MANIFESTO PER UNA VITA CONVIVIALE. CAILLE’: UNA NUOVA ETICA FONDATA SUI BENI COMUNI

Intervista di Marino Niola

Siamo in piena decivilizzazione. E Si fa sempre più forte per molti uomini e donne del pianeta la tentazione di un ritorno allo stato di natura, cioè a una condi­zione barbarica dove tutti sono in guerra contro tutti. A dirlo e il cele­bre sociologo francese Alain Caillé, autore del Manifesto del conviviali­smo e fondatore, insieme a Serge Latouche e Jacques Godebout del MAUSS, il Movimento Anti-Utili­tarista nelle Scienze Sociali, ispira­to all’antropologo Marcel Mauss, l’autore del Saggio sul dono, un te­sto che ha cambiato la storia delle scienze dell’uomo. E che ha guada­gnato ai tre paladini dell’economia gentile e della decrescita felice l’ ap­pellativo di tre mauss-chettieri.

Per lei il problema di oggi è come riscrivere il contratto sociale. Non più su scala nazionale ma globale. «E’ la questione fondamentale. Dopo i totalitarismi del Novecento ciò che ha reso popolare la demo­crazia è stato il benessere genera­lizzato consentito da una crescita economica impetuosa».

 Come dire che la democrazia ha fidelizzato i cittadini con la pro­messa della ricchezza per tutti. «Tutte le grandi ideologie politi­che, dal liberalismo al socialismo si sono fondate su un presupposto utilitarista, cioè sull’idea che la condizione necessaria per la pace sociale sia un livello di vita suffi­ciente per tutti. Il problema è che in Occidente e in Giappone la cresci­ta si è fermata. Quella che c’è è solo nominale. Finanziaria e immobi­liare. Ma per i lavoratori e per i ceti medi da trent’anni il tenore di vita non è cresciuto. Anzi. E per i loro fi­gli l’orizzonte è nero».

In compenso India e Cina han­no tassi di crescita vertiginosi. Il futuro è lì? «Il grande rischio per quei paesi è che anche la loro crescita si fermi prima che la maggioranza della po­polazione abbia raggiunto un livel­lo sufficiente di vita e di libertà de­mocratiche. Senza dire dei costi ecologici, sociali, dell’insufficienza di materie prime, dei rischi nucleari. Altrettante ipoteche su una prospettiva di sviluppo infinito».

Come se ne esce? «La questione è se si possa fon­dare la democrazia su qualcosa di stabile e durevole che non sia sem­plicemente la crescita economica. Ma uno “stato economico stazio­nario”. In equilibrio».

In altre parole lei propone di ri­pensare i fondamenti simbolici della democrazia. «Soprattutto quelli economici. In fondo la modernità è nata dall’i­dea del contratto sociale, un con­cetto preso pari pari dall’econo­mia. La vita in società ha la funzio­ne di salvaguardare gli interessi in­dividuali. Persino la Dichiarazione dei diritti dell’uomo ha esattamen­te questi fondamenti. Ci dobbiamo rispettare gli uni con gli altri in mo­do da creare una sfera privata dove ciascuno possa realizzare il proprio utile».

Lei vuol dire che la globalizza­zione rischia di dare il benservito a questa idea di democrazia, facen­dola implodere? «Certo, è per questo che bisogna inventare una democrazia, dicia­mo così, antiutilitarista, desidera­bile di per sé, non per ragioni stru­mentali. Ma perché è la società buona che consente una vita buo­na. Io lo chiamo Convivialismo. E lo considero un’ideologia politica tutta da inventare, sulle ceneri del socialismo e del liberalismo».

In una prospettiva convivialista alla base della società ci sono il dono e il bene comune, non più l’in­teresse privato e l’arricchimento ad ogni costo. Non è utopia? «Il dono è l’origine stessa del legame sociale, è il gesto primario che fa uscire l’individuo da se stes­so e lo lega agli altri. E questo mo­mento fondatore è incondiziona­to, gratuito. Non è un caso che le re­ligioni nascano tutte da un dono fatto al dio. E che il dio ricambia».

In Italia ci sono i referendum sull’acqua e sul nucleare. Lei come voterebbe? «L’acqua deve rimanere un bene comune, perciò voterei due sì. Sul nucleare un tempo ero agnostico ma ormai, come la maggioranza dei francesi, sono antinuclearista. Sottolineerei anche il fatto che que­sti referendum offrono a tutti i cit­tadini l’occasione di esprimersi in prima persona su temi così vitali ed è il segno che quanto a democrazia diffusa l’Italia e più avanti di altri paesi europei. La questione dei beni comuni è la cartina di tornasole dello stato di salute di una demo­crazia. Dove non c’è altra legge al di fuori di quella del mercato non c’è posto per i beni comuni, quei beni condivisi che appartengono all’u­manità. Non si può dimenticare che organizzazioni come l’Onu e l’Unesco erano tutte basate sull’i­dea che il progresso passa attraver­so l’accesso libero e gratuito ai beni comuni».

Il neoliberismo fa passare le sue ricette economico-sociali per ne­cessità oggettive – risparmio, ra­zionalizzazione, convenienza, competizione. «L’idea neoliberista che il mo­vente essenziale dell’essere umano sia solo quello di massimizzare pia­ceri, comfort e proprietà, in una pa­rola utilità, è ideologia pura, con­traddetta dai fatti. L’ homo non è solo oeconomicus e le relazioni tra in­dividui non sono solo mercantili». 

Lo prova la diffusione sempre maggiore di comportamenti sen­za scopo di lucro. Dono, volonta­riato, raccolte di fondi, onlus, gen­te che regala agli altri tempo, de­naro, solidarietà, perfino i propri organi e il proprio sangue. «Oggi una delle reazioni alle di­seguaglianze economiche è pro­prio quella di scambi gratuiti e di servizi pubblici. Ma solo la costru­zione di una nuova etica può ren­dere possibile la società del Convi­vialismo. Una passione quasi reli­giosa, uno slancio delle coscienze come quelli che stavano dietro la nascita del liberalismo o del socialismo. Senza sogni collettivi e grandi ideali il nuovo non avanza».

 

La   Repubblica 9 Giugno 2011

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