Noi credevamo“, recita il bel titolo del recente film di Mario Martone sul Risorgimento ( discreto ma, forse, non perfettamente riuscito e comunque un tentativo importante). C’era gente che credeva durante il Risorgimento, durante quella costruzione faticosa di un’Italia che quegli uomini sognavano democratica, libera, repubblicana ( o anche monarchica ma senza culto del re). E il loro credere si concretizzava in un impegno che durò dieci, venti, trent’anni: in battaglie, moti locali, discussioni, progetti. Vite spese per un ideale, in maniera totale. Questo, forse, è il lascito più grande di quel periodo: gente che credeva, uomini  che si si assomigliavano tra loro anche se distanti nel tempo e nei luoghi. Gente animata dall’ ideale risorgimentale, dall’amor di patria, per la quale sacrifica famiglia, patrimonio, carriera professionale. L’obiettivo dell’Unità d’Italia diventa l’ unico scopo di vita di quegli uomini e di quelle donne, consapevoli di poterla perdere in qualsiasi momento.

I loro profili forniscono un quadro generale di molti altri patrioti, che in tante parti della penisola seguono l’idea mazziniana, pronti sia all’insurrezione sia ad arruolarsi nelle imprese di Garibaldi. Come quei garibaldini della “Banda di Navarons”, in Friuli, che, nonostante le tremende delusioni dei fatti di Sarnico della primavera del 1862 e del ferimento di Garibaldi il 29 agosto del 1862 sull’Aspromonte ( fatti che segnano irrimediabilmente la fine del Risorgimento), continuano a credere.

Il 16 ottobre 1864 , nella provincia di Pordenone, scendono in campo poco più di ottanta uomini ( alcuni di loro amici personali di Garibaldi e Mazzini), sufficienti però a mobilitare, in una caccia feroce, migliaia di soldati austriaci. Sperano di sollevare le popolazioni e liberare la loro terra, con Garibaldi e Mazzini pronti ad aiutarli. Un moto risorgimentale  che avvenne nel territorio racchiuso fra l’alta Val Meduna e la Val Cellina, che comprende i piccoli borghi di Navarons, Meduno, Tramonti di Sopra e Andreis.

Il moto della banda di Navarons, detta anche banda Tolazzi o delle Alpi Friulane, si svolse dal 16 ottobre all’8 novembre 1864, giorno in cui  gli ultimi sedici componenti della banda si sciolsero. Non avevano avuto l’aiuto della popolazione, come era avvenuto in tanti altri fatti precedenti ( per esempio la spedizione di Pisacane del 1857).  I poveri, e in modo particolare i contadini, rimasero indifferenti ai moti risorgimentali in Veneto e in Friuli anche se non favorirono nemmeno la polizia austriaca. Sacrifici enormi attesero, allora, i superstiti per potersi salvare. E poichè credevano nonostante tutto, continuavano a credere nonostante tutto, terminata quella dura esperienza molti di loro saranno con Garibaldi nella Terza Guerra d’Indipendenza nel 1866, saranno con lui a Mentana nel 1867, alcuni nel 1870/71 sempre con Garibaldi nella guerra franco/prussiana. Magnifici testardi idealisti…

E poi, la nuova Italia come riserva delusioni a Mazzini e a Garibaldi così non si ricorda  dei molti uomini liberi che, in nome dell’idea repubblicana, avevano scritto tante pagine del nostro Risorgimento. Il destino per i patrioti di Navarons è l’oblio: Antonio Andreuzzi ( 1804-1874) l’ispiratore principale del moto, Giovan Battista Cella ( 1837-1879), Marziano Ciotti ( 1839- 1887), Silvio Andreuzzi ( 1842-1912), Francesco Tolazzi (1809-1889), tra gli animatori della Banda.

Circondati dall’ingratitudine, dimenticati, alcuni muoiono poveri e pieni di amarezza, altri si suicidano, altri ancora rimangono aggrappati a un’esistenza grama che, dopo il carcere austriaco, riserva loro le miserie di un’Italia in cui non si riconoscono.  Abbiamo voluto oggi, all’interno della nostra ricerca di un’Idea di Risorgimento, parlare di loro ( e lo faremo ancora) come se nel “piccolo evento” si riflettessero le speranze e il dramma dell’intero Risorgimento. Abbiamo voluto simboleggiare in quei ragazzi del Friuli i tanti che spesero se stessi come Mameli, Cairoli, Nullo, Belgioioso, Fuller, eccetera… Gente che credeva ma che vide sfumare il proprio sogno di un’altra Italia, perchè erano troppi quelli che non credevano più, che avevano creduto ma  che ora, dopo il 1861 e il 1870,  si adattavano alla morte degli ideali : nasceva, si  cominciava a formare  l’Italia che oggi vediamo e che forse non è possibile descrivere meglio di Ennio Flaiano, il geniale scrittore e sceneggiatore di cui quest’anno celebriamo il centenario della nascita:

Italia, paese di porci e di mascalzoni. Il paese delle mistificazioni alimentari, della fede utili­taria (l’attesa del miracolo a tutti i livelli) della mancanza di senso civico (le città distrutte, la speculazione edilizia portata al limite) della protesta teppistica, un paese di ladri e di ba­gnini (che aspettano l’estate) un paese che vi­ve per le lotterie e il giuoco del calcio, per le canzoni e per le ferie pagate. Un paese che conserva tutti i suoi escrementi“. (1969)  (da   Ennio Flaiano, Diario degli errori )

L’Italia di quelli che non credono in niente.

 

 

vedi: L’età dell’indifferenza

Un Patriota valorosissimo: GIOVANNI BATTISTA CELLA

La generosità di un medico condotto: ANTONIO ANDREUZZI

UN'IDEA DI RISORGIMENTO  -  seconda parte

COME NASCE UNA REPUBBLICA

UN'IDEA DI RISORGIMENTO   -quarta parte

DOVE NASCE UNA REPUBBLICA (parte terza)

28 novembre 2010. Gli occhi di Eleonora


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