«Genesi», il primo libro della bibbia, se davvero ci si prendesse la briga di leggerlo o, per lo meno, lo si estraesse dalle polveri della propria biblioteca, si rivelerebbe ricco di folgoranti rivelazioni sulla nostra natura più intima e di conoscenze di senso che stimolino la consapevolezza del nostro destino, aleatorio e libero, ma pur sempre ineludibile. Nel passaggio in cui si racconta della creazione dell’uomo, le narrazioni sono due: la prima è unitaria ed eticamente denotativa e recita più o meno così: «Creò l’essere umano, maschio e femmina li creò». Dunque la creatura più amata, il partner della creazione, è uno ma si esprime in due aspetti di pari dignità, il femminile ed il maschile e, detta dignità di cui sono titolari le due alterità, si esprime nell’amore, l’impronta divina che chiede il reciproco accoglimento.
Nella seconda narrazione, si descrive prima la costruzione di Adàm HaRishòn, Adam il primo. Si tratta di un maschio? Direi di no! Come si può infatti parlare compiutamente di maschio prima che esista la femmina? Si tratta piuttosto di un Golem, un robot maschioforme, impastato nell’adamàh (gleba, zolla) e il suo nome in italiano andrebbe tradotto correttamente con «gleboso» o «zolloso». Adamo non dice letteralmente nulla – ricorda al massimo un cantante sentimentale italo-belga che furoreggiò negli anni Sessanta. Ad Adam HaRishòn, la vita gli viene insuflata dall’alito divino, ma le molecole del suo corpo sono della stessa materia che costituisce madre terra, materia splendente e fragile. La Torah ci suggerisce una verità sconvolgente, pur se ovvia: se l’uomo è santo e inviolabile, lo è altrettanto la terra. Ci è stato appena mostrato con tragica evidenza, nella nostra amatissima Sardegna, superbamente bella e vigliaccamente martoriata. In occorrenza delle catastrofi naturali, ci vengono furiosamente ricordate due ineludibili verità: l’inarrestabile impeto della natura e la ottusa, cinica, criminosa azione di quella parte di umanità che, sempre e comunque, si prosterna davanti alle ragioni del profitto e della spoliazione della vita.
Con la storia di Adam il primo, la Torah ci ammonisce a non dimenticare che, se noi siamo santi e inviolabili, inviolabile e santa è madre natura e tali sono gli animali. Noi dovremmo formare la nostra sensibilità a soffrire per la distruzione delle coste, come se vedessimo un essere umano innocente murato vivo, dovremmo patire per la cementificazione del pianeta, come rimaniamo sconvolti quando sappiamo di donne imprigionate sfruttate e violentate e, di fronte all’avvelenamento e allo scempio delle nostre fonti e dei nostri bacini, dovremmo tutti sentircichiamati ad una mobilitazione permanente per fermare il crimine. È ora di capirlo, non si tratta di ecologismo o pacifismo o qualche altro «ismo». Qui si tratta di vita o di morte. La nostra, quella dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Moni Ovadia l’Unità 23 novembre 2013