I limiti del progresso Non siamo tenuti a mettere in pratica tutto ciò che ci consente la scienza
Una volta Edoardo Amaldi, che se ne intendeva perché era uno dei creatori della Bomba atomica, mi disse: “Non c’è niente da fare: l’uomo se può fare una cosa prima o poi la fa”. È il tema centrale posto da Grillo nel suo articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 1° marzo, peraltro per il resto assai confuso e caotico perché affastella troppe cose. Quindi la domanda è: l’uomo deve fare tutto ciò che la Scienza tecnologicamente applicata gli permette di fare? La risposta che la società moderna dà a questa domanda è sostanzialmente affermativa. Ma non è stato sempre così.
I Greci, grazie a Pitagora, a Filolao e ad altri straordinari scienziati e pensatori, avevano una teoria della meccanica che gli avrebbe permesso di costruire macchine molto simili alle nostre. Ma non lo fecero. Perché intuivano o capivano che andare a modificare e replicare la Natura è pericoloso. Parlando con i loro termini esprimevano così questo concetto: l’ubris, cioè il delirio di onnipotenza dell’uomo, provoca la fzònos zeon, l’invidia degli Dei e quindi la conseguente punizione. Sul frontespizio del Tempio di Delfi era scritto: “Mai niente di troppo”. Avevano conservato il senso del limite.
Ma perfino Bacone, che è considerato uno dei padri della rivoluzione scientifica, afferma: “L’uomo è il ministro della Natura ma alla Natura si comanda solo obbedendo ad essa”. Noi è proprio questo senso del limite che abbiamo perso e che ci perderà. Per restare al tema che è attualmente in discussione quello della “maternità surrogata” (l’onorevole Marzano ci dice che il termine corretto è “gestazione per altri” è tipico di questa società bizantina credere di poter cambiare le cose cambiando le parole ma il discorso potrebbe estendersi a tantissimi altri ambiti, come le ricerche sul Dna, la pretesa di trovare l’origine della vita, eccetera, è certo che nel campo della procreazione faremo parecchi passi avanti sulla strada della cosiddetta “modernizzazione”, come la possibilità di una donna di autofecondarsi prendendo gli elementi essenziali dell’embrione dal proprio corpo (su questo punto la ricerca è già molto avanzata).
Ha ragione Grillo: gli orrori del presente, partoriti dalla mente dei vari Frankenstein, non sono che un pallido fantasma di ciò che ci aspetta nel futuro. I “secoli bui” non sono quelli che, riferendosi al Medioevo, vengono definiti tali. I “secoli bui” sono quelli che stiamo vivendo. La cosiddetta `modernizzazione’ nel campo della procreazione è il segno che abbiamo perso il senso del limite.
Massimo Fini Il Fatto 3 3 2016
Le vite umane low cost e senza dignità
Le questioni etiche nel periodo del low cost possono assumere degli aspetti paradossali, al limite del ridicolo… scusate: del tragico. Il fenomeno del low cost avvicina molti esseri umani a stati transitori di benessere immaginario quando, nella migliore delle ipotesi, quelle stesse persone stanno facendo da tristi tappabuchi, nelle sempre più disperse, e tante, basse stagioni di ogni cosa: il prezzo dell’albergo di lusso, quello di una vacanza romantica, quello della felicità, e quello dei diritti rende le idee delle persone sempre più confuse!
Ed è curioso come il prezzo delle creature viventi possa diventare così basso, e trattabile, proprio quando è altissimo il pericolo di sconvolgimenti irreparabili dello stato sociale e morale di un popolo. Proprio le creature viventi, e tutto ciò che le garantisce in vita, mi sembra non abbiano più un valore percepito. Peggio vanno le cose e più sono le nullità che scorrono sugli schermi utilizzando le parole amore, felicità, dignità umana… come se anche queste stessero subendo una sorta di inflazione.
Mentre confondiamo l’economia con la finanza ancora peggio ci comportiamo, anche nel nostro intimo, quando confondiamo quelli che adesso mi permetto di chiamare diritti intimi! Come la paternità, la maternità e l’amore. Sento utilizzare la parola amore in modo talmente pressappochista da provare un dolore, intenso, che nessuna forma di ironia può risolvere. È veramente possibile che si blateri di amore e diritti intimi pensando a Vendola proprio mentre stiamo dimenticando chi ha messo al mondo noi? Mi riferisco a quelli che chiamiamo anziani, quelli che stiamo dichiarando inutili senza neppure più arrossire!
E allora: chi sono io per dire alle persone di rinunciare a delle opportunità che appaiono stupefacenti? E se è così: chi sarei io per rivendicare, al semplice scopo di salvarli, i diritti della persona a cominciare dalla sua dignità, per finire con il fatto che si tratta di una certa persona, di una tal coppia oppure di un operaio, di un poliziotto, un pensionato, un bambino in Siria dove ti uccidono i videogiochi dal cielo, insieme a tutti gli individui che compongono il tessuto interstiziale della società.
Forse uccidere a distanza degli esseri umani provoca una gioia che io non ho alcun diritto di criticare. Se tutto è possibile, uccidere giocando è diventata una realtà prima che nasca la perversione giusta per gioirne. Quanto è lontano Nichi Vendola da quello che sta succedendo nel mondo reale per permettersi di comportarsi con una majorette che rotea strane mazze colorate guidando un corteo di pareri in svendita.
