Il modo autoritario con cui viene trattato il problema del virus e il taglio dei parlamentari non sono due problemi diversi ma le due facce della stessa medaglia: l’eversione della democrazia. (GLR)
Malan: «Nove cose da sapere sul referendum» l’ultima è da brividi
Domenica si voterà non soltanto per scegliere il futuro governatore di alcune regioni italiane ma anche per il taglio dei parlamentari. Il dibattito è stato molto acceso e, a quanto pare, in queste ultime settimane la rimonta del No potrebbe regalare qualche brutta sorpresa ai sostenitori del Sì. Tra i promotori del No c’è anche il senatore Lucio Malan (FI) che, in poco più di 3 minuti, ha elencato 9 cose da sapere sul Referendum Costituzionale.
Lucio Malan e le 9 cose da sapere sul Referendum Costituzionale
Al primo punto c’è la questione risparmio: 57 milioni. Una cifra importante? Non proprio. Equivarrebbe infatti – e qui passiamo al punto due – a quanto lo Stato spende ogni 32 minuti e 45 secondi.
Al terzo punto una questione molto discussa: l’adeguamento o meno agli standard europei. “L’Italia – dice il senatore – oggi è tra i 5 Paesi europei che ha meno parlamentari in rapporto alla popolazione”. Con la riduzione dei parlamentari andremmo a finire all’ultimo posto insieme alla Germania, che però “ha molti più consiglieri regionali ed è uno Stato federale”.
Tutti o quasi i promotori del Sì hanno evidenziato il fatto che, avendo meno parlamentari, questi saranno certamente più efficienti. E qui arriviamo al punto quattro. Malan spiega che l’efficienza non consiste nel fare tante leggi e male, come spesso avviene, ma piuttosto nel controllare che vengano fatte bene.
E non ci sarà nemmeno una riduzione equa (punto cinque). “I senatori del Trentino Alto Adige vengono ridotti del 14%, quelli della Basilicata e dell’Umbria del 57%. Il Trentino Alto Adige avrà un senatore ogni 170mila abitanti e le regioni ne avranno di media uno ogni 310mila”.
L’obiettivo finale
Al punto sei si parla dei senatori a vita che, da questa riforma non verranno ridotti per niente e anzi, in proporzione, peseranno di più.
Al punto sette un pò di storia: “L’Italia non ha mai avuto un numero di senatori e deputati così basso, nonostante sia molto più popolata che in passato”. Benito Mussolini ridusse i parlamentari a 400 ma c’erano 40 milioni di italiani e un solo partito. Tra l’altro, puntualizza Malan, “i senatori erano più di oggi”.
Il punto otto riguarda una futura legge elettorale che potrebbe migliorare la rappresentanza che questa riforma andrebbe a diminuire. “Non sappiamo chi la farà e come la farà. Ci potrebbe anzi essere una legge elettorale fortemente maggioritaria, dove anche solo col 40 – 45% dei voti, puoi ottenere più dei due terzi dei seggi. A quel punto chi avrà la maggioranza, e non sappiamo chi sarà, potrà cambiare la Costituzione”.
Nell’ultimo punto Malan spiega quello che secondo lui è l’obiettivo finale della riforma. “L’ha detto chiaro Davide Casaleggio: l’abolizione del Parlamento. Ha detto «la democrazia rappresentativa sarà un ricordo del passato». Non c’è un Paese al mondo libero e democratico senza Parlamento. Ecco perché dobbiamo votare NO”.
Pietro Di Martino Oltre.Tv 18/9/2020
Un fiume di panzane. Bisogna fermare l’esplicito progetto eversivo dei grillini: il totalitarismo internettiano
Come siamo giunti da Pietro Calamandrei a Toninelli e Vito Crimi? I Cinquestelle disprezzano la democrazia rappresentativa e picconano il Parlamento, una volta accortisi che non è una scatoletta di tonno, ma qualcosa di più complesso voluto così dai costituenti
Un portaborse, non molto tempo fa, segnalò a Luigi Di Maio un certo Pietro Nenni (1891- 1980). Scovata su Wikipedia una sua frase, «L’immobilismo giova alla conservazione», il ministro degli Esteri, eccitato, la usò ignorando che Nenni era la figura più lontana dal grillismo: un alfiere della democrazia come partecipazione delle masse alla costruzione della Storia, oltre che un uomo avvolto nella leggenda per coraggio e coerenza. Laddove il grillismo, anche nella versione dal volto smunto del dimaismo, è l’annichilimento progressivo della democrazia, lo svilimento della partecipazione, l’opacità del comando a-democratico.
I giochi di prestigio di un Beppe Grillo possono incantare le ultime file di qualche teatrino di provincia, ma la politica intesa come governo dei problemi grazie al consenso non passivo del popolo è un’altra cosa.
Alla democrazia, al Parlamento, dunque alla politica democratica, ci si crede o non ci si crede. O sei politica o sei antipolitica. Il Movimento Cinque stelle, per quanto ondivago, resta una faccia dell’antipolitica, quella che demolisce l’edificio con la scusa di fare qualche riparazione: e il riferimento al taglio del numero dei parlamentari non è affatto casuale. Abbasso il Parlamento!, e tanto basti.
