Questo articolo complessivo è la continuazione dell’articolo Ahi serva Italia…   che trovate QUI: v’invitiamo a rileggerlo.

La storia europea e dell’Italia in particolare dal 1945, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è una storia di sudditanza, di sovranità nazionali molto limitate o cancellate dal dominio degli anglo-americani, vincitori della guerra ( come, certamente in modo diverso, è avvenuto nei Paesi dell’Est che si sono visti limitare pesantemente libertà e sovranità da parte degli altri vincitori della guerra: i sovietici).

Chi vince prende tutto, è una vecchia regola del tragico gioco delle guerre di ogni tempo. Solo da noi la propaganda politica asservita ci ha convinti che gli anglo-americani avevano vinto la guerra per… dare, portare democrazia e liberare totalmente ma il Trattato di pace di Parigi del 1947 non ha detto o segnato questo.

E gli anglo-americani con la loro visione neo-liberista selvaggia ( con conseguente capitalismo selvaggio) si sono presi l’Italia ( anche l’Europa) ed hanno impedito ogni tentativo italiano di recuperare un po’ di sovranità nazionale ( vedi l’introduzione all’articolo precedente).

Fino ad oggi, al tempo del progetto criminale globale chiamato Grande Reset che non è altro che la continuazione di un dominio incontrollato sull’Italia e sull’Europa allargato ad una possibile governance mondiale: rivedete per questo l’intervento di Giulietto Chiesa che trovate QUI.

Chi vince prende e basta. Non crediamo alle favole di un vincitore “buono” con la sua “LIBERTA’ OBBLIGATORIA”, è ora di finirla di crederlo. (GLR)

 

 

GIORGIO GABER

L’AMERICA (1976)

Ascolta, vedi e medita QUI

 

 

 

 

 

Il problema non è la disobbedienza civile, è l’obbedienza civile

1. In Palestina, quarantamila morti, ottantamila feriti, verosimilmente molti di più, lo sapremo solo quando l’indignazione verrà ufficialmente consentita, autorizzando a discuterne pubblicamente anche i giornalisti di giornali e TV, che confondono quotidianamente la libertà di parola con la parola in libertà. Tale umano sentimento di esecrazione sarà dunque sdoganato quando non avrà più effetto sulla sofferenza e la sopravvivenza di quel popolo martoriato, in ossequio al disegno di pulizia etnica e massacri di massa perseguito dello stato d’Israele.

Sul fronte ucraino, si combatte invece una guerra provocata a tavolino dall’incontenibile bulimia dell’impero americano che mira a destabilizzare/frammentare la Russia, per accaparrarsene le ricchezze: l’evidenza, per gli scettici residuali, riempie intere biblioteche, mentre i cervelli di regime pappagalleggiano le veline che ricevono dalle redazioni agli ordini della plutocrazia atlantica.


Con ferrea vigilanza sulla narrativa pubblica, il neoliberismo bellicista a guida Usa modella la coscienza popolare, genera sordità e acquiescenza, e rende superflui persino gli interventi destabilizzanti (colpi di stato, invasioni, diffusione di droghe, attentati) cui facevano un tempo ricorso i padroni del mondo per diffondere quei gioielli che essi chiamano democrazia e diritti umani.


Ciononostante, l’esercizio della menzogna e la criminalizzazione del dissenso non sono divenuti per ciò stesso superflui. Seppur narcotizzato o assonnato, il popolo resta inquieto.

La storia insegna che se si tira troppo la corda, può uscire dal coma! La sorveglianza rimane indispensabile.

Tuttavia, l’egemone unipolare – sempre meno tale, grazie al cielo, essendo il Sud del Mondo uscito finalmente dall’irrilevanza – non abbandonerà facilmente la presa e, seppur privo di egemonia, insiste a voler dominare il mondo, ricorrendo ancor più alla violenza, e diventando più pericoloso, come un orso ferito.


