L’8 ottobre del 1998 muore a Caccamo (PA) ucciso dalla mafia con colpi di fucile DOMENICO GERACI (44 anni), politico e sindacalista.
Caccamo venne definita da Giovanni Falcone “la Svizzera della mafia”. Probabilmente il giudice si riferiva alla disponibilità finanziaria della mafia locale ma potrebbe esserci un altro significato: Caccamo come una sorta di zona franca di Cosa nostra, un territorio sicuro, neutrale come la Svizzera in cui non si commettevano delitti e dove i mafiosi potevano trovare riparo. Nel 1993 il consiglio comunale venne sciolto per infiltrazioni mafiose.
In questo mondo era nato Geraci, detto anche Mico. Fece l’impiegato della Regione Sicilia e aveva un passato di militanza nella CISL che lo aveva portato anche nell’ufficio di gabinetto dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura. In seguito Geraci passò alla UIL e si affacciò in politica facendo il consigliere nel comune di Caccamo. Nel 1994 divenne consigliere provinciale del Partito Popolare Italiano della provincia di Palermo.
Negli anni della sua attività politica aveva ricevuto minacce e avvertimenti perché aveva accusato e denunciato i boss di Cosa Nostra per la loro infiltrazione nel territorio di Caccamo, considerata la roccaforte dell’allora numero uno della mafia Bernardo Provenzano e regno dell’ex superlatitante Nino Giuffrè. Diversi, appunto, furono gli avvertimenti che la mafia gli inviò prima della sua morte: da assessore ai lavori pubblici, all’inizio degli anni Novanta, gli avevano bruciato l’auto ma non aveva smesso di denunciare il pericolo di infiltrazioni mafiose.
In seguito prese la decisione di lasciare quel seggio per candidarsi, nell’Ulivo, come Sindaco del Comune di Caccamo. Ma il 9 ottobre 1998 cadde il governo di Romano Prodi e finiva l’esperienza dell’Ulivo: la sera prima, dopo due mesi dalla candidatura, Geraci fu ucciso a fucilate davanti a casa sua. I killer, che erano in quattro su una Fiat Uno lo attesero poco dopo le 21 sotto casa, trucidandolo davanti al figlio Giuseppe. A Caccamo Cosa Nostra stabiliva che si poteva tornare a uccidere se gli interessi in gioco lo richiedevano.
L’assassinio di Geraci, collegato alla sua attività politica e di denuncia, resta ancora avvolto nel mistero e senza responsabili anche se il capomafia di Caccamo, Nino Giuffrè, collaboratore di giustizia, ha dichiarato ai magistrati che la condanna a morte sarebbe stata decisa perché Geraci aveva girato le spalle alla vecchia Dc, avvicinandosi al centrosinistra. Il caso è stato archiviato. I resti di Geraci riposano nel cimitero di Caccamo.
Il figlio di Geraci, Giuseppe, nel 2014 è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi. Egli ha ricostruito il contesto mafioso in cui l’omicidio è maturato e le ragioni politiche che hanno indotto Cosa nostra ad autorizzare il crimine, dicendo tra l’altro: “Io tutti i giorni incontro gli assassini di mio padre”.
Vedi: Il sindaco che difese il suo paese: ANGELO VASSALLO
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