Il 31 gennaio 1903 muore a Marina di Pisa (PI) dopo una lunga malattia GIOVANNI COSTA (77 anni, detto Nino) pittore, politico, militare, Patriota risorgimentale e difensore della Repubblica Romana del 1849.
Costa nacque a Roma in una famiglia benestante che si occupava di tessuti e che aveva buoni rapporti con il mondo ecclesiastico. Suo padre possedeva un grande palazzo presso la chiesa di S. Francesco a Ripa in Trastevere, dove nacque Nino, segno della sua importanza sociale.
Costa crebbe comunque in un ambiente democratico e fin da giovanissimo aspirò alla liberazione di Roma dal potere pontificio; inoltre frequentava molto l’ambiente popolare, anche a causa della sua fabbrica tessile, e vedeva in esso il motore principale di una futura insurrezione.
Il giovane Costa, negli anni della sua educazione in istituti prestigiosi, mostrò presto le sue ottime inclinazioni in campo artistico maturando principi della cultura pittorica neoclassica-romantica che rimasero il segno distintivo della sua pittura. La sua attività di pittore gli dava grande libertà di movimento e il prestigio della sua famiglia lo proteggeva dalla polizia, nonostante le sue idee democratiche.
Costa cominciò ad impegnarsi politicamente fin dal 1846/7 durante il periodo in cui Pio IX sembrava accogliere alcune riforme e nel 1848 partì volontario per la Prima guerra d’Indipendenza combattendo a Vicenza. Poi, ritornato a Roma, partecipò attivamente alla nascita della REPUBBLICA ROMANA fino a divenire membro dello Stato Maggiore di GARIBALDI ( la sua casa a Trastevere fu per un certo periodo la sede delle Stato Maggiore garibaldino). Costa combattè poi per la difesa della Repubblica, nel maggio-giugno 1849, impegnandosi soprattutto sul Gianicolo.
L’arrivo dei francesi a Roma lo costrinse alla fuga dopo il 3 luglio 1849 e si rifugiò ad Ariccia dove tra il 1850 e il 1853 cominciò a creare un circolo d’incontro di vari artisti europei, i Nazareni, e s’impegnò fortemente nella sua attività pittorica divenendo sempre più un importante rappresentante della corrente pittorica chiamata Verismo.
Per ragioni artistiche viaggiò nel Meridione, conobbe alcuni pittori inglesi ( George Mason e Frederick Leighton) con cui si legò per tutta la vita. Insieme a Mason dipinse nelle località fra Ardea e Pratica di Mare mettendo a punto la ricerca del “vero … veduto attraverso il sentimento del pensiero” come scriverà successivamente.
Ma la sua attività artistica non distolse Costa dai suoi ideali politici: nel 1857 scrisse con altri una provocatoria lettera a Pio IX richiedendo riforme sociali radicali e nel 1859, durante la Seconda guerra d’Indipendenza, si arruolò ancora volontario nell’esercito franco-piemontese cercando di raggiungere il fronte ad Aosta. Dopo la guerra riprese la sua attività artistica, molto intensa dopo il 1860, viaggiando per l’Italia e l’Europa.
Dal 1864 Costa tornò a Roma per lunghi periodi e i capi del Comitato Nazionale gli affidarono il compito di riorganizzare il partito interno a Roma, accusato d’inerzia, per preparare un’eventuale insurrezione. Ma Costa prese decisioni personali più radicali: si collegò al partito democratico e mazziniano per cercare di creare un movimento di massa che andasse oltre le posizioni prudenti del governo del Regno d’Italia. Compì per questo frequenti viaggi a Firenze per entrare in contatto con gruppi di emigrati romani ed esponenti del Partito d’Azione mazziniano.
Nel 1867 Costa creò un centro insurrezionale clandestino a Roma per organizzare una rivolta che giustificasse l’intervento di Garibaldi. Per finanziare questo centro vendette molte sue opere, con l’aiuto dei suoi due amici inglesi, ma purtroppo l’ambiente popolare romano non si mostrò capace di reale cooperazione facendo fallire l’organizzazione di una possibile rivolta a Roma.