Nell’ultima decade del secolo scorso, uscito vincitore dalla guerra fredda (non per suo merito), l’Impero era caduto nell’illusione della fine della storia, profezia bislacca elaborata da F. Fukuyama, un rabberciato politologo imperialista di origine giapponese, secondo il quale il binomio democrazia liberale/economia di mercato si sarebbe prima o poi imposto quale destino glorioso e ineludibile su ogni nazione della terra.

Ma l’arroganza predittiva e l’infantilismo filosofico non potranno mai prevalere sull’incedere valoriale della storia: l’impalpabilità di quella previsione è dileguata davanti all’insopprimibile tensione dell’uomo alla ricerca di nuovi orizzonti ideologici e sociali al servizio dei suoi bisogni essenziali.

L’uomo, nella riflessione aristotelica, è animale sociale, dotato di ragione, bisogno di giustizia e consapevolezza della propria morte.


Dar senso all’esistenza implica una scelta: a) investire su conoscenza ed empatia, abbracciare i propri simili, rispettandone le differenze e favorendo la pacifica convivenza; b) oppure, inseguire il privilegio, gli onori, la ricchezza e il potere, provocando guerre, distruzione e morte. Le due opzioni sono al centro del dilemma esistenziale, sia per l’uomo che per le nazioni.


2. Gli Stati Uniti sono la malattia, non certo la terapia. Con il 4,2% della popolazione del pianeta, puntano a dominare su tutto e tutti, per l’eternità.

È evidente che per Stati Uniti non intendiamo i 335 milioni di abitanti di quel paese, i primi a subire l’oppressione del sistema di cui sono sudditi, bensì quell’uno percento (o meglio lo 0,1 per cento) di psicotici possidenti, che siede intorno alla tavola imbandita.

Il dominio assoluto sul pianeta a cui aspira quella ristretta cerchia di umani bisognosi di cure mentali intende cancellare anche le altre culture, giudicate mere espressioni di folklore locale, destinate a dileguare davanti alla superiore civiltà etica e politica della sola nazione indispensabile al mondo, i magnificenti Stati Uniti d’America!

Si tratta di un insulto alla logica e all’etica.

 

Non è una coincidenza che il veicolo della liturgia universale del potere sia oggi la lingua inglese, con la quale combattono in modo ridicolo le avvilenti élite politiche e giornalistiche della colonia Italia (dove il Ministero dello Sviluppo Economico, in grottesco ossequio a quanto sopra, si chiama oggi Ministero delle imprese e del Made in Italy, sì del Made in Italy, da non credere!). Ormai il tasso di sudditanza che la nostra classe politica è disposta a digerire non ha limiti.


Invece di assorbire come l’ossigeno una propaganda fabbricata a tavolino, occorrerebbe allontanarsi da quella nazione malata, con cautela certo, poiché gli amici potenti ai quali si disobbedisce diventano più cattivi dei nemici!, infrangere la fiaba infantile di un impero benevolo, che lavora per la pace, la stabilità e la libertà, valori che sarebbero connaturati alla sua incantevole democrazia di diritti umani scrupolosamente rispettati: basti pensare a Julian Assange, ai bombardamenti etici all’uranio impoverito o al napalm, alle prigioni di Abu Ghraib[1] e Bagram[2] (dove migliaia di individui sono stati torturati e uccisi), a Guantanamo[3] (dove sono rinchiusi da decenni uomini mai giudicati o condannati) e a quelle segrete sparse ovunque, alle carceri americane, luoghi di tortura fisica e mentale nelle mani di aguzzini extra-legem (gli Stati Uniti ospitano il 21% dei detenuti del mondo, oltre 2.173.000 su 20,35 milioni, pur essendo solo il 4,2% della popolazione della terra[4], la maggioranza dei quali poveri e diseredati, poiché di certo non sono i ricchi a finire dietro le sbarre).

Se servisse altro per togliere ogni dubbio sul pericolo che la plutocrazia bellicista Usa rappresenta per la pace e la stabilità nel mondo, si scorra il volume della ricercatrice statunitense Lindsay O’Rourke[5].


