Questo è un estratto dell’appello che sarà letto oggi in Piazza del Popolo a Roma nella manifestazione “A difesa della Costituzione”

Da anni, lo sappiamo, la Costituzione è sotto attacco. Un attacco che, negli ultimi tempi, è divenuto sempre più diretto, violento, sfacciato. Le proposte di modifiche costituzionali riguardanti la giustizia ne sono l’ultima conferma. Per questo siamo qui, per contrastare una volta di più una voglia eversiva dei fondamenti della Repubblica. Sedici milioni di cittadini, ricordiamolo, hanno saputo difendere la Costituzione e i suoi principi il 25 e il 26 giugno 2008, votando contro la riforma costituzionale voluta dal centrodestra. Ma quella straordinaria giornata è stata troppo rapidamente archiviata. Da chi ha tratto un frettoloso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. E da chi si era preoccupato di dire che la bocciatura di quella riforma non doveva pregiudicare la necessaria riforma costituzionale. E così quel voto non ha costituito il punto di partenza per una nuova consapevolezza costituzionale, neppure per le timorose forze politiche d’opposizione che pure avevano sostenuto il referendum contro quella riforma. Così è tornato con prepotenza il progetto di mutare alla radice la tavola dei valori di riferimento, la Costituzione, fuori da ogni regola condivisa, ora facendo prevalere interessi particolari se non personali, ora lasciando spazio a pressioni di matrice ideologico-religiosa che vogliono agire in presa diretta sul funzionamento del sistema politico. Gli equilibri istituzionali ne risultano sconvolti, le tutele giudiziarie sono contestate, la garanzia di libertà e diritti, perduta nel Parlamento, si rifugia nella Presidenza della Repubblica e, soprattutto, nella Corte costituzionale. Ma, in tempi così perigliosi, la Costituzione sta conoscendo una rinnovata e inattesa attenzione. Parlar di Costituzione ha un suono benefico e sta producendo una identificazione con essa di un numero crescente di persone, consapevoli della necessità di essere esse stesse protagoniste di una azione di promozione e difesa dei diritti. In questo momento, in decine di città, vi sono flash mobs di studenti che distribuiscono copie della Costituzione, come già quel prezioso libretto era stato impugnato in tante altre manifestazioni. La Costituzione sta incontrando il suo popolo. E questo popolo è consapevole che la politica deve essere in primo luogo, e sempre, politica costituzionale, se vuole riguadagnare la sua forza e la sua nobiltà.


Stefano Rodotà      la Repubblica  12 marzo 2011

 

 

Una riforma al giorno toglie il giudice di torno

Le leggi “ad personam” hanno imbarbarito il sistema violando i principi fondamentali dell’ordinamento ma non sono servite a granché. L’ossessione del premier per i suoi processi non si è calmata, e poco sollievo gli è venuto dall’incessante azione di illustri avvocati che intrecciano la difesa privata con responsabilità istituzionali. Meglio lasciare da parte l’accetta che trancia di netto i delitti più “rischiosi”. Persino un’opinione pubblica assuefatta e ipnotizzata potrebbe a un certo punto svegliarsi. Invece delle brutali leggi “ad personam” si possono imboccare strade più elusive ma non meno efficaci. Per esempio qualche modifica della Costituzione che consenta al governo di condizionare la magistratura o addirittura di impartirle direttive. Esattamente questa è la situazione che si avrà con la sedicente riforma della Giustizia (sobriamente denominata epocale…) che il Consiglio dei ministri ha messo in cantiere. Direttore dei lavori è un cavaliere/presidente che nello stesso tempo è imputato in vari processi.