Ma come siamo giunti qui?
Da Piero Calamandrei a Riccardo Fraccaro, da Nilde Iotti a Paola Taverna, da Aldo Moro a Vito Crimi il giro lento della discussione istituzionale è stato implacabile come il sole che prima di sera si tuffa nel mare, come se a 74 anni dalla Costituente dalla lampada fosse uscito invece di un Aladino un Pulcinella, mentre il fiume delle panzane e della demagogia va seppellendo di fanghiglia un grande passato.
Alle origini del totalitarismo internettiano di Casaleggio padre e di Beppe Grillo c’è il postulato in versione versetto confuciano di quest’ultimo («Il M5s vuole realizzare la democrazia diretta, la disintermediazione tra Stato e cittadini, l’eliminazione dei partiti, i referendum propositivi senza quorum: i cittadini al potere») e tutto l’armamentario ideologico di Gianroberto Casaleggio ispirato a una post-democrazia che coincide con un sistema dispotico fondato sul controllo delle centrali della formazione delle coscienze: un moderno aggiornamento delle conosciutissime teorie reazionarie del Novecento.
La mistica che inneggia al povero Jean-Jacques Rousseau galleggia sulla lettura reazionaria del ginevrino: «Egli pensava, certo implausibilmente, a una specie di democrazia diretta, realizzata attraverso il deus ex machina di una inspiegabile unanimità, in una interrotta e sempre concorde assemblea deliberante, in nome di una metafisica volontà generale», scrive Aldo Schiavone nel suo recente “Eguaglianza” (Einaudi, pag. 124). Una teoria controversa che ha poco o nulla da spartire con la complessità contemporanea della democrazia.
Poi vennero gli attuatori, per così dire, del progetto fintamente popolare, dunque populista, della Casaleggio Associati, che sono poi le signore e i signori da due anni al governo prima con i “neri” poi con i “rossi”, a dimostrazione di un’ambiguità genetica di un finto Movimento che è invece un’azienda-partito. Nelle mani di questi signori c’è la Costituzione, proprio quella basata sul libero Parlamento che essi vogliono picconare, una volta accortisi che non si trattava di una scatoletta di tonno ma di qualcosa di più complesso.
Così, d’altronde, la vollero i padri costituenti, gente uscita dalla Resistenza o dalle canoniche in cui si rifugiava dai nazisti, dalle Università e dalle fabbriche: non dal Grande Fratello.
Nella logica grillina, il disprezzo per il Parlamento equivale al disprezzo per la forma più alta della democrazia come controllo, partecipazione, dialettica tra i partiti intesi come «democrazia che si organizza», secondo la visione di Palmiro Togliatti, come grande Assemblea di rappresentanti del popolo, secondo la suggestione figlia della Rivoluzione francese di Pietro Nenni, o come sede del primato della politica come scienza della composizione degli interessi secondo la visione cattolico-democratica di Alcide De Gasperi.
I leader delle tre grandi forze popolari scaturite dal voto per l’elezione della Costituente del 2 giugno 1946 – lo stesso giorno della vittoria della Repubblica – che dopo un anno e mezzo, e nel dramma di una clamorosa rottura politica tra Dc e sinistre – portò al quel miracoloso compromesso politico, innalzato alle vette della migliore espressione giuridica, che è la nostra Costituzione.
Al centro di questo compromesso (che forse sarebbe meglio chiamare alta mediazione), e dunque al centro della Carta, vi sono come due enormi colonne di marmo: la centralità dei diritti, sociali e non solo, e la centralità appunto della volontà popolare espressa nella libertà.
La spiegazione più efficace del “miracolo della Costituente” forse è quella dello storico Francesco Barbagallo (Storia dell’Italia repubblicana, Einaudi): «Su questo terreno dei principi fondamentali si determinava una sostanziale convergenza tra i politici più autorevoli dei partiti di massa: da Dossetti a Togliatti, da Basso a Tupini, da Terracini a Piccioni».
Dunque è fin troppo facile vedere in Di Maio, Fraccaro, Taverna, per tacere di Di Battista, i più grandi, irriducibili nemici dei padri costituenti, di gente come i citati Basso o Dossetti, Costantino Mortati o Piero Calamandrei, e Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Nilde Iotti, Luigi Einaudi, Sandro Pertini, Riccardo Lombardi e decine di giuristi, accademici e anche qualche operaio che veniva a Montecitorio dritto dalla Resistenza.
Così che vedere oggi Paola Taverna presiedere una seduta del Senato o aver visto Riccardo Fraccaro ministro per i rapporti col Parlamento non può non suscitare scandalo: una bruttura, quasi una violenza.
La violenza tattile di un clic o di una volatile fake news invece della fatica della politica come «formula di convivenza», come un giovane Aldo Moro disse nel mirabile discorso alla Costituente del 13 marzo 1947 e che raccomanderemmo ai novelli costituenti seguaci di Vito Crimi. E anche Aldo Bozzi, gran signore liberale, o Ciriaco De Mita e Nilde Iotti che guidarono Bicamerali, sempre senza successo, quanto a cultura giuridica li volete mettere con Di Maio o la Taverna? Va compianta anche l’ultima a suo modo strepitosa Bicamerale, quella di Massimo D’Alema, un errore politico ma anche una pagina preziosa di discussione parlamentare sulle istituzioni.
