L’epistola settima di Lucio Anneo Seneca (filosofo romano di assoluta importanza storica, 4 a.C – 65 d.C.: leggi QUI ), al suo amico ed allievo Lucilio ( Lucilio il Giovane chiamato da Seneca Lucilius Iunior ( I secolo d.C.) Procurator Augusti per la provincia romana di Sicilia durante il regno di Nerone, dal 54 al 68 d.C.) è costruita intorno a un tema fondamentale, la responsabilità individuale delle proprie scelte e la necessità di garantirsi questa libertà di pensare e di decidere: rispetto a questa esigenza primaria della persona il filosofo mette in evidenza il rischio della folla impersonale, con i suoi istinti animaleschi, che tenta di travolgere il singolo attraverso il contatto cui questi non può sottrarsi.
La debolezza del singolo di fronte alla folla e l’invito a ritirarsi in sé per quanto è possibile, sono temi assai frequenti nelle epistole, ma si ritrovano anche in parte nel De otio. Il momento su cui Seneca si sofferma in particolare in questa epistola sono i giochi sanguinosi dei gladiatori, in cui si rivelano gli impulsi peggiori dell’umanità, la crudeltà e la violenza incontrollata, che si sfogano nella partecipazione emotiva agli spettacoli, in cui spesso viene meno il pretesto dell’abilità nel gioco delle armi ma prevale il gusto primordiale dello spettacolo sanguinario, quando i combattenti si scontrano senza elmo né scudo e tutti i colpi vanno a segno nella carne dell’avversario.
Per questi spettacoli particolarmente inumani spesso le autorità politiche mettevano a disposizione dei condannati a morte. Durante la sua attività politica a fianco di Nerone Seneca aveva cercato di rendere meno spietati i giochi. E quali paragoni possiamo fare con gli “spettacoli” di oggi?
Il contenuto dell’epistola VII, in dettaglio, è il seguente: per progredire nella coscienza di se stessi, bisogna evitare la folla. Per caso Seneca si è trovato ad assistere ad uno spettacolo sanguinario dell’anfiteatro (1-5). È necessario scegliere con cura le proprie compagnie, rinunciando anche alle tentazioni delle recite di poesie e di discorsi, occasioni di facili successi sociali (6-9). La lettera conclude con la citazione di tre massime filosofiche ispirate alla non ricerca del successo e del consenso a tutti i costi e al principio della vita ritirata e lontana dalle folle (10-12).
Anche il breve passo del De vita beata, sempre di Seneca, che riportiamo ripropone le stesse riflessioni sul pericolo di conformarsi alle folle e di cercare l’affermazione e il successo.
Riteniamo che queste importantissime riflessioni di Seneca siano senza tempo e valgano ancor di più oggi, l’epoca del Grande Reset, della massificazione, dell’omologazione, della superficialità tecnologica-digitale, della società dello spettacolo e dell’affermazione di sè. L’epoca della perdita dell’anima e della dignità personale più di ogni altra del passato.
EPISTOLA VII A LUCILIO
1. Mi chiedi cosa soprattutto dovresti evitare? La folla. Non ti affiderai ancora tranquillamente ad essa. Io certamente ammetterò la mia debolezza: quando rientro in casa non sono mai lo stesso che ne è uscito. Si scompone in parte l’equilibrio che avevo già raggiunto; ritorna qualcuno dei vizi che avevo messo in fuga. Ciò che capita agli ammalati, che una lunga infermità li riduce al punto che non possono mai uscire senza risentirne, questo avviene a noi, i cui animi si stanno riprendendo in seguito ad una lunga malattia.
2. La frequentazione di molte persone è dannosa: ognuno ci suggerisce un vizio o ce lo trasmette o ce lo attacca senza che ce ne accorgiamo. In ogni caso, quanto è maggiore la folla cui ci mescoliamo, tanto più c’è pericolo. Ma non c’è nulla tanto dannoso ai buoni costumi quanto l’abbandonarsi a qualche spettacolo: infatti allora i vizi si insinuano più facilmente attraverso il piacere.