Eppure, schiere di individui vivono nella fede infantile in un paese senza il quale il mondo andrebbe alla deriva, un modello da imitare: un altro inspiegabile mistero glorioso! Il megafono dei media/politici, frequentato da maggiordomi (tranne le eccezioni che non fanno la differenza), non perde occasione per accusare di antiamericanismo coloro che difendono la ragione, la pace e il diritto di tutti a vivere a modo loro, quando invece la malattia da curare è l’americanismo, non il suo contrario.


3. Ma non è d’obbligo arrendersi al pessimismo definitivo. Il pianeta può ancora sperare in un sobbalzo. Il mondo emergente è alla riscossa, unisce le forze, diventa massa critica e fa sentire la sua voce.

Dal 1° gennaio, il gruppo Brics (avanguardia del risveglio del Sud) è passato da cinque a dieci paesi membri, e altri 59 han chiesto di aderire. Insieme costituiscono la grande maggioranza della popolazione mondiale, una forza economica significativa, tassi di crescita superiori all’Occidente.

Con tradizioni, sistemi ideologici e politici distinti, essi sono uniti da un cemento straordinario, la difesa della sovranità.

Facendo uso di tale valore fondamentale, in uno pianeta a più voci, questi paesi si stanno avviando davvero verso l’uscita dal sottosviluppo, non più attraverso il Washington Consensus, vale a dire la via capitalistica che promette e non mantiene, ma scrutando l’orizzonte, guardando al Beijing Consensus (ma non solo), plastica evidenza quest’ultimo che l’uscita dalla povertà non è più un miraggio, se ci si allontana però dalla patologia estrattiva di un impero corporativo sostenuto dalla violenza.

Rispetto dell’armonia nella diversità, sicurezza reciproca/indivisibile, indipendenza nelle scelte e distanza dall’inganno occidentale dei diritti umani (solo formali e imposti con la forza), insieme alla non interferenza negli affari altrui e al rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite, sono gli ingredienti critici di un Sud Globale che si batte contro la ridicola impostura americana di un rules-based order, un ordine deciso sempre e solo dall’impero egemone.

 

4. Quanto all’Italia, sorprende non poco che il valore imprescindibile affinché una nazione si costituisca in Stato Politico, quello della Sovranità, sia accantonato dalle stesse istituzioni chiamate a difenderlo.

In un passaggio critico come l’attuale, la classe dirigente avrebbe il compito di guidare un popolo inebetito, puntando a riappropriarsi di quel gioiello perduto come una barca che cerca il faro tra i marosi. Già cinque secoli orsono, Machiavelli aveva definito le condizioni minime affinché uno Stato possa qualificarsi tale: assenza di soldati altrui sul territorio nazionale e proprietà della moneta. Obiettivi oggi del tutto assenti in un’arena politica impregnata di colpevole rassegnazione da eterni sconfitti.

Il Paese (lasciamo in disparte la cosiddetta Unione Europea) è prigioniero di un duplice livello di sudditanza: a) quella politico-militare nei riguardi delle oligarchie statunitensi, patologicamente inclini a guerre senza fine; b) quella finanziaria-monetaria[6] del Direttorio europeo franco-tedesco, a sua volta tributario dell’anglosfera imperiale. Quest’ultima, vivendo oltre il proprio merito e lavoro, estrae ricchezza dal mondo intero, inclusi i protettorati europei, resi docili da ricatti, spionaggi e minacce dell’esercito d’occupazione, che gli inebetiti abitanti del Vecchio Continente si ostinano a chiamare “La Nato”. Se non hai un posto a tavola, è probabile che tu sia nel menu[7]!

Senza un sussulto di resipiscenza, il declino dell’Italia sarà inarrestabile.