C’è qualcosa del concetto di utero in affitto che mi spaventa. E non ha nulla a che fare con l’omosessualità oppure l’eterosessualità; mi spaventa la logica del «lo facciamo perché è possibile»: un po’ com’è diventato facile attaccare tutto alla bolletta della luce.
Così, mi perdo in questi nuovi moti di provare dolore e manifestare gioia, spaventato dalla facilità con cui li modifichiamo. Terrorizzato dal contesto di assoluta disinformazione da cui sentiamo provenire quelle parole. Incredulo e confuso: nessuno vorrà spiegare perché stiamo vivendo nel mondo del precotto low cost delle idee, dei riferimenti morali e della gioia. Scandalizzarsi perché qualcuno trova buffo Vendola ma non dice nulla — oppure dimentica apposta — quello che sta succedendo a chi si suicida per un debito mi spaventa. Insieme a quelle definizioni strane: utero in affitto, soldato, sacrificio, insostenibilità, abbandono… Tutti rinchiusi e allontanati dalla vista mentre si chiacchiera pensando soltanto se ci si è sbiancati a sufficienza i denti da mostrare nell’ennesimo talkshow.
Beppe Grillo Corriere della sera 1.3.2016
Nichi Vendola e compagno in fila all’outlet della vita
Potremmo limitarci a festeggiare la nascita di Tobia Antonio, il figlio neonato di Nichi Vendola e del suo compagno Eddy, che ne sarebbe il padre biologico alle prese con la madre surrogata, dicendo solo che una nascita è pur sempre un miracolo della vita: messa così è vero, nella sua normale straordinarietà. Oppure potremmo, con Giampiero Mughini, stigmatizzare la violenza e la volgarità con cui soprattutto sui social da due giorni si è sghignazzato su una vicenda delicatissima che ci tocca tutti.
Indubbio, il web è anche uno sfiatatoio di pancia, fegato e parti basse. Oppure ancora potremmo circoscrivere politicamente la venuta al mondo del piccolo al genitore famoso (padre o madre che si ritenga), alla sua figura pubblica e al frangente in cui è avvenuto questo parto per procura. Non sarà magari il caso della persona sbagliata nel momento sbagliato, per cui in tempi di discussione parlamentare e mediatica forsennata, tra un principio di coscienza e un fine di strumentalizzazione presumo come sempre elettoralistica, la paternità di Nichi finisce come deterrente nell’imbuto della questione stepchild?
E Alfano e i suoi seguaci, nemici “del contro-natura” alla Giovanardi, non si stanno lanciando sull’eco di Vendola anche contro le adozioni da parte dei gay? E davvero staremmo assistendo allo “scontro di civiltà” tra progresso scientifico e normalizzazione “naturale”, magari con interessi di altro tipo che rimandano sempre in un’insincerità commovente alla politica politicante, al potere e al denaro, scontro barbaro a far da ipocrita fondale alla lotta?
C’entra tutto questo certamente nel tunnel che la vicenda Vendola ha avuto almeno il pregio di illuminare a giorno. Finché infatti leggi che ci sono luoghi, a partire dalla California, dove hanno creato degli outlet delle nascite, dove il bambino si sceglie alla spina come una birra e l’utero viene trattato semplicemente come un ciclo di produzione su commissione, la cosa può farti un certo effetto ma resta distante: se ti immagini Nichi, il pluridecorato alla battaglia della sinistra, dei diritti, delle figuracce all’Ilva (per completezza dell’informazione…) ecc., a fare shopping in quell’outlet, beh, l’immaginazione prende un’altra piega.
E senza neppure bisogno di ricordare come è stato fatto che “culturalmente”, l’avverbio più caro al Nostro, lui è sempre stato avversario ideologico della “vita del mercato”: e adesso con un gran balzo in avanti (o indietro?) è già passato al “mercato della vita“?
La voglia di paternità non è una macchia sulla pelle, e procurarsi eredi così non è remotissimo dal criterio con cui si sono scelte le razze in epoche scellerate ma tuttavia incombenti. Per carità, Nichi non è Adolf e Tobia Antonio non sarà per forza ariano, ma l’ambulatorio concettuale non è poi così lontano. Misurarsi con un figlio che nasce menomato per chi ne ha contezza è già – che viva o meno – una questione esistenziale profondissima. Ora te lo scegli a misura dei tuoi desideri?
Ma perché, mentre il mondo è sovrappopolato e adottare un bimbo è già un’impresa umanamente di grandissima responsabilità e spessore, ci si va a cacciare in un outlet invece che sporgersi verso neonati o bambini che non hanno nessuno, specie in quest’epoca di guerre e denutrizione? In questo senso la contrapposizione tra ciò che si può legalmente fare e ciò che non si dovrebbe è macroscopica. Se non esiste una stamina etica sufficiente a distinguere, davvero tutto è possibile, e guardandoci intorno forse non a caso sembriamo complessivamente orientati a ritornare nelle caverne. In bocca al lupo, Tobia Antonio…
Oliviero Beha Il Fatto 2.3.16
vedi: L'utopia frugale