3. Cosa pensi che io intenda dire? Ritorno più avido, più ambizioso, più corrotto, anzi più crudele ed inumano, perché sono stato tra gli uomini. Per caso sono capitato nello spettacolo di mezzogiorno: mi aspettavo scene scherzose e battute di spirito e un po’ di distensione con cui gli occhi si riposassero dallo spettacolo del sangue umano. È tutto l’opposto: tutti i combattimenti precedenti erano atti di compassione, ora, lasciando da parte gli scherzi, sono semplici omicidi. Non hanno nulla con cui proteggersi: esposti ai colpi con tutto il corpo non colpiscono mai a vuoto.
4. La maggior parte della gente preferisce questo alle solite coppie di gladiatori e a quelle richieste. Perché non dovrebbero preferirli? La spada non è trattenuta dall’elmo né dallo scudo. A che le difese? A che l’abilità? Tutto ciò ritarda la morte. Al mattino gli uomini sono esposti ai leoni e agli orsi, a mezzogiorno ai loro spettatori. Ordinano che chi ha ucciso sia esposto a chi lo ucciderà e tengono in serbo il vincitore per un’altra strage; la conclusione per i combattenti è la morte: si procede col ferro e il fuoco.
5. Questo avviene mentre lo spettacolo nell’arena è sospeso. “Ma uno ha commesso una rapina, ha ucciso un uomo”. E allora? Per il fatto che ha ucciso, egli ha meritato di subire questo; tu, infelice, cosa hai meritato per stare a guardare questo spettacolo? Ammazza, frusta, brucia! Perché ha tanta paura a gettarsi sulla spada? Perché ammazza con poco coraggio? Perché ha poca voglia di morire? Lo si frusti per spingerlo a colpire, ricevano colpi reciproci col petto scoperto e indifeso”. Lo spettacolo è sospeso. “Intanto si sgozzi qualcuno, per non stare a far niente”. Via, non capite nemmeno questo, che i cattivi esempi si ritorcono contro chi li dà? Ringraziate gli dèi, che date lezioni di crudeltà a chi non può impararla.
6. Un animo debole e poco tenace nel bene deve essere sottratto alla folla: facilmente ci si lascia trascinare dalla sua parte. I costumi di Socrate, di Catone, di Lelio, avrebbe potuto modificarli una moltitudine diversa da loro: a maggior ragione nessuno di noi, proprio mentre sta formando il suo temperamento, può sopportare l’assalto dei vizi che ci vengono incontro in massa.
7. Un solo esempio di dissolutezza o di avidità fa molto male; un compagno voluttuoso snerva e ci infiacchisce, un vicino ricco eccita la tua bramosia, un compagno malvagio attacca la sua ruggine anche ad un animo candido e semplice, per quanto lo sia: che pensi che avvenga alla moralità che subisce un assalto di massa?
8. È inevitabile imitarli o odiarli. Ma bisogna evitare l’uno e l’altro estremo: non devi diventare come i malvagi, per il fatto che sono molti, né nemico dei molti perché sono diversi da te. Ritirati in te stesso per quanto puoi; frequenta quelli che ti renderanno migliore, accogli quelli che tu puoi rendere migliori. Questi influssi si esercitano reciprocamente, e gli uomini apprendono mentre insegnano.
9. Non c’è motivo per cui il desiderio di far conoscere il tuo ingegno ti spinga ad esibirti in pubblico, a che tu voglia far recitazioni per costoro o discussioni; ti consiglierei di far questo se tu avessi una merce da vendere a questa gente: non c’è nessuno in grado di capirti. Forse ce ne sarà uno, uno o forse due, e questo stesso dovrà essere educato e istruito perché ti capisca. “Ma allora per chi ho appreso tutto ciò?”. Non hai da temere di aver sprecato la tua fatica, se hai imparato per te.
10. Ma perché io oggi non abbia imparato solo a mio profitto, ti parteciperò tre massime eccellenti circa sullo stesso argomento: di queste una te la pagherà questa lettera a saldo di quello che ti debbo, due ricevile in anticipo. Democrito dice: “uno solo vale per me quanto tutto il popolo, e tutto il popolo come uno solo”.
