È malato un Paese che dopo l’ennesimo, prevedibile terremoto, con centinaia di morti e tante distruzioni, deve destinare le pagine dei suoi giornali per metà alle storie dei morti e dei sopravvissuti e agli annunci della ricostruzione, che questa volta sì, si farà sul serio. E l’altra metà delle pagine alle indagini di una procura della Repubblica, alla loro ampiezza e alla diffusione di illeciti e reati, che quasi sembrano costituire la normalità. Ancora una volta il ricorso alle consulenze esterne è il sospetto strumento di favoritismi, ruberie, finanziamento degli sponsor politici.
Questa volta oltre all’abuso di fondi pubblici emerge il disprezzo per norme antisismiche destinate a salvare vite umane e lo scandalo diventa più grave. Ma la regolarità con cui si nominano consulenti esterni alla amministrazione pubblica può significare che al suo interno non vi sono professionalità adeguate, il che sarebbe gravissimo e chiamerebbe in causa la catena gerarchica fino ai governi che hanno tollerato tale degrado. Oppure che – quando non sia necessaria una specifica eccezionale specializzazione – il consulente nominato è un amico, amico di chi può. In entrambi i casi si mette in discussione la struttura essenziale della amministrazione pubblica e dello Stato.
Stupisce la mancanza di reazioni dall’interno della pubblica amministrazione, così avvilita. Con o senza consulenze esterne e connivenze interne, c’è chi ruba il denaro pubblico e c’è chi chiude gli occhi, non controlla che i lavori finanziati dallo Stato siano portati a compimento e regolarmente (severamente) collaudati.
Si dirà ancora una volta che è colpa dei burocrati, ma in queste vicende hanno poteri e responsabilità sia i ministeri, sia sindaci e giunte comunali e regionali: organi eletti da quegli stessi cittadini che non vengono protetti e sono invece messi in pericolo. Le indagini accerteranno se e dove vi siano responsabilità, ma ci vorrà molto tempo, perché essendo indagini giudiziarie esse tendono a produrre prove utilizzabili davanti al giudice nel processo. E le regole del processo sono rigorose. I processi accerteranno o escluderanno responsabilità individuali.
Ma ora lo scenario che si apre descrive – ancora una volta – un sistema. Un sistema in cui a tutti i livelli amministrativi, compresi quelli elettivi e i partiti che li esprimono, l’illegalità – questa volta sulla pelle delle persone – diviene strutturale.
L’intervento della magistratura, ovviamente doveroso, rischia allora di suscitare malintesi, infondate speranze e illusioni. Come dimostrano le ancor recenti polemiche contro i giudici di Perugia accusati con ben orchestrata campagna disostituirsi ai tecnici (sismologi) e agli amministratori, alle speranze e alle illusioni si accompagneranno critiche e accuse. E si parlerà di supplenza della magistratura, irrispettosa della discrezionalità degli amministratori. Ma ora è il caso di avvertire che il problema che emerge – anche questa volta – può forse essere represso a posteriori attraverso i processi, ma che non c’è salvezza per il Paese, fino a quando una rivolta morale non restauri o instauri in Italia senso civico, correttezza e un poco almeno di «virtù repubblicana».
Ho parlato di speranze illusorie riguardo all’opera della magistratura penale, per la sua naturale finalizzazione ad altro, che non è la soluzione di una deviazione così diffusa e grave. Se un tocco di sarcasmo è consentito, si può notare che i regimi corrotti di solito hanno una magistratura asservita: della corruzione si può bisbigliare, ma senza prove. L’Italia corrotta è incoerente, poiché mantiene una magistratura indipendente. E allora la corruzione viene fatta emergere ed è sotto gli occhi di tutti. Ma inutilmente, poiché l’ipocrisia protegge la corruzione.
Vladimiro Zagrebelsky La Stampa 31.8.16
Di angeli e bilanci, eroi e ponti
Non sono tra quelli convinti che nella vita le sofferenze “facciano bene”. Neanche un po’. Però dalle sofferenze si può imparare. Almeno gli si dà un senso. A posteriori, non richiesto, ma meglio che niente. Ecco, da quest’ultima catastrofe forse alcune cose possiamo imparare. Alcuni punti fermi. Di buon senso. E soprattutto da non dimenticare fra mezz’ora.