Un ossimoro? Forse, ma soprattutto un modo per regolare i conti con questa magistratura golpista ed eversiva che continua a coltivare un’assurda pretesa: chiedere conto anche al premier di azioni od omissioni che si presentino in contrasto con la legge penale. Ma anche a prescindere (e non si può) dalle vicende giudiziarie del premier e dalle sue ansie, è evidente innanzitutto che non si tratta di una riforma della Giustizia (l’inefficienza del sistema resterà tal quale), ma del tentativo di liberare il poterepolitico dal fastidio di aver a che fare con magistrati indipendenti. È poi impossibile ignorare un dato di fatto: il nostro – purtroppo – è tuttora un paese caratterizzato da un fortissimo tasso di illegalità che comprende una spaventosa corruzione, collusioni e complicità con la mafia assai diffuse, gravi fatti di mala amministrazione e fenomeni assortiti di malaffare. Quasi sempre ci sono pezzi consistenti di politica coinvolti in tali vicende, per cui consentire loro (come avverrà con la pseudo-riforma della Giustizia) di pilotare la magistratura nel modo che ad essi più conviene sarebbe micidiale: per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e per la stessa credibilità della nostra democrazia. In altre parole, grazie alla pseudo-riforma potrà dare ordini alla magistratura, stabilendo come e chi indagare, proprio quel potere politico che di solito – è storia – respinge i controlli di legalità relativi ai suoi esponenti, preferendo autoassoluzioni perpetue. Ad esempio minimizzando il gravissimo cancro della corruzione sistemica riducendolo (la tradizione al riguardo si è consolidata negli anni) ad isolate performance di “mariuoli” o “sfigati” di poco conto. E non è un caso che il presidente del Consiglio, presentando baldanzosamente la “sua” riforma, abbia dichiarato con candore che così Mani Pulite non ci sarebbe stata. Che se invece avessimo a che fare anche noi con politici capaci di dimettersi sol perché scoperti a copiare una tesi di laurea, allora potremmo pure discutere sull’opportunità o meno dell’opzione legata alla separazione delle carriere.

Per contro, la concreta realtà del nostro paese (ancora fuori degli standard delle democrazie occidentali per ciò che qui interessa) non ci consente assolutamente un simile lusso. Posto infatti che sempre – ovunque vi siano forme di separazione – il governo in un modo o nell’altro ha poteri direttivi sui pm, in Italia (nella situazione ancora attualmente data) il sistema sarebbe suicida, perlomeno finché certe decisive componenti della classe politica resteranno esclusivamente preoccupate della propria impunità. Sarebbe come affidare alle volpi la custodia del pollaio! Se poi la separazione delle carriere si combina (come previsto nella pseudo-riforma del governo) con altre misure mirate all’impunità dei potenti, ecco che il cerchio si chiude ed i giochi sono fatti. Così, l’indebolimento dell’obbligatorietà dell’azione penale mediante liste, stabilite dalla politica, che distinguono quali reati perseguire e quali no; – il controllo delle attività investigative della polizia giudiziaria esercitato dal governo e non più dal pm; – la mortificazione del Csm a ruoli meramente burocratici; – la previsione di un Csm separato per i pm, così sottratti all’utile “koinè” con la magistratura giudicante; – il conferimento al Guardasigilli di un potere di ispezione e relazione sulle indagini destinato a funzionare come ponte verso la costruzione di un rapporto gerarchico con l’ufficio del pm; – una nuova disciplina della responsabilità dei magistrati che rischi di esporli a bufere scatenate strumentalmente, incompatibili con la serenità e l’autonomia della giurisdizione. Son tutti interventi che univocamente convergono verso l’obiettivo di riservare al potere politico l’apertura o chiusura del “rubinetto” delle indagini, prevedendo per giunta forme indirette ma efficaci di dissuasione verso i pm che tardino a capire che conviene “baciare le mani” a chi può e conta, piuttosto che servire gli interessi generali. La posta in gioco è la qualità della democrazia. E forse è bene cominciare a rileggere quel passo di Calamadrei in cui sta scritto che “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi di non sentire mai”.


 Gian Carlo Caselli      il Fatto Quotidiano  11 marzo 2011






«In piazza per la democrazia, hanno rovesciato le regole»

intervista a Gustavo Zagrebelsky a cura di Federica Fantozzi


Professor Zagrebelsky, lei oggi sarà in piazza?

«Sì, a Torino. Ci sono momenti di aggregazione sociale in difesa delle buone regole della vita democratica. Credo che oggi sia uno di questi».

Perché manifestare?

«Siamo di fronte a un rovesciamento della base democratica. La democrazia deve tornare a camminare sulle sue gambe: sostenuta dal basso. Non un potere populista che procede dall’alto».

Perché la Costituzione vigente va difesa?

«Basta leggerla. È il testo che dà ai cittadini il diritto di contare in politica ed esclude il potere per acclamazione».

Abbiamo un premier sotto processo per sfruttamento della prostituzione minorile. Avrebbe fondamento un eventuale conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento? Berlusconi andrebbe giudicato dal tribunale di Milano o da quello dei ministri?