Facendo il loro mestiere, i rappresentanti della Destra lottano per la preservazione dello status quo, violando ogni parvenza di coerenza pre-elettorale, lieti di assumere l’umiliante posizione del missionario davanti ai padroni atlantici (loro sì applauditi sovranisti, non solo nelle parole: America First!) e ai cosiddetti partner euroinomani (nello spirito solidale europeo, i paesi del Sud possono sgretolarsi e impoverirsi, colpa loro!).

La cosiddetta Sinistra invece (termine qui usato come sostantivo e aggettivo insieme) passa dal governo all’opposizione senza lasciare traccia, incapace di disegnare l’ombra di una reale alternativa, distinguendosi dalla Destra solo per una diversa capacità d’intrattenere il pubblico televisivo.

Vengono qui a mente i dolenti versi che sette secoli fa affollavano gli incubi del Sommo Poeta:


Ahi, serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello!

 

Il recupero della Sovranità (se il termine infastidisce le anime pie degli euroinomani atlantisti, lo si sostituisca pure con Indipendenza, cambia poco) sarebbe praticabile da subito, con intuibili cautele certo.

L’Italia si ergerebbe in tal modo come la Regina del Mediterraneo, un mare che non a caso i nostri antenati chiamavano nostrum, divenendo piattaforma di pace, progresso e dialogo tra i popoli di Africa, Asia ed Europa.

Con l’Europa, a quel punto, le relazioni tornerebbero alla pari, non più basate su una umiliante obbedienza a interessi altrui, e la generazione di chi scrive potrebbe abbandonare il mondo con il sollievo di aver lasciato una valida eredità ai propri figli e nipoti.

Riecheggiando il malessere di Mao Zedong nei riguardi dell’Unione Sovietica degli altri ’50, anche noi (guardando all’Unione Europea) dormiamo nello stesso letto, ma non facciamo (almeno non dovremmo fare) gli stessi sogni.


Affetta da un incomprensibile complesso d’inferiorità, l’impaurita classe dirigente italiana ha da tempo gettato la spugna senza nemmeno combattere, a dispetto dei danni e oltraggi che riceviamo quotidianamente (declino economico, lavoro precario, servizi pubblici degradati, mancato sviluppo, sudditanza a tutto campo).


Sono lontani i tempi in cui, con la cosiddetta liretta, grottescamente diffamata da giornalisti, accademici e politici reclutati con il criterio dell’incompetenza, l’Italia era divenuta la quarta potenza economica al mondo (prima pagina del Corriere della Sera, 16 maggio 1991[8]), superando Francia e Gran Bretagna, mentre stava avvicinandosi a gran passi alla Germania, che era all’epoca il malato d’Europa. I dati disponibili, e qui ripresi[9], fanno rabbrividire.

Una domanda erompe come un vulcano: cosa potrebbe indurre la classe dirigente della Penisola (se ne esiste ancora una), finanziaria, di governo e mediatica, ad abbandonare questo trentennale percorso auto-distruttivo? Il quesito resta per ora senza risposta, anche se, magra consolazione, gli storici futuri nell’evocare il declino del Paese ne elencheranno i responsabili, a loro eterna esecrazione.


5. Sull’Europa poi, s’impone un tragico interrogativo: dove sono finite le classi dirigenti d’antan, non solo quelle che simulavano la difesa del mondo del lavoro (le cosiddette Sinistre) in cambio di soldi e carriere, ma finanche quelle che un tempo difendevano senza mascherarsi gli interessi borghesi, oggi diremmo del ceto dominante?

Una plausibile risposta è reperibile nella paura di perdere i residui privilegi.

Ad essa segue una seconda: alla scomparsa della borghesia, i membri sopravvissuti vengono cooptati nel cerchio ristretto della classe dominante (quelli provenienti dai paesi vassalli sempre in posizione gregaria, beninteso!), mentre i ceti di servizio, politici, giornalisti e accademici, sono reclutati tramite gli algoritmi pubblicitari, poiché i veri padroni detestano la competenza e i valori etici. In tale degrado, gli intellettuali sopravvissuti dileguano o vengono esiliati.


