Scriveva don Lorenzo Milani a un giovane comunista: «Hai ragione; tra te e i ricchi sarai sempre te povero ad avere ragione. (…). Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene, quel giorno io ti tradirò».
Per me vale ancora questa riflessione profonda del priore di Barbiana; e forse è questa la “maledizione” di noi di sinistra: non poter mai dirci soddisfatti, né quando si va al governo, e neppure quando un partito come il Pd di Renzi, che si dichiara erede della sinistra storica, ottiene il 40,8% alle elezioni. Per decenni i partiti di sinistra si sono opposti al potere democristiano prima e berlusconiano poi, che ha malgovernato attraverso il sistema della corruzione, dei patti sotterranei con la mafia, la camorra, il terrorismo, attraverso la strategia della tensione, le leggi che hanno agevolato le classi sociali più ricche. Per decenni i partiti di sinistra – con le dovute e numerose eccezioni! – hanno proposto se stessi come valida alternativa di governo.
Ora il Pd di Renzi governa l’Italia e alle elezioni europee ha ottenuto un consenso mai avuto e nemmeno immaginato prima. Ma restano i problemi, vecchi o derivanti dalla crisi finanziaria: una microcriminalità sempre più diffusa, l’immigrazione malgestita, il carcere e il suo bagaglio di disagio e sofferenza, i quartieri periferici sempre più invivibili, la disoccupazione e la sottoccupazione crescenti, una povertà sempre più diffusa. Problemi resi ancora più acuti dal fatto che la facciata perbenista non esiste a caso, ma è espressione dell’indifferenza, dell’individualismo, dell’inumanità e del gioco degli interessi di troppi. Chi guarda dietro la facciata e denuncia i guasti, viene immediatamente accusato di inventarsi problemi, tacciato di catastrofismo, stigmatizzato, ridicolizzato…”gufizzato“. Quando invece la coerenza della sinistra passa proprio attraverso l’analisi delle realtà marginali, per poi procedere alla denuncia non generica, ma puntuale e circostanziata delle responsabilità che determinano e mantengono l’emarginazione. Inoltre un impegno coerente e costante, è fatto non soltanto di promesse o di elemosine pre-elettorali, ma di un proporre e un fare efficace e di sistema.
Da sempre il termine sinistra riveste alcuni significati simbolici, legati alla diversità, all’essere fuori standard, al guardare il mondo dal lato da cui la maggioranza non guarda. La sinistra è il lato dei perdenti, dei senza potere, degli esclusi, degli emarginati, dei senza lavoro, dei senza domani. Essere di sinistra non significa ridursi all’appartenenza alla sinistra storica, né ad un partito politico, o avallare le scelte di un partito, solo perché si dice di sinistra, ma significa stare dalla parte di tutti coloro per i quali non c’è spazio in un mondo che sembra esistere esclusivamente per produrre. Non vorrei che la normalità possibile per il nostro Paese sia quella che ci ha fatto conoscere Renzi: una normalità che vergognosamente insegue e spesso realizza quelle politiche che moderati e destra non sono mai riusciti ad imporre.
Il vescovo brasiliano Hélder Câmara diceva: «Se do da mangiare al povero mi dicono che sono un santo, se cerco di capire perché il povero non ha di che mangiare allora mi dicono che sono un comunista». Le elezioni hanno visto l’affermazione schiacciante del Pd di Renzi, anche grazie all’unica promessa finora mantenuta: un bonus di 80 euro a dieci milioni di italiani, nemmeno i più poveri, senza attuare, per ora, una soluzione ragionata e strutturale per tutti. Non so voi, ma io forse per questo, provo un senso di disagio di fronte ai risultati strabilianti di Renzi alle ultime elezioni europee.
don Vitaliano della Sala amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av), in Adista Notizie n. 21, 31 maggio 2014