Grande giurista, eletto alla Costituente per il Partito d’Azione, moriva 60 anni fa: dall’antifascismo “angosciato” al liberalsocialismo

Pietro Calamandrei era nato a Firenze il 21 aprile 1889. Professore in diverse università, prima di approdare nella sua Firenze, fu volontario durante la Prima guerra mondiale ma contrario alla Seconda. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione, nelle cui file fu eletto alla Costituente. Al suo scioglimento aderì al Psdi, da cui si staccò in opposizione alla «legge truffa» per fondare nel ’53 con Ferruccio Parri il movimento di Unità Popolare. È morto a Firenze il 27 settembre 1956

Sessant’anni fa, il 27 settembre 1956, moriva Piero Calamandrei, uno tra i maggiori giuristi italiani del Novecento, eletto alla Costituente come delegato del Partito d’Azione, fondatore della rivista Il Ponte. Scrittore prolifico e affascinante non solo sui temi professionali e politici affrontati con passione e ironia (ad esempio Chiarezza nella Costituzione, del 1947, riproposto qualche anno fa con una introduzione di Carlo Azeglio Ciampi), ma anche in scritti letterari e autobiografici. Una figura ricca, complessa, anche controversa, difficilmente classificabile nel panorama di oggi, e forse per questo quasi dimenticata.

Attendismo sui generis

Calamandrei non è il resistente attivo della prima ora. È l’incarnazione dell’antifascista dotto, borghese, professionalmente qualificato ma frustrato e impotente che «resiste» nel senso di tener duro nell’attesa della liberazione. Un attendismo sui generis che non prende iniziativa diretta ma sa da che parte stare e verso dove andare.

Introducendo i suoi Diari (di recente pubblicati in edizione integrale – due volumi,1939-1941 e 1942-1945 – per le Edizioni di Storia e Letteratura) Mario Isnenghi ha fotografato con precisione la situazione in cui viveva. La labilità dei confini, la doppiezza consapevole, la promiscuità di chi da antifascista, o da non immedesimato nel fascismo, continui a vivere in Italia – senza le liberatorie rotture nette del carcere, del confino o dell’esilio – costituiscono, al di là della dimensione autobiografica, il terreno di coltura, la cifra di un indeterminato e forse anche maggioritario numero di italiani fra le due guerre, con o senza tessera, in una società composta, nel grado di assuefazione, di differenti cerchie e microclimi. [...]

L’eccezionalità della testimonianza di Calamandrei sta nel far ritrovare indirettamente visibilità e parola a questi italiani. Quella che si scrive e si descrive è anche una specie umana di “color che son sospesi”».

Eppure Calamandrei ha le idee chiare, se il 20 febbraio 1943 troviamo in una pagina dei Diari il Leitmotiv del liberalsocialismo che nell’enunciazione dei suoi principi arriverà sino a Norberto Bobbio: libertà negativa vs libertà positiva, democrazia formale vs sostanziale.

Come programma politico, «a molti sembra troppo poco di sinistra», scrive, «La solita accusa ai liberali: vi preoccupate soltanto di ristabilire le libertà giuridiche che sono uno strumento per perpetuare la servitù economica: viceversa fin da principio si devono stabilire garanzie che evitino il solito pericolo che le libertà giuridiche servano ai ricchi per asservire i poveri. Questo problema del prius della forma sulla sostanza è il punto cruciale di ogni movimento. Io credo che si debba francamente affermare che la libertà non vuol dire soltanto libertà giuridica negativa (di coscienza, di stampa, di riunione, di religione ecc.), ma vuol dire anche libertà economica positiva (diritto al lavoro, diritto alla casa, diritto all’assistenza medica, diritto all’assistenza di vecchiaia, diritto alla scuola). Bisogna considerare come i nemici della libertà, come partiti non permessi, quelli che negano queste libertà positive, senza le quali quelle negative non hanno senso.Tutte le altre questioni – come si deve organizzare la produzione, la proprietà ecc. – devono essere risolte in funzione di queste libertà positive in modo da garantirle».

De Felice nel suo volume Mussolini l’alleato. L’Italia in guerra. Crisi e agonia del regime (Einaudi 1990), fa molti riferimenti a Calamandrei. Ma parla anche di «una sorta di incomunicabilità, di incomprensione che rendeva estremamente difficili se non impossibili i rapporti tra i superstiti antifascisti e i giovani, anche i migliori, i meno fascisti e i fascistizzati».

Particolarmente drammatici sono i rapporti di Calamandrei con il figlio Franco, prima fascista entusiasta, poi convinto comunista. Retrospettivamente. anni dopo lo stesso Franco avrebbe attribuito al comportamento del padre di quel periodo «un travaglio privo di prospettiva e a volte addirittura di ogni riferimento, un antifascismo angosciato, ancor più che dalla propria impotenza, di essere storicamente condannato alla sconfitta».

I diritti individuali

Ma finalmente «liberato» (dalle truppe alleate) Calamandrei sembra trasformato, si impegna attivamente nelle istituzioni fiorentine e romane del Partito d’Azione. Eletto alla Costituente si dedica interamente alla stesura della Costituzione, mirando a realizzare la sintesi liberalsocialista con formule di ingegneria costituzionale che rafforzino i principi di garanzia statuale e insieme sanciscano i diritti individuali.

C’è un episodio poco noto nel contesto del dibattito alla Costituente, quando Giorgio La Pira propone di inserire in un preambolo la frase «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». Per molti costituenti è in gioco la laicità dello Stato. Memorabile l’intervento di Togliatti che dichiara di «non capire» come si possa votare Dio a maggioranza. Calamandrei propone di menzionare eventualmente in un preambolo i «morti per la libertà e la democrazia». «Nella nostra Costituzione c’è qualcosa che va al di là delle nostre persone, un’idea che ci collega al passato e all’avvenire, un’idea religiosa perché tutto è religione quello che dimostra la transitorietà dell’uomo ma la perpetuità dei suoi ideali». Le sue parole ci suonano oggi forse un po’ enfatiche, ma vanno nel senso di quella che chiameremmo «una religione civile». Erano altri tempi.

(Una nota amara. «Calamandrei» a Torino è il nome del Centro di documentazione, ricerca e studi sulla cultura laica. Attivo organizzatore di convegni, editore dei Quaderni laici, punto di riferimento per la minoranza laica cittadina. Adesso nella misera congiuntura che investe le attività culturali anche torinesi il Centro è senza sede e senza fondi; inspiegabilmente escluso dal Polo del Novecento, dove avrebbe potuto essere ospitato. Ogni commento è superfluo).

Gian Enrico Rusconi      La Stampa 26.9.16

 

vedi: L’insegnamento civile di Calamandrei, ancora così attuale

Pensiero Urgente n.232)

Corruzione. La questione morale e la mancanza di una religione civile

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