Nel mondo fiabesco del neoliberismo bellicista, i popoli sono venduti all’asta, ma rimangono al servizio dei gerarchi imperiali, incolti, prepotenti e violenti, la peggior tribù della razza umana[10]. Alla luce degli orrori che zampillano da ogni poro, nulla dovrebbe più sorprenderci. Eppure, continua a colpisce la dabbenaggine di un popolo ebetizzato, che si eccita solo con i quiz televisivi e una palla che rotola, accettando invece passivamente di essere guidato da individui intellettualmente rabberciati, fungibili come il pomodoro, la cui unica virtù è l’obbedienza.


6. Alla luce di quanto precede, è dunque chiaro che la società occidentale non è preda di inesistenti impulsi eversivi, di oscuri ribellismi anarchici o di irreperibili derive antisemitiche. La società non vive nemmeno una crisi di radicalismo populista, tantomeno di sinistra (di vera sinistra, come detto, non si scorge l’ombra!), di estremismo islamico (salvo soggetti marginali, spesso reclutati) o di passiva assuefazione al terrorismo (fenomeno politico, non di criminalità comune, e non di rado a corrente alterna teleguidata).


La società occidentale riflette invece un amaro deflusso sistemico di moralità. La plutocrazia che guida una locomotiva fuori dai binari diffonde una propaganda che sfida persino la logica aristotelica, puntando alla regressione etica universale verso l’età della pietra, mentre l’indifferenza popolare rasenta il silenzio dei cimiteri.


Il problema del tempo presente non è nemmeno l’aggressività di coloro che si oppongono alle atrocità – quelle dell’esercito israeliano a Gaza e quelle che gli Stati Uniti/Ucraina consentono in un conflitto provocato e perduto in partenza (se la Russia scorgesse l’ombra della sconfitta, e fortunatamente non è il caso, userebbe l’arma nucleare!), ma l’acquiescenza di coloro che non si oppongono abbastanza, sopraffatti da spazzatura mediatica, mentre i decisori politici pensano ai loro inverecondi interessi.


Non è vero che troppe persone disobbediscono, è vero il contrario: troppe persone continuano a obbedire. Non è vero che le persone sono radicalizzate, ma è vero il contrario: poche persone lottano per i veri bisogni umani. Non è vero che i piloti del convoglio che porta all’olocausto nucleare sono spaventati dal rigetto popolare. È vero il contrario: essi non hanno abbastanza paura di un popolo che potrebbe privarli delle confortevoli poltrone dove sono seduti.


Non è vero che la società è preda di un’immaginaria epidemia di antisemitismo. È vero invece che la società non ha sufficiente coraggio per gridare che si tratta di un’altra menzogna di cui Israele si serve per massacrare povera gente.

 

I popoli sono più numerosi e più saggi di chi li governa. Non bisogna temere di opporsi. Il mondo non è mai stato così vicino all’Armageddon. Nel 2022, l’Orologio dell’Apocalisse segnava 100 secondi alla mezzanotte, oggi solo 90 secondi separano il pianeta dalla catastrofe.

Lo storico statunitense Howard Zinn (1922-2010) affermava:


“La disobbedienza civile non è un nostro problema. Il nostro problema è l’obbedienza civile”.

 

Alberto Bradanini, https://www.lafionda.org/  24/6/2024

Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i diversi numerosi incarichi ricoperti, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.