1. Basta con questi angeli. Anche a questo giro, abbiamo fatto vedere quanto siamo bravi dopo. Bravissimi a scavare tra le macerie per salvare vite umane, splendidi negli afflati di generosità, commoventi nell’inventarci amatriciane di solidarietà. È dal 1966 (alluvione di Firenze) che ci sono gli “angeli del fango”. L’altro giorno ho letto pure degli “angeli con la coda”, i cani addestrati. Tutto molto bello. Però ci saremo anche rotti le balle con questa straordinaria bravura dopo. Nell’emergenza, a catastrofe avvenuta e non prevenuta. Vorrei che fossimo un po’ meno eccellenti dopo e un po’ più decenti prima nel rispettare le regole di costruzione edilizia, nel non fare tutti un piano abusivo in più, nel non gabellare per adeguamenti sismici le ripittate alle pareti, nel non costruire villette dove le montagne franano, insomma nel fare le cose per bene. Mi rendo conto che questo ci toglierebbe una buona dose di retorica riempi-giornali, ma forse salverebbe qualche vita in più, qualche casa in più, qualche paese in più.
2. Il pareggio di bilancio è una cagata pazzesca. Da quando è premier, Renzi sta tentando disperatamente di “derogare” dai vincoli europei per qualsiasi cosa: allarme Isis, sbarco di migranti, effetti della Brexit, piano pensioni, adesso il terremoto, fra un mese chiederà flessibilità extra anche per il probabile arrivo dell’autunno. Fa benissimo, s’intende, anche se c’è una certa distanza tra i suoi proclami in Italia e le pernacchie che poi gli rifila la Merkel. Ma il punto non è se Renzi faccia bene o male a elemosinare i fuori busta, il punto è che sono proprio i vincoli in sé a fare danni, è l’ideologia idiota e dogmatica che ci sta dietro: e la prova è che perfino chi li ha votati, quei vincoli, ora ne comprende la follia e cerca di non farli valere. E che di follia si tratti è di evidenza solare: ad esempio, queste regole di bilancio ci consentirebbero di derogare sulle spese per la ricostruzione post terremoto, ma non per le spese finalizzate a mettere in sicurezza antisismica il territorio. Anche a parità di amount. In sostanza, i vincoli Ue ci incentivano a non mettere soldi nella prevenzione per evitare catastrofi e a metterli invece nella riparazione di catastrofi già avvenute. Follia pura, appunto. Le regole europee sono notoriamente cretine: in questo caso, con permesso, sono anche assassine.
3. Bye bye Grandi Opere. Mentre ad Amatrice le persone scavano tra le macerie, in Valsusa le macchine continuano a scavare nelle montagne: 8,6 miliardi (almeno) buttati per un’opera colossale, violenta, speculativa e – soprattutto – infinitamente meno utile delle mille piccole opere che servirebbero per mettere in sicurezza un po’ del nostro territorio, delle nostre case, dei monumenti artistici che abbiamo in ogni paese. Ma il Tav è anche un simbolo: è tutta l’ideologia delle Grandi Opere che – lo abbiamo capito o no, dopo quello che è successo? – è da buttare. È il suo gigantismo. Il suo approccio bulimico, invasivo, megalomane. È vecchia, quella roba lì, è finita. È finita con L’Aquila e il suo G8, ma è finita anche con il cambiamento di sensibilità e di valori iniziato dopo la crisi scoppiata nel 2008. E il primo che parla del Ponte sullo Stretto, mandatelo a scavare. Ad Amatrice o in qualsiasi emergenza dopo frane, smottamenti, esondazioni, tracimazioni e altre catastrofi concausate o peggiorate dall’incuria umana.
gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it 31/8/2016
vedi: La democrazia senza morale
Questione immorale, corruzione legalizzata