11. Ha detto bene anche quell’altro, chiunque fosse (l’autore infatti è incerto), quando gli chiedevano perché si applicava con tanta diligenza ad una materia che pochissimi avrebbero apprezzato: “a me bastano pochi”, rispose, “basta uno, basta nessuno”. Bene ha detto Epicuro questa terza sentenza, scrivendo ad uno dei suoi amici: “queste cose non le dico a molti, ma a te”, ha detto, “infatti noi due siamo un pubblico sufficiente uno per l’altro”.
12. Questi pensieri, Lucilio mio caro, debbono essere riposti nell’anima, per poter disprezzare il piacere che viene dal consenso della gente. Molti ti lodano: hai qualche motivo per piacere a te stesso, se sei uno che molti capiscono? I tuoi meriti guardino alla tua coscienza. Stammi bene.
da DE VITA BEATA di L. A. SENECA
2. Quando, invece, si discuterà sulla vita felice, non mi si potrà rispondere come si fa nelle votazioni: “Sembra che la maggioranza sia da questa parte”; infatti proprio per questo è il parere peggiore. Le cose di questo mondo non vanno poi così bene al punto che i pareri migliori sono di gradimento ai più. La folla è la prova del peggio. Cerchiamo dunque quello che sia meglio da farsi, non quello che è più scontato, e quello che ci può portare al possesso dell’eterna felicità e non quello che ha l’approvazione del volgo, che è un pessimo interprete della verità. E chiamo volgo sia quelli che indossano la clamide che quelli che portano la corona; io non guardo al colore delle vesti con cui la gente si copre; non credo ai miei occhi nel giudicare un uomo, ho una luce migliore e più sicura con cui distinguere il vero dal falso; è l’animo che deve trovare il bene dell’animo. Questo, se avrà mai l’agio di respirare e di ritirarsi in se stesso, oh, quasi torturandosi da solo, confesserà la verità e dirà: “Tutto quello che ho fatto finora vorrei che non fosse mai stato fatto, e quando ripenso a ciò che ho detto invidio quelli che sono muti; tutto quello che ho desiderato lo ritengo una maledìzione dei miei nemici, tutto quello che ho temuto, santi numi, quanto meglio era di quel che ho bramato! Con molti ho avuto a che dire e dopo l’odio mi sono riconciliato (se mai ci può essere riconciliazione tra malvagi), ma ancora non sono diventato amico di me stesso. Ho fatto ogni cosa per innalzarmi sulla moltitudine e mettermi in evidenza per qualche mio pregio: ma che altro ho ottenuto se non di espormi ai dardi e mostrare alla malvagità dove mordere? Tu li vedi questi che lodano l’eloquenza, inseguono le ricchezze, adulano chi ha credito, esaltano il potere? Tutti, o sono nemici o, il che è lo stesso, possono esserlo: quanto numerosa è la folla degli ammiratori, tanto lo è quella degli invidiosi. Perché allora non cerco qualcosa che io realmente senta come un bene e che non debba mostrare? Queste cose che noi stiamo a guardare ammirati e dinanzi alle quali noi ci fermiamo, e che gli uni additano stupiti agli altri, brillano di fuori, ma dentro sono ben misere“.
3. Cerchiamo un bene che non sia appariscente, ma solido e duraturo, e che abbia una sua bellezza tutta intima: tiriamolo fuori…….
28. Questa è una cosa che voi non capite e assumete un atteggiamento che non si addice alla vostra condizione, come tutti quelli che stanno senza far nulla al circo o a teatro e ancora non sanno che, intanto, la loro casa è in lutto. Ma io, che guardo dall’alto, vedo quante tempeste minacciano di rovesciarsi a momenti su di voi con i loro nembi o, ormai vicinissime, stanno per trascinare via voi e le vostre ricchezze. E non tra poco, già ora, anche se non ve ne accorgete, un vortice travolge le vostre anime, che anche mentre cercano di sfuggire non rinunciano ai loro desideri e ora vengono sollevate in alto, ora sprofondate nell’abisso.
DALLA RETE
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