Oggi definiamo così le «bufale» del web
Che cos’è la verità?», chiede Pilato a Gesù mentre lo interroga. La verità è dunque questione religiosa? Anche. Emet è la parola ebraica che indica la verità. Alla lettera significa solido, sicuro, degno di fiducia. Indica una verità come quella religiosa: nel segno della fede. In greco antico la verità è indicata invece con il termine aletheia, una parola con una doppia negazione: ciò che è non nascosto. Cioè qualcosa che non è dato per sempre, ma che bisogna continuamente disvelare.
Agli occhi dei greci la verità appare mutevole, docile alla nostra volontà di scoprire e di cercare. Fra questi due estremi si è svolta da sempre la riflessione sulla verità, che nell’esperienza comune e secondo il diritto è l’adeguamento del fatto narrato o illustrato al fatto accaduto. Da qualche tempo si è diffuso-e l’ Oxford Dictionary l’ha legittimato proclamandolo parola dell’anno per il 2016- il termine «post verità». Secondo la prestigiosa istituzione inglese, denota le circostanze in cui i fatti oggettivi influiscono in misura minore nella formazione dell’opinione pubblica rispetto a ciò che fa riferimento all’emotività e alle convinzioni personali.
In concreto il termine è passato a indicare le «bufale»- parola mutuata dal gergo giornalistico – cioè le notizie false o fortemente distorte pubblicate dalla Rete. Un’abile operazione linguistica per indicare una menzogna. Il termine «post verità» era stato infatti coniato agli inizi degli anni ’90 per indicare una verità che si fa sempre più affievolita, ancorché accettata dall’opinione pubblica.
Il significato letterale è «dopo la verità» ed è la definizione più confacente all’epoca di internet. Nella civiltà della Rete la verità – intesa in senso tradizionale di adeguamento alla realtà – non esiste. Non può esistere. Perché la Rete rappresenta il più grande processo di virtualizzazione che l’uomo abbia conosciuto.
Il termine virtuale viene anch’esso da lontano: lo dobbiamo alla riflessione di Tommaso d’Aquino, per questo noto come doctor virtualis. Per il grande pensatore, virtuale era ciò che da potenza riusciva a trasformarsi in atto. La Rete realizza in pieno questo processo con ima traslazione della vita reale nel mondo della comunicazione mediata. Ma nella comunicazione la realtà svanisce per lasciare il posto alla sua rappresentazione. Attraverso i media (tutti) ogni gesto, ogni fatto, ogni notizia è sempre un po’ distorta perché non sono la realtà ma la rappresentazione di essa.
L’immagine di una sedia non è mai la sedia. Se questo è vero per i media tradizionali, nella Rete trova ulteriore conferma e sviluppo. Per la sua natura virtuale la Rete è in continua trasformazione da potenza in atto e dunque non conosce un punto fermo, un attimo in cui si possa cristallizzare la situazione per conoscerla, scoprirla, come immaginavano di fare gli antichi greci.
Nell’esperienza comune percepiamo questa virtualità attraverso il flusso continuo di immagini, notizie, dati che a volte sembrano stordirci. Ma c’è anche un’altra ragione – per così dire ontologica – per cui non può esistere la verità nella Rete. Ogni dato immesso è infatti perfettamente riproducibile in un numero infinito di esemplari e da chiunque. Non si tratta di copie, come nella realtà fisica potremmo pensare alla stampa di riproduzioni di un Immagine, di un quadro o di un testo.
No, nella Rete ogni copia è perfettamente identica all’originale. Meglio, dobbiamo dire un esemplare 2 è identico all’esemplare 1 dal quale è stato riprodotto. Qual’è allora l’originale e quale il falso? Impossibile distinguerli. Se non c’è un falso, vuol dire che non c’è neppure un vero. E infatti la definizione di fake in rete non indica un falso in senso tradizionale, ma una mancata corrispondenza tra un dato e la sua fonte. Per parlare di falso dovremo sempre far riferimento alla realtà fisica.
Ultima considerazione. Il filosofo Karl Popper ha elaborato un principio della falsificabilità delle teorie scientifiche. Egli sostiene che una teoria è controllabile, e dunque appartiene alla scienza, se è falsificabile. Se sviluppiamo le conseguenze di questo discorso applicandolo a quanto primo affermato circa l’impossibilità di distinguere in Rete un vero da un falso, se ne deduce che in Rete non vi possono essere teorie controllabili, cioè scientifiche, giacché nulla è falsificabile, sebbene tutto sia riproducibile.
Ecco perché parlare di «post verità» non significa indicare una menzogna con un termine di moda, come molti credono, ma definire l’esatta condizione della verità ai tempo di Internet. Siamo entrati cioè in quella fase storica in cui il concetto di verità non esiste più, in cui l’unico criterio di controllabilità (per dirla con Popper) è la propria soggettività.
Sotto il profilo culturale è il compimento online di quel relativismo così a lungo e invano combattuto da papa Ratzinger. Con tutte le conseguenze del caso, a cominciare da quelle politiche, con l’avvento dei profeti di una inesistente democrazia del web. Solo che chi è immerso nel web non può accorgersene. Alla stregua di Pilato non sa più cosa sia la verità.
Michele Partipilo la gazzetta del mezzogiorno 22 1 1017
vedi: La guerra alla verità
Bauman, liquidatore delle certezze e ideologie del 900
Non c è più posto per la verità