Note:

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Abu_Ghraib_torture_and_prisoner_abuse

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Tortura_e_abusi_su_prigionieri_a_Bagram; https://it.wikipedia.org/wiki/Bagram

[3] https://theintercept.com/2024/06/01/guantanamo-prosecutors-torture-testimony-confession/; https://altreconomia.it/le-torture-di-guantanamo-e-il-tradimento-delle-vittime-dell11-settembre/

[4] https://en.wikipedia.org/wiki/Comparison_of_United_States_incarceration_rate_with_other_countries

[5] Covert Regime Change: America’s Secret Cold War, Cornell Studies in Security Affairs), Lindsey A. O’Rourke, Cornell Un., 2018

[6] https://scenarieconomici.it/il-ventennio-delleuro-i-dati-sul-disastro-economico-italiano/

[7] attribuita alla deputata democratica Ann Richards (al tempo di G.W. Bush)

[8] https://scenarieconomici.it/italia-quarta-potenza-corriere-della-sera-16-maggio-1991/

[9] https://mail.yahoo.com/d/folders/2/messages/AMCGsU1NbFe-ZnbPcwSEQK6BMDA/AMCGsU1NbFe-ZnbPcwSEQK6BMDA:2?fullscreen=1

[10] https://english.scenarieconomici.it/international/the-real-power-in-europe-is-neither-democracy-or-the-market/

 

 

 

 

ECCO CHI IMPONE I VERTICI DELLE ISTITUZIONI EUROPEE

Quali sono le organizzazioni e le lobby internazionali che hanno scelto le sorti dei governi in Italia?

Chi ha imposto ed eterodiretto i vertici delle istituzioni europee?

Ci sono le prove del coinvolgimento delle medesime organizzazioni sia dietro i governi in Italia che dietro le principali istituzioni europee?

È possibile dimostrare che i leader europei siano stati scelti a porte chiuse prima di arrivare a ricoprire ruoli di prestigio nelle istituzioni comunitarie?

È possibile tracciare i contorni delle organizzazioni che operano come veri e propri governi ombra per gli interessi delle grandi lobby internazionali ai danni dei popoli e dei processi democratici?

Chi sono i politici che ne hanno fatto per parte e che ruoli hanno avuto nelle istituzioni europee e nei governi in Italia?

A questa e ad altre domande Francesco Amodeo proverà a dare una risposta nella puntata di stasera di Fuori dalla Matrix. Una puntata sconvolgente. Unica nel suo genere per il numero di prove fornite.

 

Ascolta e vedi QUI

 

 

 

 

 

REALISMO CAPITALISTA

L’articolo di ieri Ahi serva Italiaè un ulteriore contributo a sostegno dei miei pensieri.

È dinanzi a noi il drammatico acuirsi di un conflitto, soprattutto ideologico, che mette in contrapposizione due mondi totalmente diversi nello spirito e nella cultura.

Da una parte il mondo occidentale, permeato ormai da quella visione arrogante di chi non si considera nel mondo bensì al di sopra del mondo. Quella visione messianica che attraverso il capitalismo, la cui genesi fu ben descritta da Max Weber (1864-1920), mira a trasformare il mondo in cui tutti noi viviamo in un McMondo.

Dall’altra parte, per ora e solo per ora, il mondo russo, la cui cultura a sua volta ha permeato tutti i popoli che popolavano l’impero russo, quindi tutta la ex Unione Sovietica e, quindi, in qualche modo la Russia: si tratta di un’idea in basa alla quale il cittadino, l’abitante della Russia vuole la libertà di fare ciò che vuole ma sa che esistono alcune cose che lo sovrastano in qualche modo.

È una cosa molto spirituale. Franco Fracassi la definisce una sorta di “destino manifesto” che devono seguire perché è giusto così e che passa attraverso la sofferenza. Cioè la sofferenza è elemento essenziale per il raggiungimento dei fini collettivi.

Questo vuol dire che nonostante essi possano essere individualisti come gli occidentali, hanno però questo senso della collettività nazionale.E per raggiungerla sono capaci di passare anche attraverso la sofferenza.

Di questo è stata data dimostrazione nella storia passata (ad esempio: Napoleone e Hitler) e lo esprimono anche in episodi personali. Nel nome di questo “destino manifesto” accettano qualsiasi sofferenza.

