Riferendosi ad alcuni episodi di corruzione, che hanno caratterizzato in questi ultimi mesi la vita politica italiana, i media hanno formulato l’ipotesi della nascita di una «società segreta», la P3, insieme comitato di affari e struttura sotterranea di potere che si propone di influenzare i vari ambitinei quali il potere ufficiale si dispiega. È difficile dire se (e come) sussista una vera analogia tra questa nuova società occulta e la P2, ma non vi è dubbio che esista una effettiva continuità tra il piano di Rinascita democratica di Licio Gelli, scoperto dalla magistratura agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, e l’ipotesi di cambiamento del Paese messo in atto dai governi Berlusconi. Infatti, al di là della accertata appartenenza del premier alla P2 con tessera n° 1816 — pochi ricordano la condanna per falsa testimonianza comminatagli, in anni ormai lontani, a Venezia per aver mentito al giudice a proposito di tale appartenenza — sorprendenti sono gli aspetti di convergenza che esistono tra i due progetti.
Comune appare anzitutto — come risulta dalle carte sequestrate nella villa di Gelli — l’obiettivo perseguito, consistente nello svuotamento dall’interno di ogni sostanza reale della democrazia parlamentare in favore di uno Stato populista guidato da un capo carismatico che ha il diretto controllo di tutte le leve del potere. Si tratta, in sostanza, di una lotta senza esclusione di colpi nei confronti della politica, che viene screditata e vilipesa, mortificando i partiti, esautorando i sindacati, sradicando la cultura dell’uguaglianza e dei diritti per sostituirla con una cultura clientelare, dove a prevalere sono gli interessi delle corporazioni forti e la costante prevaricazione nei confronti delle classi più deboli. Ma comune risulta pure la strategia mediante la quale si tende a perseguire tale obiettivo: dall’asservimento dei media, ridotti a strumenti di distrazione delle masse, al disprezzo per le regole e per le procedure, considerate meri impedimenti all’azione di Governo; dal continuo dileggio della magistratura e degli organi istituzionali di controllo — quali la Presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti, ecc. — alla riduzione degli spazi di indagine della magistratura e della polizia; dal bavaglio all’informazione alla divisione delle carriere giudiziarie con la dipendenza dei pubblici ministeri dall’esecutivo; dal dileggio della Costituzione giudicata superata e progressivamente ridimensionata, fino alla più volte ventilata proposta di introduzione del presidenzialismo. Ciò che si intende, in definitiva, smantellare è il sistema di garanzie, faticosamente costruito nel corso della storia della nostra Repubblica e finalizzato a favorire una partecipazione sempre più ampia alla gestione della cosa pubblica, a dar vita a forme di rappresentanza più qualificate e a creare condizioni di rispetto dell’autonomia dei poteri e di equilibrio nei loro rapporti.
La crisi della politica, provocata da Tangentopoli, e il cambiamento del clima culturale a opera dei media hanno determinato l’uscita del progetto piduista dalla clandestinità e dall’area del potere occulto per proporsi in campo aperto. Da disegno eversivo, che mirava a destabilizzare il sistema per crearne uno alternativo mediante una struttura di superpotere ramificata nei gangli vitali della società, grazie all’infiltrazione di persone appartenenti al mondo delle banche, dei servizi segreti, dell’imprenditoria, della politica, del giornalismo, ecc., esso diviene proposta che ottiene il consenso popolare e che riceve perciò piena legittimazione sul piano legale. Gli esiti di questa operazione sono evidenti: partiti inesistenti, parlamentari designati dall’alto, sindacati lacerati e impotenti, magistratura screditata, Rai distrutta come servizio pubblico, e si potrebbe continuare. Ma ciò che soprattutto sconcerta (e preoccupa) è che tutto questo avvenga nell’indifferenza di gran parte della popolazione, nel servilismo di molti uomini pubblici e nell’insufficiente reazione dei “chierici”, spesso tra loro divisi. Si tratta pertanto di una drammatica emergenza etica, che esige, per essere adeguatamente affrontata, un forte impegno teso in primo luogo a riabilitare la politica, restituendo dignità al parlamento, rifondando i partiti, rimettendo al centro il lavoro, difendendo l’unitànazionale e reagendo alle disuguaglianze e al razzismo. Ma esige anche un rinnovamento profondo delle coscienze. Un rinnovamento improntato al recupero di valori quali l’onestà e la trasparenza, l’uguaglianza, la giustizia e la solidarietà che sono le basi della vita democratica. Il danno più rilevante dell’attuale congiuntura è infatti di natura morale e culturale. E reclama per questo l’impegno di tutti a ricostruire le fondamenta di una politica che concorra allo sviluppo di una serena convivenza civile.
Giannino Piana in “Jesus” ottobre 2010