In tutti questi casi si cercavano idee nuove, nel frenetico addensarsi di enormi problemi del nostro Stato, una ricerca senza la scorciatoia facile di un tweet o tantomeno di un vaffa, mezzo secolo di pensieri e parole finiti nel baule di quella storia nobile della Politica con la P maiuscola che adesso si tenta di annientare nelle spire di fumo di qualche arruffapopoli senza cultura e senza storia.
Da qualche parte, Umberto Terracini starà lacrimando.
Mario Lavia Linkiesta 19/9/2020
Un “NO” dal pensiero lungo
“Viceversa il referendum interessa soprattutto il M5S e le sue prospettive a breve termine”: così scrive Stefano Folli nel suo editoriale del 18 settembre apparso sulle colonne di “Repubblica”. Un’affermazione che la dice lunga su ciò che si gioca per davvero nel referendum di domenica e lunedì 20 – 21 settembre.
Di fronte ad un “SI’” pensato esclusivamente sul metro delle prospettive a breve termine di una forza politica è necessario contrapporre un “NO” maturato sul piano della riflessione attorno a un “pensiero lungo” da esprimere al riguardo delle prospettive della nostra democrazia.
Un “NO” per il futuro.
Deve risultare chiaro, e lo deve essere ancora di più in queste ultime ore che ci separano dal voto, che nella scelta ci troveremo di fronte si tratterà di considerare un tema di rango costituzionale, volgarmente derubricato a fatto politico occasionale che si è anche cercato di confondere, per di più in alcune regioni, con una votazione di livello amministrativo.
Nel referendum non si vota né per il governo, né per la Regione: l’espressione del “NO” nella competizione referendaria del 20 settembre contempla l’espressione di un valore di un’identità che si colloca ben oltre la stessa pur importante difesa dell’istituto parlamentare.
Sarà soltanto raccogliendo sul piano politico una possibile forte affermazione del NO che potrà aprirsi una discussione incentrata proprio attorno al tema della concezione generale del potere e degli equilibri che è necessario mantenere in uno Stato democratico di diritto.
In questo referendum la posta in palio è quella della concezione del “potere”, non certo la miseria della sopravvivenza di una forza politica assettata che, utilizzando tutte le auto blu a disposizione, ha occupato il TG1, l’INPS, l’ENI, l’ENEL, Leonardo, Banche, Enav, Anas, Agcom, CdP nel più puro stile dell’appropriazione indiscriminata del sotto governo.
Il 20 settembre in gioco ci saranno le forme e le modalità di detenzione del potere, in sostanza la democrazia considerata elemento fondamentale della distinzione tra “potere” e “governo.
“Potere” e “Governo” sono oggi separati da una striscia sottilissima e qualche volta anche confusi. In questa fase di mutamento nella struttura dello Stato e di crisi della cosiddetta “democrazia occidentale” si dovrà decidere in quale direzione varcare quella striscia.
La partita è tra il “noi” e “l’io”: questo il significato di un voto che segnerà la direzione di marcia nella necessità di recuperare nuovi equilibri democratici e il “NO” ne diventa il solo strumento di garanzia possibile.
La posta in palio è dunque tra l’occasionalità vorace e il “pensiero lungo” della visione costituzionale. Un passaggio difficile per la democrazia italiana.
AFV in https://www.ancorafischiailvento.org/ 19/9/2020
ANNO I DEL REGIME SANITARIO
Per favorire la riflessione politica e giuridica per poter scegliere di VOTARE NO al referendum sul taglio dei parlamentari del 20/21 settembre 2020 Giovannini ha scritto un pamphlet dettagliato in PDF (pubblicato sul sito de L’Opinione) che trovate qui sotto e che potete scaricare e far circolare.
Il testo è lungo ( con evidenziati i passaggi fondamentali), da leggere con calma durante questa settimana per favorire una maggiore comprensione dei gravi rischi connessi al taglio dei parlamentari e per maturare una scelta più consapevole. Un dovere civile e morale!
E se, purtroppo, il referendum dovesse far prevalere i SI al taglio dei parlamentari questo PDF rimane un prezioso testo di studio per continuare la lotta politica e resistenziale verso i populismi. (GLR)
alessandro-giovannini-il-taglio-dei-parlamentari
L’idea distorta della democrazia ridotta
Articoli che vi raccomandiamo di leggere per approfondire:
Referendum: votare NO per dire basta!
Referendum: votare NO al populismo fascistoide del M5S.
Referendum: votare NO all’antipolitica.
Referendum: votare NO al brodo ideologico populista
Perchè votare NO alla riduzione del numero dei parlamentari
Appello di 183 costituzionalisti per il NO al referendum ( da leggere assolutamente)
"Serenamente" verso il referendum...
Stampa e diffondi il volantino per votare NO al referendum del 20/21 settembre 2020