Dalle dichiarazioni che hanno accompagnato la prima approvazione del Lodo Alfano (che “lodo” non è perché non rappresenta un arbitrato super partes, ma l’espressione delle ragioni di una “parte”) apprendiamo che la “serenità” delle alte cariche della Repubblica è un bene meritevole di tutela costituzionale. Mentre basta guardare fuori casa (ad esempio negli Usa, dove i presidenti vanno sotto impeachment per avere avuto –negandoli – rapporti fugaci con le stagiste) per accorgersi che di tale serenità una democrazia normale non ha bisogno.Sbagliano però, tutti quelli che hanno votato l’emendamento in questione, se ritengono di poter sottrarre una siffatta disposizione alle censure di costituzionalità per il solo fatto che essa verrebbe approvata con la speciale procedura prevista dall’articolo 138 della Costituzione. Sbagliano perché le leggi costituzionali e di revisione costituzionale hanno il solo scopo – già chiaramente percepito dai filosofi politici del XVIII secolo – di integrare e di garantire la Costituzione “nel tempo” sia allo scopo di adeguarne pacificamente e gradualmente il contenuto alle nuove domande sociali sia per evitare modifiche effettuate violentemente o troppo frequenti. Il disegno di legge costituzionale n. 2180 ha invece un contenuto “eversivo” della Costituzione. Infatti, qualora tale legge fosse definitivamente approvata, essa sarebbe una legge (in forma costituzionale) “in rottura della Costituzione”, che, ancorché ammissibile in via di principio, come insegnava Carlo Esposito – un liberale autentico ed uno dei maggiori costituzionalisti italiani del secolo XX – , non sarebbe però mai ammissibile qualora provvedesse “nel caso singolo” per restringere la libertà di singoli individui o per incidere sullo status dei ministri o del Presidente della Repubblica.

E non sarebbe ammissibile anche perché tale legge, disponendo la temporanea immunità processuale per i reati comuni (extrafunzionali) del Presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio, contrasterebbe col principio costituzionale di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, che la Corte costituzionale ha fatto rientrare nel novero dei “principi supremi dell’ordinamento”, come tali immodificabili anche in forza di una legge costituzionale. Ebbene, che il disegno di legge n. 2180 contenga una “norma singolare” di favore per l’attuale Presidente del Consiglio – un privilegio in flagrante violazione del principio costituzionale d’eguaglianza – deriva dal fatto notorio che l’unico beneficiario della sospensione dei processi penali «anche relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica» è, dei due “beneficati”, il solo Presidente del Consiglio, non esistendo alcun processo penale a carico dell’attuale Presidente della Repubblica. Tuttavia ciò costituisce un elemento di chiarificazione nel dibattito pubblico e in un eventuale giudizio di legittimità costituzionale. Essendo stati via via eliminati ora l’una ora l’altra delle cinque alte cariche inizialmente beneficate dal Lodo Schifani (il presidente della Corte costituzionale “scartato” dal Lodo Alfano, i presidenti delle Camere “scartati” dalla legge sul legittimo impedimento, il Presidente della Repubblica “scartato” anch’esso dalla legge sul legittimo impedimento a beneficio dei ministri ma ora “riapparso”, al posto dei ministri, nel disegno di legge n. 2180), non si potrà più sostenere, neanche con riferimento alla titolarità della presidenza del Consiglio dei ministri, che questa carica implichi di per sé un impedimento temporaneo tale da giustificare aprioristicamente l’assenza del premier nei processi penali a suo carico per reati comuni. E ciò, non solo perché questo unicum già di per sé appare strano, ma anche perché l’interim del ministero dello Sviluppo economico, durato ben cinque mesi, ha dimostrato inequivocabilmente – e a fortiori – che la presenza del premier in qualche udienza è agevolmente compatibile con le sue funzioni, dal momento che il loro disbrigo si è, nei fatti, rivelato compatibile con i ben più gravosi impegni connessi al lungo interim. Un’ultima notazione. Nella quarta puntata di questo deplorevole gioco “a nascondino” del premier – che sarebbe addirittura risibile se non coinvolgesse, a livello internazionale, la serietà delle nostre istituzioni e non preoccupasse per i possibili ulteriori più gravi abusi – è stato nuovamente coinvolto anche il Presidente della Repubblica, dopo essere stato lasciato “fuori” dalla legge sul legittimo impedimento. Ebbene, questa spregiudicatezza legislativa è assolutamente deprecabile non solo perché non si trattano le istituzioni costituzionali come se fossero carte da gioco, ma anche per quel rispetto che si deve alla persona del Presidente della Repubblica, che andrebbe preliminarmente sentito per esprimere ufficialmente il suo parere su una modifica costituzionale che lo coinvolge. Tanto più che l’Assemblea costituente, il 24 ottobre 1947, si espresse esplicitamente in senso contrario negando l’immunità processuale del Capo dello Stato per i reati comuni.


Carlo Galli     la Repubblica  21 ottobre 2010


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