2 macchine della Polizia e 2 dei Carabinieri) per, ricordiamolo, una festa inesistente. Che bisogno c’era di sfondare un ingresso, estrarre i manganelli e spaventare delle persone se la segnalazione si era rivelata falsa fin dall’inizio?

Se è indubbio che le misure di contenimento al Covid-19 stanno contribuendo a uscire dall’emergenza, è altrettanto indubbio che la loro applicazione non passa di certo attraverso l’impiego di 12 uomini che spaventano e minacciano i ragazzi di una struttura di accoglienza a seguito di una segnalazione mendace. Forse, ma non ne siamo certi perché non siamo epidemiologi, tanta solerzia ed energia sarebbe da impiegare, se davvero si volesse contribuire al contenimento del Covid-19, per il controllo e la verifica dello stato delle Rsa, i cui ospiti e dipendenti sono stati abbandonati alla mercé di un’emergenza sanitaria subita con maggior pressione a causa dei pochi tamponi eseguiti e della scarsa distribuzione di dispositivi di sicurezza.”

16 /4 /2020    in   https://globalproject.info

 

 

“La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone; e nulla è più faticoso, e veramente spaventoso, che l’esercizio della libertà.”

Carlo Levi (1902- 1975), scrittore, pittore, Antifascista e Azionista


 

 


Articoli che vi raccomandiamo di leggere:

Leggere gli articoli al “tag” emergenza

La “tana” di Kafka insegna: abbiamo paura del ritorno alla normalità

Terrore sanitario (8). Contro il dissenso.

Non meritiamo il 25 aprile

Come ci siamo assuefatti a tutto...

Diversi leader stanno approfittando della pandemia per guadagnare potere. Lo restituiranno?

Paura della libertà

Quella libertà che fa paura



Calendario eventi
aprile 2020
L M M G V S D
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
27282930EC
Cerca nel Sito
Newsletter
In carica...In carica...


Feed Articoli