«Mi sono imposto di non dire nulla su questioni che possono essere portate al giudizio della Corte Costituzionale. Mi limito a poche osservazioni. Primo: l’oggetto dell’eventuale conflitto riguarderebbe primariamente il rapporto tra tribunale di Milano e tribunale dei Ministri e, solo secondariamente, il potere della Camera di autorizzare il processo davanti a quest’ultimo, una volta che questo fosse ritenuto competente dalla Corte di Cassazione».

Significa che al momento sarebbe un atto infondato?

«Allo stato, prima di una decisione sulla competenza di uno dei due tribunali, non mi pare che ci sia materia per il conflitto che la Camera volesse sollevare. Ma c’è un altro punto».

Quale?

«A salvaguardia della dignità delle istituzioni, c’è un fatto che non mi pare sottolineato a dovere: Berlusconi avrebbe agito sulla questura per evitare un incidente diplomatico con l’Egitto? Più importante di questa giustificazione, che di per sé lascia esterrefatti, è la premessa implicita, data per pacifica: il premier e i suoi giuristi ritengono che se la (presunta) parente di un uomo di governo è sospettata di reato, questo sia affare di Stato e si possa invocare la parentela per sottrarla all’applicazione della legge comune».

È ciò che non solo sostiene il premier, ma Montecitorio ha già avallato una volta rinviando gli atti alla Procura di Milano.

«La confusione tra pubblico è privato è ufficialmente attestata e la Camera, se seguisse, metterebbe il suo incredibile suggello. Vorrei non poter credere che una maggioranza in Parlamento sia capace di tanto. L’unico obiettivo è guadagnare tempo. Per questo si è disposti a sostenere l’insostenibile. La verità delle cose, e del diritto, diventa trascurabile».

Berlusconi ha una maggioranza numerica, intermittente, solo quando è chiamata per i voti cruciali. Esiste ancora una maggioranza politica?

«Cosa ci sia di “politico” nella situazione che si è creata, è difficile dirlo. Cosa tiene insieme la maggioranza? Un programma, una visione del Paese e del suo avvenire? O il potere, che ciascuno “declina” a modo suo: chi per crearsi le condizioni della propria impunità, chi per avere un pezzetto di potere ministeriale, chi per gestire interessi spesso non limpidi da posizioni d’impunità, chi per realizzare un punto che sta a cuore solo a lui (il cosiddetto federalismo)? Questo è politica? Oun’accozzaglia di interessi eterogenei? È una situazione costituzionalmente e politicamente assai critica».

Secondo lei la legislatura può arrivare a scadenza naturale?

«Troppi interessi convergono nel tirare avanti il più possibile. Berlusconi sa che, finché è in carica, i poteri propri e impropri di cui dispone rendono molto improbabile la celebrazione dei processi. La Lega, l’unica con un obiettivo politico chiaro, ha interesse ad andare avanti. Poi, c’è sempre la speranza che il tempo, la propaganda, l’imbonimento possano frenare l’emorragia di consensi che li penalizza. L’opposizione può chiedere ciò che vuole ma, se non si sfalda quella convergenza d’interessi che cementa la maggioranza, è del tutto irrilevante».

La finestra per votare sta per chiudersi. Auspicherebbe, nel caso, un esecutivo di emergenza?

«Una formula politica diversa, con altra maggioranza e guidata da qualcuno al di sopra delle parti, in vista di poche riforme essenziali a rimettere le istituzioni nella carreggiata della democrazia (legge elettorale, conflitto d’interessi, tv), per riprendere poi la normale dialettica tra i poli, era difficile ma non impossibile prima del 14 dicembre».

Poi?

«Da allora, la maggioranza non ha fatto che rafforzarsi, nei modi che sappiamo. Dunque, di esecutivi di emergenza non mi sembra il caso di parlare. Oggi, chi crede che viviamo in condizioni critiche dal punto di vista democratico, deve pensare non all’esecutivo, ma alle responsabilità che gravano su tutti noi, come cittadini».

Lei era sul palco del Palasharp, ha firmato l’appello sul biotestamento, le sue ultime esternazioni hanno contenuto politico. E’ passione civile o non esclude di fare politica attiva se le venisse richiesto?

«A ognuno il suo mestiere. Quello che credo di dover fare è ciò che spetta a ciascun cittadino nell’ambito delle sue relazioni e professione. Non sono un politico. Politici non ci si improvvisa»


l’Unità  12 marzo 2011


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