Antonio Gramsci è, più di ogni altro, autore fecondamente “inattuale”, dissonante rispetto allo spirito del nostro presente. A caratterizzare il rapporto che l’odierno tempo del fanatismo dell’economia intrattiene con Gramsci è, infatti, la volontà di rimuoverne la passione rivoluzionaria, l’ideale della creazione di una “città futura” sottratta all’incubo del capitalismo e della sua mercificazione universale. Risiede soprattutto “nell’attuale inattualità” della sua figura la difficoltà di ogni prospettiva che aspiri oggi a ereditare Gramsci e ad assimilare il suo messaggio: ossia ad assumere come orientamento del pensiero e dell’azione la sua indocilità ragionata, fondata sulla filosofia della praxis dei “Quaderni”. Essa trova la sua espressione più magnifica nella condotta di vita gramsciana, nel suo impegno e nella sua coerenza – pagata con la vita – nella “lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo”. Critica glaciale delle contraddizioni che innervano il presente e ricerca appassionata di un’ulteriorità nobilitante costituiscono la cifra del messaggio dell’intellettuale sardo: l’ha condensato lui stesso nel noto binomio del “pessimismo dell’intelligenza” e dell’”ottimismo della volontà”. Ereditare Gramsci significa, di conseguenza, metabolizzare la sua coscienza infelice e non conciliata, la passione durevole della ricerca di una felicità più grande di quella disponibile.
Rileggere Gramsci come antidoto all’indifferenza
Antonio Gramsci, chi è costui? Abbandonando l’imperfetto della citazione manzoniana, Diego Fusaro spiega in un agile testo di Feltrinelli (Antonio Gramsci, pp 175, €14) perché il pensatore sardo merita di essere riletto al presente.
Fusaro accoglie amorevolmente Gramsci nel proprio orizzonte di pensiero. Ne nasce una visione stimolante, che farà balzare dalla sedia i più tradizionalisti. La questione del rapporto dell’autore dei Quaderni dal carcere con il Partito comunista di Palmiro Togliatti, periferica alle intenzioni dell’opera, è appena affrontata. Abbastanza, però, per capire che l’autore si schiera con chi ritiene il Pci colpevole di aver volontariamente lasciato languire Gramsci in prigione, per liberarsi di un critico scomodo. Salvo poi innalzarlo agli onori museali, tra gli dei oziosi del comunismo italiano.
Perché, allora, rileggere l’Ordine Nuovo o i Quaderni? Nel discorso che dialetticamente si compone attraverso quelle opere, Fusaro vede un potente antidoto al Pensiero Unico, la società imbalsamata nel presente, senza possibilità di alternative future, che il filosofo torinese ha più volte tratteggiato come l’ideologia (totalitaria) del capitalismo avanzato. Fin dall’editoriale del numero unico della rivista La città futura, dell’11 febbraio 1917, intitolato Odio gli indifferenti, Gramsci si schiera appassionatamente contro chi cede al fatalismo e al cinismo di fronte a una realtà percepita come ingiusta, per disperazione o convenienza. Scrive Fusaro: «Se come Gramsci ama ripetere in questo scritto del ‘17 (e si tratta di un modus operandi a cui sempre resterà fedele) “vivere vuol dire essere partigiani”, allora non può esservi spazio per passioni tristi come l’indifferenza e la rassegnazione, il cinismo e il disincanto: amore e odio e “fantasia concreta’” devono diventare le tonalità emotive dominanti dell’essere al mondo dell’uomo».
Parole che acquistano il loro senso forte in questa epoca anestetizzata e impotente, senza speranze al di fuori del cerchio angusto dell’individualità. Senza alternative soprattutto. Se si torna più indietro però, tutto diventa più complicato: è stata proprio l’alternativa amico/nemico infatti a insanguinare il Novecento. Ma questo è un altro discorso.
Secondo Fusaro, la genialità ancora attuale di Gramsci sta nell’aver corretto con la sua filosofia della prassi, in grande anticipo sulla storia, le interpretazioni positivistiche e deterministiche di Marx. Sintesi di volontarismo e dialettica storica, la praxis gramsciana, permette una sorprendente equazione: Hegel sta a Marx, come Gentile sta a Gramsci. In questa linea di pensiero, che lascerà a bocca aperta i marxisti classici per l’accostamento dei «due grandi italiani», sta la maggiore originalità del saggio.
Claudio Gallo La Stampa 10.2.15