Il destino, il sacrificio, lo sforzo eroico, la durezza della vita, il valore della terra, la Patria sopra ogni cosa, sono tutti valori penetrati nel profondo del popolo russo. La letteratura e la cultura russa ne è innervata. Qui occorrerebbe un’altrettanta analisi alla Max Weber.


Ma noi viviamo nel mondo occidentale: il mondo che si è configurato con lo spirito del capitalismo, alla cui base c’è l’etica protestante.


L’Italia, vassalla come tutta l’Europa, della nazione che si considera al di sopra del mondo, dovrebbe invece essere permeata da un’etica cristiana. E in questo dovrebbe essere più affine allo spirito del popolo russo.

Invece, la stragrande maggioranza, comprese tutte le sinistre, si sono convertite completamente al neoliberismo, al capitalismo.


Per dirla alla Mark Fisher (1968-2017), al “Realismo capitalista”, che è il titolo di un suo libro pubblicato nel 2009, un anno dopo l’inizio della famosa crisi del 2008. Una crisi che colpì tutto il mondo a partire dagli Stati Uniti. Mark Fisher morì suicida il 14 gennaio 2017 all’età di 48 anni.

Fisher dice che il realismo è qualcosa che esiste, cioè qualcosa che noi in un certo senso non possiamo con buon senso negare.

Quindi realismo capitalista è una fase del capitalismo che diventa oggettiva.

Nell’analisi di Fisher il capitalismo non è più una delle tante possibilità sociali, economiche, politiche, ideologiche che si pongono davanti all’individuo. Esattamente il contrario. Il capitalismo diventa una realtà, ed è qui il realismo capitalista, una realtà che non si può mettere più in discussione.

Quello che però Fisher aggiunge a quest’analisi, che potrebbe sembrare anche abbastanza scontata, è il fatto che il capitalismo è diventato talmente una realtà, si è talmente insediato nella nostra vita che va a toccare anche il modo in cui noi percepiamo la realtà stessa e il modo in cui percepiamo noi stessi e le relazioni con gli individui.


Quindi il capitalismo non è più semplicemente un’opzione tra le tante, diventa la cifra stessa, la matrice, si potrebbe dire, della realtà stessa e da qui ovviamente vengono influenzate tutte le scelte che fanno gli esseri umani in relazione alla realtà, in relazione a sé stessi, in relazione agli altri individui.


Addirittura si arriva a dire che è più facile immaginare la distruzione del mondo, della società, che non la distruzione del capitalismo, perché il capitalismo è diventato un sistema talmente pervasivo, innanzitutto mentalmente e psicologicamente, che è più semplice pensare che si possa arrivare a una distruzione del mondo in quanto tale, una distruzione per le guerre, per i conflitti, per un asteroide che colpisce la Terra, anziché immaginare che il capitalismo possa arrivare a una fine, proprio perché dal punto di vista immaginativo non si può più pensare a un’alternativa rispetto a questo sistema.

La crisi del 2008, contrariamente a quello che si poteva pensare, non portò a una fine del capitalismo, ma portò a un suo permanere ancora di più. Il “There is no alternative” di thatcheriana memoria. Non c’è alternativa al sistema capitalista.

Il realismo capitalista trasforma ogni oggetto in un bene di consumo: la letteratura, i libri, la musica, il cinema, cioè tutte quelle forme e quelle attività che producono artefatti da parte dell’essere umano che non sono più valutati per un loro valore intrinseco che deriva dalla capacità di chi le ha create oppure dal messaggio che vogliono veicolare ma sono valutati solo ed esclusivamente come merce di scambio: per cui un disco, un libro, un oggetto d’arte, un quadro, qualunque cosa, praticamente quello che accade oggi comunemente in tutti i campi cosiddetti della cultura, vale fino a che si riesce a dimostrare che può vendere, cioè può diventare un oggetto di scambio.

Se non vende non vale niente, se vende è un oggetto che merita attenzione.


