La crisi che da anni ormai ha invaso l’Occidente e minaccia addirittura di portare il nostro Paese al tracollo impone una riflessione su tutto il sistema di vita. Perché non è solo crisi di produttività, ma anche di valori e azzanna non solo il lavoro, ma anche la salute, l’ambiente, i rapporti sociali. L’esempio dell’Ilva di Taranto è emblematico. La fabbrica d’acciaio dà lavoro a decine di migliaia di lavoratori, ma diffonde nell’aria sostanza cancerogene che minano la salute dei lavoratori stessi e delle famiglie dell’intera zona. Richieste sacrosante quelle della salute, ma altrettanto lo sono quelle del lavoro. Contraddizioni che spetta all’organizzazione del lavoro e alla politica di conciliare. Gli esempi si moltiplicano e si accavallano anche le contraddizioni.
Si dice che l’Italia non è povera, perché calcolando tutta la ricchezza economica, finanziaria e criminale ne viene fuori un Paese tra i più ricchi al mondo. E’ solo che la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi e così c’è chi muore di fame, si moltiplicano i suicidi di disperazione tra i giovani, nelle famiglie e tra gli stessi imprenditori, costretti a chiudere le loro aziende. E’ documentato dall’Istat che sono più di seicento al giorno gli Italiani che scendono sotto la soglia della povertà. E si continua a misurare la ricchezza con il metodo del prodotto interno lordo (Pil), che consiste nel calcolare la ricchezza complessiva dividendola poi per il numero dei cittadini, cosicché anche chi muore di fame per il Pil consuma né più né meno di tutti gli altri. Misura stupida, l’ha definita l’economista Oscar Morgenstern. Ma non più tenero è il premio Nobel Joseph Stiglitz, il genio assunto come ispiratore dal movimento 5 stelle di Beppe Grillo.
Egli infatti propone di calcolare il benessere con la Fil (felicità interna lorda). Serge Latouche da anni va proponendo la “decrescita felice”, ma oggi viene citato per deriderlo o ascoltarlo con commiserazione come fosse un deficiente. Il movimento “Sbilanciamoci!” propone che nel calcolo del benessere sia misurata la qualità regionale dello sviluppo (Quars), che contempla non solo l’economia e il lavoro, ma anche l’ambiente, i diritti di cittadinanza, le pari opportunità, l’istruzione e la cultura, la salute e la partecipazione politica.
Non ci sono dubbi che questa crisi ha avuto inizio ed è alimentata dal neoliberismo individualista applicato alla finanza, cioè al mercato del denaro. La morte recente di Margareth Thatcher ha fornito l’occasione agli economisti di ricordare che è imputabile alla “Lady di ferro”, in tandem con Ronald Reagan, l’introduzione decisa del neoliberismo negli Stati Uniti e in Inghilterra. Ed è rivelatore il fatto che la Thatcher negava che in economia si potesse far valere il fattore società. Libertà assoluta del mercato e degli scambi finanziari, tanto che è entrato nella mentalità comune che il peggior errore o peccato oggi è la turbativa di mercato. Non così la pensano, specie oggi, parecchi economisti e la stessa dottrina sociale della Chiesa.
Merita qui ricordarne alcuni cardini. Non è che la ricchezza in sé sia un male, nemmeno per il Vangelo. Male è l’avidità che porta ad un accumulo sconsiderato della ricchezza e trascura la società e il bene comune, quel bene appunto che gli individui trovano solo nella società. E ignora soprattutto tanti altri beni, quali la salute, le relazioni sociali, l’ambiente e tutto il creato. In una parola, trascura il benessere della persona umana che non è fatta solo di stomaco. La crisi nelle sue varie sfaccettature sta rivelandosi come una vendetta della natura. A partire da quella umana per abbracciare poi quella cosmica. Ditemi voi allora se non sia necessario cambiare sistema. Per far questo però è necessaria una politica che controlli anche l’economia e la finanza con il criterio del bene comune. Nota dolente: la politica italiana appare oggi in tutt’altre faccende affaccendata!
Vittorio Cristelli in “vita trentina” del 21 aprile 2013
vedi: Facciamo economia. Come costruire una nuova società dell'abbondanza.