Ci ho messo un po’ di tempo ma credo di avere finalmente capito che cosa significa “non farsi cambiare lo stile di vita dall’Isis”, che sembra la maggiore preoccupazione di questi giorni insanguinati da una strage, un attentato, un omicidio al giorno più o meno su commissione del Califfato. Ci ho messo tanto non perché non mi facciano ovviamente orrore le sequenze terroristiche che si sono recentemente e paurosamente infittite: comunque la si pensi è certamente una guerra, condotta con altri mezzi ma assai vicina a quella che gli esperti chiamano “terza guerra mondiale strisciante”.
Bensì perché non mi era chiarissimo quali fossero le caratteristiche precipue del nostro “stile di vita” messo a repentaglio dal jihad nella quotidianità. Lo stile di vita presuppone dei valori cui ispirarsi, delle priorità nelle scelte, delle abitudini di un certo tipo difendibile, piuttosto che di un altro tipo indifendibile o incondivisibile o anche solo incomprensibile. Ma ieri, mentre in Francia sgozzavano un parroco, da noi sono accadute delle cose che messe insieme possono a buon diritto rientrare nell’alveo del nostro “stile di vita”, quello che dobbiamo sforzarci di sottrarre al terrorismo dell’Isis, per continuare a “normalizzare” la nostra realtà. Intanto, pare che moltitudini (non solo) di italiani abbiano trovato nel nuovo videogame “Pokemon Go” una ragione di vita, e che nel Paese ferva addirittura il dibattito tra cervelli illuminati a giorno sul senso di tutto ciò. Fa bene, fa male, disintossica il cervello? Mah… È stile di vita comunque, mi pare.
Nel frattempo Marchionne e uno dei brothers di nobile prosapia hanno spostato ad Amsterdam la holding di famiglia, come avevano già fatto per tutto il resto, Fiat compresa. È il mercato bellezza, per cui si lascia la nave che affonda, o è semplicemente un efficace stile di vita?
Non ho fatto in tempo a finire di interrogarmi sulla Exor, onomatopeica come all’epoca di Ivanhoe, che il presidente del Consiglio ha inaugurato il “Viadotto d’Italia” sulla Salerno-Reggio Calabria, i cui lavori sono iniziati come si sa nello scorso millennio, i cantieri non mollavano la presa da allora, i “vernissage” si sono susseguiti senza tregua sotto tutti i governi sia pure con scarso successo. Adesso per Natale Renzi garantisce che sarà tutto a posto, che l’Italia cambia verso, che siamo più forti di quello che gli altri credono (ma chi? I tedeschi che ci hanno battuto ai rigori?), che nessuno potrà più ridere di noi.
Ebbene, devo presumere che anche questo entusiasmo, che non guasta specie se diversificato dall’Italicum e dal referendum costituzionale, rientri per la porta anzi per la corsia autostradale principale nel nostro “stile di vita”. Di cose da difendere ne abbiamo dunque, alla faccia dell’Isis. Davvero un pienone di valori.
E il Califfato, nella sua inumana ferocia, deve aver capito che quanto a ideali non scherziamo e che solo il destino, stavolta meno cinico e baro del solito, ci potrebbe favorire nel difenderci dal loro terrorismo: la presenza di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra infatti cozza opportunamente nel controllo del territorio contro i disegni stragistici dell’Isis, anche se questo il premier non l’ha potuto affermare esplicitamente con lo stesso entusiasmo. Siamo riusciti a carpirlo tra le righe…
Così che mentre è indispensabile difenderci con ogni opera di intelligence e di sicurezza possibile, forse non sarebbe inutile contrastare il fondamentalismo del jihad anche sul piano culturale, dei contatti con i musulmani che ne sono vittime, magari meglio se anche interrogandoci sul nostro “stile di vita”. “Che dé?”. Non sarà riassumibile nel “fondamentalismo economico” per cui oltre al denaro non conta nient’altro?
Oliviero Beha Il Fatto 27/7/2018
Se l’Isis mi ammazza non uccidetemi una seconda volta
Non succederà, ma se dovesse accadere di restare ammazzato da chicchessia, per favore, vi prego, non uccidetemi una seconda volta. Se dovessi essere sgozzato o decapitato o sventrato da un delirante di “Allah Akbar!“, vi prego, per favore, non uccidetemi due volte: non confondete l’Isis con l’Islam. E se il mio uccisore dovesse essere un nero o un emigrato, vi prego, per favore, davanti alla mia bara non uccidete anche la mia memoria: non confondete il delinquente con l’emigrante. Al mio funerale non voglio i maestri dell’imbroglio, i fabbricatori d’odio, coloro che investono sulle paure e coloro che fanno carriera sulle disgrazie altrui. Morirei una seconda volta. E questa volta per davvero!
P.S. Dimenticavo. Dovessi morire per mano di un qualsiasi assassino vorrei il silenzio stampa. In fondo, a morire sarei solo io. Non voglio prestarmi, nemmeno da morto, a questo gioco osceno che va in onda quotidianamente a reti unificate: quello di far credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano e permanente di una finanza che affama, di un mercato che desertifica e di una politica nullafacente. E le cui vittime sono milioni e milioni, non esclusi gli stessi terroristi.
Don Aldo Antonelli, prete freelance L’Uffington Post 27/7/2016
vedi: Nostra ipocrisia
L'Occidente globalizza la depressione