La parola guerra è un trucco e una trappola. Serve per dire: svegliatevi e andate a colpire. Si tratta di una vecchia cultura che continua a raccontarti: se non spari per primo, sparano a te. È vero. Ma, nel suo orrore, la sparatoria, l’esplosione e persino la strage sono una piccola parte di un tutto che certo è la più complicata e pericolosa situazione dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il delicatissimo lavoro di analisi è disturbato da una folla vociante che chiede di scambiare morte per morte.

Il fatto è che occorrono due strumenti divenuti rari e deboli, nel mondo delle comunicazioni istantanee che si sottraggono a un minimo di confronto critico e di riflessione. Parlo della cultura (chi siamo, noi da difendere, chi sono i nemici) e della politica. È vero, la parola “politica” indica una realtà disastrata. Eppure nessuna guerra, che non sia atomica e che risolverebbe in modo radicale (ma anche generale: distruzione per tutti) il problema del terrorismo, può eliminare ciò che realisticamente ci appare il pericolo mortale.

La religione è truccata su tutti i versanti di questa vicenda, dunque non ci aiuta. Le nostre radici giudaico-cristiane sono marchiate dal sangue e dal fuoco delle persecuzioni. Hanno adempiuto a certi impegni di distruzione e persecuzione del nemico molto prima (l’Inquisizione, le stragi di eretici di tutti i tipi) o solo da poco (la Shoah) eppure ci offendiamo con furore non dei morti (che stanno cadendo in tante azioni di terrore senza senso) ma per l’attacco “ai nostri valori”, che non hanno una storia esemplare, e che hanno cominciato a raggiungere e proteggere i cittadini privi di potere a mano a mano che diventavano laici e, da dogmi, si trasformavano in diritti civili.

La presunta predicazione dei cosiddetti “mullah radicali” è tutta materia politica, senza alcuno spunto che riguardi davvero la religione. È stata una intuizione giusta ricordare fascismo e nazismo per interpretare il Califfato. Le religioni monoteistiche, ci ha detto la storia, offrono una buona ambientazione ai regimi assoluti. Ora ne abbiamo uno non potente ma molto abile e insidioso, insediato su rovine che noi, tutto l’Occidente, con i famosi “nostri valori” abbiamo creato nel corso di un pauroso sterminio (Iraq e Afghanistan).

Non abbiamo titolo per predicare, e tuttavia dobbiamo reagire. Li prenderemo sul versante dello scontro di valori o su quello del come riorganizzare il mondo per allontanare le mani (le loro e le nostre) dall’esplosivo, che noi per primi abbiamo usato senza previsione, riflessione o scrupolo? Sul nostro versante abbiamo due pericoli. Uno è costituito dai fabbricanti locali di odio. Persuasi che non ce ne sia abbastanza intorno a noi, i fabbricanti di odio (Trump, Le Pen, la Lega Nord italiana e tutti i piccoli leader europei che sbarrano ed espellono e chiudono i passaggi e scacciano i profughi) alacremente ammassano più odio ogni giorno, con grande impegno, dispendio e fatica, in modo da incrementare le file delle nuove reclute pronte a farsi morire.

Per esempio, una volta constatato che la situazione in Italia non è così disumana come nelle banlieue francesi e nella periferia di Bruxelles, ci sono attivisti italiani che si stanno domandando come possono diventare più odiosi, alzare più muri, isolare più esseri umani, offendere e umiliare di più, in modo da spingere almeno qualcuno alla vendetta, e poter morire felici, invocando a sproposito la Fallaci. Un altro è la persistente cultura della guerra, che mai come in questo caso diventa ossigeno puro per i mandanti del terrorismo e i pianificatori, letali ma improvvisati, di stragi.

Sono secoli che una parte dell’umanità tenta di persuadere l’altra che combattere è la cosa più stupida. Ma questa volta, almeno per chi non è eccitato dalla sua autopropaganda anti-islamica, c’è un argomento in più.Questa è (sarebbe molto di più, se dilagasse) una guerra boomerang in cui ogni colpo torna indietro, non per il consueto meccanismo della rappresaglia, ma perché quasi ogni alleato sta anche dall’altra parte, in un fitto incrocio di doppi giochi che continuano a ripetersi, e che vengono ignorati per non far saltare finte fraterne collaborazioni.

La nostra parte del mondo si divide dunque in un’Europa astensionista che mette fiori ma non opere di bene, e chiude le sue frontiere dopo avere elaborato la crudele e inutile legge degli scambi di uno contro uno. E un’Europa combattentistica, pronta a partire contro il Saladino, senza sapere come, dove ed esattamente contro chi (dov’è la testa del mostro?). Ma questa Europa non è così lucida e coraggiosa da prendere la guida di se stessa. Sta aspettando un leader che decida e dia ordini. Il giudizioso Obama, che vuole la soluzione. Sarebbe interessante sapere davvero quanti, in Europa, stanno aspettando un Trump. Direte che nessuno però ci ha spiegato quale sarebbe la soluzione politica. Vero. Nessuno ha mai provato, finora, a dire la prima frase.

Furio Colombo    Il Fatto quotidiano 27 3 2015

 

vedi: Nostra ipocrisia

La necessità di un nuovo ordine internazionale


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