Quando Garibaldi comunque entrò nel Regno pontificio Costa lo raggiunse entrando di nuovo nel suo Stato Maggiore e combattè nel novembre del 1867 a Monterotondo e Mentana. Il fallimento della spedizione garibaldina lo costrinse ad andare a Firenze dove restò fino al 1870 e riprendendo in pieno la sua attività artistica.
Ma nel settembre del 1870 fu tra i primi ad entrare a Roma, precedendo le truppe di Cadorna, e divenendo un importante protagonista di quei primi giorni convulsi di transizione della Città dal potere pontificio al Regno d’Italia.
Insieme con MATTIA MONTECCHI ( 1816- 1871, responsabile politico e difensore della Repubblica Romana del 1849) Costa si adoperò, nelle primissime ore dopo il 20 settembre, affinchè la popolazione romana avesse il diritto d’una scelta democratica e per questo agì dal Campidoglio quasi come un “sindaco” pro tempore e animando incontri popolari nei rioni di Trastevere e Borgo fino ad organizzare un memorabile comizio al Colosseo, il 22 settembre, da cui uscì eletta una Giunta di governo democratica. Ma questo tentativo di realizzare a Roma gli antichi ideali repubblicani del 1849 fu spazzato via dal governo italiano monarchico che, in quel periodo, risiedeva a Firenze e che nominò una sua giunta ed organizzò il plebiscito.
Comunque Costa fu eletto consigliere, insieme a Montecchi, e rimase fino al 1877 in posizione marginale operando, però, per la requisizione dei beni ecclesiastici, per l’assistenza alla popolazione più povera e per il riordinamento dei musei romani.
Ma la disillusione di vedere una politica italiana che andava totalmente al contrario dei suoi ideali democratici lo portò ad abbandonare ogni attività politica. Scriverà nel suo libro di memorie : “non era, ormai, la politica più affar mio. Fatta l’Italia, liberata Roma, ogni mio compito politico io lo consideravo finito”.
Costa, terminata la sua attività politica diretta ed “eroica”, scelse di continuare ad intervenire nel dibattito politico e sociale attraverso la sua attività di pittore lottando per il rinnovamento artistico italiano e, attraverso di esso, il rinnovamento d’idee, visioni della vita e crescita della coscienza laica perchè l’arte per Costa doveva essere disgiunta da ogni forma di mercantilismo ed essere un mezzo di miglioramento delle persone. Per questo organizzò numerose esposizioni artistiche a Roma, in Italia e in Europa e promosse mostre e associazioni culturali, fin da quando era consigliere a Roma, fino a creare, nel 1878, il Circolo degli artisti italiani.
Costa scrisse di arte, con le stesse motivazioni, sui più autorevoli giornali italiani ed europei e la sua critica artistica divenne anche un veicolo di critica sociale non solo italiana. Nel 1886 fondò con altri amici pittori l’associazione In arte libertas.
L’organizzazione di mostre ed esposizioni in Italia ed in Europa lo coinvolsero fino al 1902 nonostante che nel 1897 fosse stato colpito da una commozione cerebrale. Morirà a Marina di Pisa (PI), dove si trovava per curarsi, nel 1903 assistito dalla moglie e dalle sue due figlie. I resti di Nino Costa riposano nel Cimitero del Verano a Roma.
Costa inizìò a dettare dal 1892 i suoi ricordi alla figlia Giorgia che li pubblicherà, nel 1927, con il titolo Quel che vidi e quel che intesi. L’opera è un’incisiva e vivace ricostruzione della vita romana negli anni 1848-70 con narrazioni straordinarie di avvenimenti accaduti durante la Repubblica Romana del 1849 e durante e dopo la Breccia di Porta Pia ed è anche una preziosa testimonianza degli entusiasmi e delle tensioni ideali di un Patriota Risorgimentale e di un artista rimasto fedele tutta la vita ai principi repubblicani.
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