La stessa cosa si fa con gli esseri umani, se riesce a vendere è una persona degna di considerazione, se non vende non vale nulla, quindi il valore intrinseco dell’opera scompare. Il valore intrinseco di chi l’opera la compie, la fa, scompare e lascia posto semplicemente al valore di scambio. Ovviamente valore di scambio che si basa poi anche sul denaro, perché il capitalismo non può vivere senza una profonda connessione con il denaro.


Più si genera denaro più se ne crea dallo scambio e più ovviamente si dà valore a un oggetto o una persona… La stragrande maggioranza non riesce più a immaginare un’alternativa.

Questo si può vedere anche nell’attività politica, perché si parla sempre della crisi delle ideologie, del fatto che ormai la politica non sia più nulla di interessante, oppure la politica si sia ridotta solo all’interesse personale, al carrierismo e quant’altro.

E proprio perché è talmente difficile immaginare un’alternativa a questo stato di cose, cioè a questo realismo capitalista, che anche la politica perde il suo senso, anche l’impegnarsi per qualcosa perde il suo senso, e infatti nel testo si parla anche di “impotenza riflessiva”, dove si intende non semplicemente una passività fine a sé stessa ma una inazione fine a sé stessa.

L’impotenza riflessiva è quella presa d’atto, soprattutto da parte dei più giovani, che ogni tipo di azione è destinata a fallire nel suo intento, soprattutto se vuole cambiare lo stato delle cose. Per cui non agire è meglio che agire, perché l’azione è futile.

Mazzini ne sarebbe inorridito.


Ma sappiamo bene chi regge i fili di tutto questo: un’elite finanziaria-usuraia di cui fanno parte anche “i cosiddetti «comunisti liberali» alla George Soros o alla Bill Gates, che all’avida ricerca del profitto uniscono la retorica dell’impegno ecologista e della responsabilità”.


Eppure noi del GLR, e si spera come noi altri sparuti coraggiosi, proviamo e riproviamo, fino allo sfinimento, a indicare la strada che occorre percorrere per riuscire ad immaginare un mondo diverso, dove i concetti di Patria, di interesse collettivo, di bene comune possano un giorno avverarsi. Perché bisogna sempre crederci, e avere le parole per farlo capire agli altri.

Di sicuro si avvereranno nei nostri animi.

E anch’io chiudo con Dante ( Inferno III 94-96):

 

Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.

Questa è la volontà di chi detiene il potere, non chiedere altro.

 

La differenza tra coloro che intraprendono un cammino di elevazione spirituale e quelli che stazionano sulla sponda dell’Acheronte è tutta nella diversa accezione, nel differente contenuto semantico che si può dare al vocabolo “potere”.

Enrico Di Stasio, GLR   24/6/2024

 

 

 

 

 

 

Ecco un esempio drammatico di come i “vincitori” non si prendono solo la sovranità, la politica e l’economia delle nazioni vinte come l’Italia ma anche l’anima e la mente degli abitanti, soprattutto dei più giovani. Ah, dimenticavamo: questo viene fatto fin dagli anni ’50, da quando internet e social ancora non c’erano. La televisione infatti arriva in Italia nel 1954 con la RAI e ancor più dal 1985-1993 con Berlusconi e Mediaset. Così, tanto per ricordare.

 

Chiudete Tik Tok… prima che sia troppo tardi!

 

 

Matteo Gracis

Ascolta e vedi QUI

24/6/2024

 

 

 

 

 

Storico e saggista statunitense (1922-2010)

 

 

 

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Verso la dittatura digitale (25). Preoccupiamoci: il cervello come campo di battaglia.

Il Grande Reset. La Grande Risistemazione (43). Esseri inutili di tutto il mondo, preoccupiamoci!

Doni dall’OMS e dall’europa per il nuovo anno.

Disattenzione micidiale.

GLR-CONSIDERAZIONI  56. Cuori di pietra.

L’importanza di essere inutili ed inascoltati.

Un mostro che  possiede il mondo e il nostro futuro.

Chi comanda nel mondo.

 

 

 


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