Ken Loach a ottant’anni compiuti. ”Ken il rosso” ritorna all’attacco, dalle food bank per i poveri al silenziatore dei media.
Censura, fame e rabbia. Al Festival di Locarno Ken Loach presenta il suo ultimo film, vincitore della Palma d’oro a Cannes e ieri sera osannato in Piazza Grande. I, Daniel Blake è il nuovo contributo dell’80 enne “Ken il Rosso” alla causa di quella “working class without work” sempre in lotta per sopravvivere. Uscirà nelle sale britanniche il 21 ottobre.
Da Cannes l’impatto del film è stato potente, ma al cinema ormai vanno in pochi. Perché non ha pensato di realizzare questa pellicola per la tv, come faceva negli anni Settanta, portando l’opinione pubblica su temi caldi come l’aborto e i senzatetto?
Sarebbe stato bello ma nella Gran Bretagna odierna la televisione applica la censura preventiva. Se negli anni Settanta regnava una sorta di disorganizzazione nel management della Bbc e quindi sono riuscito a realizzare film di protesta socio-politica come Up the Junction e Cathy Come Home, oggi l’organizzazione impenetrabile dei canali televisivi non mi avrebbe fatto fare un prodotto come I, Daniel Blake. È triste da affermare ma funziona così: una volta ti censuravano dopo, oggi ti censurano prima ancora che apri bocca.
La sua rabbia è cambiata, in oltre cinquant’anni di carriera?
Forse è anche cresciuta. Ma credo che la rabbia più forte sia quella dei poveri, che sono i protagonisti assoluti del film. La loro rabbia nasce dalla fame assoluta: nelle città della provincia britannica crescono le food bank (banche del cibo, ndr) e si stima che centinaia di migliaia di britannici ne facciano uso quotidiano. Il governo utilizza la fame come strumento per tenere disperate e deboli queste persone che non riescono ad accedere a un lavoro a causa di un circolo vizioso creato ad hoc per fare il profitto dei job centre, cioè dello Stato.
Quindi anche i job centre sono una trappola del Governo?
Esattamente. Ed è noto a tutti come le istituzioni traggano benefici dalle sanzioni che gravano sulla povera gente, spesso ignorante e dunque incapace di districarsi dai labirinti burocratici kafkiani creati appositamente per loro. Alla base ci sono le grandi aziende rappresentate in politica, che ostacolano in ogni modo il welfare. Lo vogliono annientare.
Ma con la Brexit questa situazione è destinata a peggiorare oppure a migliorare? In fondo l’uscita dall ‘Unione europea è stata voluta soprattutto dalla classe operaia, dalla provincia.
A breve termine penso che la situazione peggiorerà, per un semplice motivo: diverse multinazionali lasceranno il Paese e non contribuiranno più, quindi, alle entrate fiscali. Di conseguenza lo Stato si impoverirà e avrà sempre meno soldi per finanziare lo stato sociale. Ci vorrà del tempo per tentare di risanare questa tragedia costruita dai burocrati.
L’altra tragedia dell’Europa (e non solo) è il terrorismo, che sta seminando paura e mettendo paesi interi a ferro e fuoco.
Anche in questo caso si tratta di rabbia estrema. Se analizziamo a fondo la Storia, ci mettiamo un secondo a ricordare che quanto noi oggi chiamiamo Medio Oriente era parte di un impero europeo, un territorio suddiviso fra il dominio francese e quello britannico e successivamente americano. L’Occidente ha sfruttato, ha imposto decisioni, ha governato quei territori per secoli. La rabbia che hanno maturato ora si esprime in molte forme. Nessuno vuole giustificare gli atti terroristici, che sono da condannare in maniera assoluta, ma per sconfiggerli è necessario andare all’origine, e lì troviamo la responsabilità della nostra Storia. Non dobbiamo sorprenderci della loro furia distruttiva e siamo in dovere di fare il possibile per comprendere come arginarla.
Lei ha definito questo un momento particolarmente “sensi bile” della storia britannica. Perché non si presenta come guida dei laburisti?
Sono troppo vecchio ormai. Ma la tentazione l’ho avuta tante volte!
Anna Maria Pasetti Il Fatto 12/8/2016
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