Un estratto de “L’intransigente”, il nuovo libro di Maurizio Viroli, professore di Teoria politica all’Università di Princeton, in uscita domani per Laterza.
Primo requisito della buona intransigenza è senza dubbio la saggezza politica, intesa come capacità di capire uomini, circostanze e tempi. È un sapere che non si basa su regole certe, ma sull’arte raffinata di interpretare parole, segni, gesti e sulla capacità di cogliere la “verità effettuale dellacosa”, come scrive Machiavelli, che sta dietro ai veli delle menzogne della politica.
È la realtà delle motivazioni e delle passioni che spingono individui e popoli ad agire in un modo anziché un altro, a perseguire determinati fini e a disinteressarsi di altri. Se vogliamo disegnare congetture probabili su come agirà questo o quel politico, questo o quel popolo, dobbiamo leggere bene le sue passioni, capire se sono avidi di gloria, o attaccati agli interessi materiali, audaci o cauti, ambiziosi o umili. Solo chi è in grado di intendere la geografia delle passioni può disegnare e mettere in atto strategie politiche vincenti.
La saggezza che aiuta l’intransigenza viene da una conoscenza specifica che diffida di modelli generali: non le interessa sapere come dovrebbero agire gli esseri umani se fossero razionali, ma com’è probabile che agiscano in determinate circostanze. (…) Tale qualità si acquista con l’esperienza e con la conoscenza della storia. Quest’ultima permette di capire la realtà entro la quale dobbiamo operare riconoscendola, vale a dire individuando le analogie con situazioni simili che si sono verificate in passato.
Ma il riconoscimento è opera delicata, che richiede, ammoniva Guicciardini, “buono e perspicacie occhio”, perché, ai fini dell’azione politica, una piccola differenza rispetto alla situazione del passato fa tutta la differenza del mondo. (…) Da sola, la voce della coscienza morale difficilmente può vincere contro avversari agguerriti come le lusinghe, le promesse di onori e la pena e il senso di colpa che affliggono chi per il proprio ideale fa soffrire le persone più care; è necessario che accorra in suo aiuto una passione tenace quale lo sdegno, inteso come quel profondo senso di repulsione per l’ingiustizia, che è proprio degli animi grandi.
Diverso dalla compassione, che è dolore nei confronti della immeritata sfortuna di altri; diverso anche dall’invidia, che è il dolore per un bene che gli altri hanno e noi no; lo sdegno è, in senso stretto, l’ira dei buoni: l’ira per giusti motivi, l’ira nei confronti delle persone contro le quali è giusto provare ira. Lo sdegno è insomma l’ira guidata dalla ragione.
In taluni casi, lo sdegno dal furore elaborato e meditato razionalmente e si traduce in più matura consapevolezza e in serenità interiore e servizio. (…) Lo sdegno impone di operare anche quando le speranze di vincere sono esigue o nulle, quando bisogna agire nell’indifferenza dei più, e quando lottare espone a pericoli certi.
Ciononostante, solo lo sdegno spinge a difendere la libertà nei tempi bui. Bobbio l’ha definito “l’arma senza la quale non vi è lotta che duri ostinata, senza la quale, vittoriosi, ci si infiacchisce, e, vinti, si cede”. È la virtù dei precursori, degli anticipatori, di quelli che dimostrano che si può lottare e incoraggiano gli altri a seguire il loro esempio anche quando la prudenza, con buoni argomenti, consiglia di stare fermi, di tacere, di adeguarsi . La fatica di chi agisce per sdegno spesso non riesce ad incrinare il potere di chi opprime e a fermare l’oppressione.
Lo sdegno non è soltanto la passione dei momenti straordinari, ma deve ispirare l’agire dei cittadini nella vita ordinaria della repubblica. Ogni volta che viene violato un principio di libertà e di giustizia, l’azione guidata dallo sdegno dovrebbe essere la risposta normale di cittadini maturi. Nella realtà, prevalgono spesso docilità, indifferenza oppure azione rabbiosa, che è segno di impotenza più che di forza. Per i suoi presupposti – il principio morale e la grandezza dell’animo – lo sdegno è passione difficile.
Lo insegnano soltanto, con l’esempio, i migliori ai migliori. Il movimento degli indignados, nato pochi mesi or sono in Spagna e già diffusosi nel resto del mondo, usa apertamente il linguaggio dello sdegno. Nei suoi manifesti esprime una condanna radicale della corruzione politica e del sistema economico che mira soltanto a produrre immensi profitti per pochi e disoccupazione e povertà per molti. Rivendica una “rivoluzione etica” che metta il denaro al servizio dell’essere umano, non questo al servizio di quello. (…)
Per gran parte dei giovani che hanno dato vita al nuovo movimento si tratta della prima esperienza di partecipazione politica: hanno imparato a tenere assemblee, a discutere, a deliberare. Voci autorevoli hanno commentato che indignarsi non basta per realizzare effettivi cambiamenti sociali e politici. L’osservazione è giusta, ma non coglie il dato di maggior rilievo, vale a dire la nascita di un movimento che si pone obiettivi di giustizia e di libertà ed è animato dal giusto sdegno contro le ingiustizie e la corruzione.
Un movimento di protesta sociale che nasce dallo sdegno può perdere, se manca di sagacia politica; un movimento che non nasce dallo sdegno, ma dall’ideologia o dall’interesse non può conseguire i suoi obbiettivi neppure con il soccorso della più raffinata sagacia politica.
Maurizio Viroli il Fatto Quotidiano 1 febbraio 2012
vedi: I vampiri di Goya nemici della ragione