La finzione al potere negli Stati Uniti d’America Le lancette dell’orologio del giudizio universale a due minuti e trenta secondi dalla mezzanotte. Prevista per l’autunno una nuova e più grave crisi economica in Europa, ma il Donald dice al nostro presidente pro-tempore del consiglio di “avere a cuore l’Italia”
Il 28 gennaio del 2016, nove mesi prima delle elezioni americane, avevamo previsto la vittoria di Donald Trump e l’ascesa al potere in Francia di Marine Le Pen (vedi Considerazioni Inattuali n° 85). Auguriamoci che la nostra sfera di cristallo in questo 2017 si dimostri fallace e menzognera perché le nostre previsioni sono più catastrofiche di quelle dello scorso anno, non sono intuitive o basate unicamente su una modesta, quarantennale esperienza giornalistica negli Stati Uniti, ma sono basate sui fatti, sul work on progress della nuova amministrazione che ha assunto i poteri a Washington e sono condivise da osservatori politici, economici e scientifici ben più autorevoli di chi scrive queste note. Quanto segue è un elenco sommario ed incompleto dei fatti, degli sviluppi delle ultime settimane.
Abbiamo il capo esecutivo della più grande potenza mondiale che ha esteso alla sfera dell’amministrazione della cosa pubblica e della gestione degli affari internazionali gli stessi metodi leciti e più spesso illeciti che gli hanno permesso di accumulare ricchezza come imprenditore immobiliare. Metodi riassumibili nel dogma dilatato, ossessivo e dissennato che la pubblicità è l’anima della politica e la politica è l’anima del commercio. Il commercio come utile personale in violazione del conflitto di interessi, esteso al famigerato uno percento di supermiliardari che fanno parte del suo governo. Il tutto spacciato con il brand trumpista, la marca “America First”, l’interesse esclusivo del popolo che richiama alla memoria l’Italia proletaria e fascista dell’antesignano Benito Mussolini.
Al metodo e ai suoi traguardi a breve, brevissima scadenza, si aggiungono l’ignoranza delle procedure legislative e costituzionali di una repubblica federale complessa, oligarchica e caratterizzata da formali e carenti osservanze democratiche, una megalomania psicopatologica, razzismo, sessismo, negazione del problema primario del pianeta e cioè il cambiamento climatico, accompagnata da un irresponsabile approccio alla potenza nucleare degli Stati Uniti come surrogato del loro declino imperiale.
Queste due ultime disastrose, chiamiamole “tendenze” di Donald Trump hanno indotto i premi Nobel del “Bullein of Atomic Scientists” a portare avanti per il 2017 di trenta secondi a due minuti e mezzo dalla mezzanotte le lancette del loro già allarmante “Doomsday Clock”, l’orologio del Giudizio Universale. Condivide il loro parere il linguista del Massachussetts Institute of Tecnology e radicale saggista politico Noam Chomsky che ha scritto sic et simpliciter che Donald Trump rappresenta una minaccia per il genere umano per quanto concerne il cambiamento climatico e una guerra nucleare.
Si è trovato in una compagnia a lui sgradita, quella del “New York Times” del 5 febbraio che in un articolo dal titolo “Il dito sul bottone nucleare” ha scritto:”Il signor Trump ha assunto il potere con ben poca conoscenza del vasto arsenale nucleare, dei missili, degli aerei strategici e dei sommergibili che lo compongono. Ha parlato, in termini allarmanti, dell’impiego di queste armi contro i terroristi e di volere incrementare il dispositivo nucleare americano. Ha anche detto di credere nell’alto valore della impredicability, nel presumibile significato di voler mantenere in drammatica tensione altre nazioni sul suo possibile intento di fare ricorso alle armi nucleari….”.
Due giorni prima lo stesso quotidiano aveva sparato in prima pagina la notizia che il riscaldamento climatico aveva esteso di 27 chilometri, in meno di due mesi, una pre-esistente profonda fessurazione della calotta artica denominata Larsen C; è quindi imminente la separazione di un enorme massa di ghiacci che creeranno nell’Atlantico un iceberg di dimensioni mai prima registrate. L’aumento del livello dei mari sarà sensibile anche se minimo.
E c’è anche chi esagera nel blog “Artic News” con un’analisi dal titolo “Estinzione del genere umano entro il 2026?”. Una scadenza decennale viene esclusa dagli scienziati del clima, non altrettanto di una data terminale dei cento anni a cui si arriverebbe per la combinazione di tutti i fattori di inquinamento a cui il neo presidente degli Stati Uniti intende alacremente contribuire con la riapertura di miniere di carbone ed il via libera a due giganteschi oleodotti dal Nord al Sud dell’emisfero nordamericano.
Ma ci sono problemi meno cataclismici ma più immediati che incombono sul mondo industrializzato ed in via di sviluppo. Riguardano la pressoché certa, imminente e grave depressione economica che il protezionismo e le guerre commerciali programmate dal signor Trump colpirà per prima l’Europa, a partire dall’Italia.
Ne hanno parlato a porte chiuse ed in pubblico i governanti dell’Unione Europea a Malta e ne hanno parlato in termini duri e sferzanti rivolti al nuovo inquilino della Casa Bianca. Non sembra che il nostro presidente del consiglio si sia unito al coro, concentrando i suoi interventi sulle corresponsabilità europee per i crescenti problemi dell’immigrazione. Sembra comunque che sia stato l’unico a ricevere una telefonata di congratulazioni del Presidente americano che ha proclamato di “avere a cuore l’Italia”.
Chi scrive, in quanto italiano, è rimasto turbato dall nozione di occupare una millesimale porzione dell’organo cardiaco di Trump. Se ne dovrebbero preoccupare gli estremisti della destra nostrana, l’allegra brigata dei Salvini & Co., che hanno esultato per la sua vittoria elettorale e dovranno fare ad autunno i conti con un aumento della disoccupazione in Italia.
Ma se ne dovranno anche preoccupare quei pochi estremisti dell’estrema sinistra che gioiscono della obsolescenza della NATO proclamata a parole e poi rinnegata dal Donald – un verdetto da noi condiviso prima ancora che l’imprenditore immobiliare abilissimo nel trarre profitti anche dalle sue bancarotte assumesse il potere. Questi saltimbanchi della sinistra, nella definizione di Lenin, ignorano che anche l’amicizia con Putin potrà essere messa da parte nel divide et impera anti Europa del giocatore d’azzardo che occupa la bianca magione di Pennsylvania Avenue.
Lucio Manisco, giornalista Considerazioni Inattuali n°100 8 febbraio 2017
vedi: Con Pokemon & C. il progresso accelera verso il collasso
L'ascesa del fascismo americano
Quella diffusa voglia di uomini forti in politica