Ernesto Rossi, del quale quest’anno si celebrano i cinquant’anni dalla morte (9 febbraio 1967), era stato volontario non ancora diciannovenne nella prima guerra mondiale e, nato a Caserta, vicino Napoli, era arrivato a Firenze dove in quel momento insegnava lo storico GAETANO SALVEMINI.
L’incontro con lui fu per il giovane casertano decisivo di fronte al dibattito violento che allora si scatenò tra i sostenitori della neutralità dell’Italia e quelli dell’intervento nella prima guerra mondiale. Insegnante di matematica nelle scuole italiane, fu arrestato nel 1930, mentre faceva lezione, e condannato dal Tribunale Speciale Fascista a venti anni di cui nove furono scontati in carcere e quattro al confino di Ventotene.
Attraverso Salvemini entrò nell’organizzazione del movimento di GIUSTIZIA E LIBERTA’ fondato in esilio da CARLO ROSSELLI dai salveminiani e da EMILIO LUSSU dopo la fuga di Rosselli da Lipari a Parigi del 27 e 28 luglio 1929.
Ho trascorso una parte non piccola del mio lavoro e delle mie ricerche di studioso di storia per ricostruire la breve vita di Carlo Rosselli e ho incontrato nelle mie ricerche, accanto a quella di Rosselli, la figura e la personalità di Ernesto Rossi come quella di un amico prezioso e importante per la vita esemplare, per la visione nuova dell’Italia moderna che aveva scritto nei suoi articoli sul settimanale Il Mondo diretto dal 1949 al 1966 da Mario Pannunzio che fu – in quei diciassette anni – una luce significativa da parte di persone che non erano mai diventate comuniste ma avevano lo stesso sogno di Rosselli (Carlo e Nello, i due fratelli che Mussolini fece uccidere dall’organizzazione francese Cagoule a Bagnoles sur L’Orne il 9 giugno 1937) il sogno di una “democrazia sociale moderna” che purtroppo neppure nel ventunesimo secolo, ormai siamo nel 2017, sembra destinata a realizzarsi nel nostro Paese.
Gli articoli di Ernesto Rossi pubblicati dal settimanale romano (al quale anche chi scrive ha collaborato intensamente con articoli di attualità e di costume tra i quali quello su Archille Lauro, “Lo sposo di Napoli”, scritto dopo una lunga intervista al “comandante” ma che mi fece licenziare in tronco) sono stati poi raccolti in alcuni volumi tra cui I padroni del vapore (Bari, Laterza, 1956) e Aria fritta (Bari, Laterza,1955) che offrono un ritratto somigliante e per i tempi molto raro dell’Italia democristiana negli anni Quaranta e Cinquanta.
Se volessimo tentare un ritratto del casertano antifascista paziente e generoso che fu Ernesto Rossi dovremmo ricordare le sue qualità essenziali così come emergono dalle sue esperienze e dai suoi scritti importanti. La prima è la sua attenzione alla collusione che ci fu nel periodo fascista tra il Vaticano e il regime dittatoriale che gli ispirò il libro Il manganello e l’aspersorio, in cui Rossi ricordò l’ipocrisia del romagnolo che ateo e anticlericale da sempre, volle e firmò i Patti Lateranensi tanto da diventare per Pio XI “l’uomo della Provvidenza”.
In una lettera a Salvemini del novembre 1922, Rossi aveva scritto allo storico di Molfetta:
“Se non avessi incontrato sulla mia strada, al momento giusto, Gaetano Salvemini che mi ripulì il cervello da tutti i sottoprodotti delle passioni suscitate dalle bestialità dei socialisti e dalle menzogne della propaganda del governo, sarei facilmente sdrucciolato anche io nel fascismo”.
Per Rossi come per Rosselli vale l’insegnamento fondamentale che scaturisce dal Risorgimento italiano: “Libera Chiesa in libero Stato”, l’insegnamento di Cavour e di MAZZINI di modernizzare il Paese di fronte alla tendenza del Vaticano a mantenersi nella tradizione – che porta alla firma dei Patti l’11 febbraio 1929 – destinata a rimanere in vita senza decisivi cambiamenti in tutto il periodo repubblicano successivo fino ad oggi.
Nicola Tranfaglia Il Fatto 11 febbraio 2017
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