«“Hai notizie della sentenza?”. No, non ho notizie, non voglio neppure averne, e oggi pomeriggio vedrò di andare al mare, confuso nella folla degli ignari (beati loro). Non voglio dipendere neppure per una virgola, neppure per un secondo da una malattia che non mi appartiene, la malattia di un paese che ha rinunciato ad avere un destino autonomo, e vive appeso alle faccende personali di un signore che altrove sarebbe un normale riccone, normalmente pacchiano, normalmente tracotante, e qui è diventato un totem da adorare o da abbattere.
La pazzesca idea che la sorte di un governo o di una legislatura possano dipendere dalle vicende giudiziarie di un tizio accusato di pasticci fiscali e traffici di signorine è, appunto, pazzesca. Non compete a una democrazia, non ne fa parte, non è espressione del normale conflitto politico, dello scontro tra idee e interessi collettivi. Di collettivo, qui, c’è solo il miserabile infatuarsi degli italiani di destra per un leader da tabarin, e l’altrettanta miserabile incapacità degli italiani di sinistra a chiamarsene fuori, pensare ad altro, voltare pagina. Che il governo sia in pericolo o al sicuro non è poi così grave; gravissimo è che si sia accettato, tutti quanti, di discuterne».
Michele Serra in “L’Amaca”, Repubblica 1 agosto 2013