L’ 11 giugno del 323 a.C. (data presunta) muore a Corinto (Grecia) dopo una breve malattia DIOGENE DI SINOPE (89 anni, detto il Cinico o il Cane) filosofo.
Così racconta lo storico greco Plutarco (46- 125 d.C.) nella sua opera Vite Parallele al capitolo dedicato ad Alessandro Magno (356- 323 a.C.):
“Il re in persona andò da lui (Diogene) e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: “Scostati un poco dal sole”. A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d’animo di quell’uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: “Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene”.
In questo aneddoto c’è tutta la grandezza dell’animo, della filosofia e della concezione della dignità della libertà di fronte ai potenti di DIOGENE, nato a Sinope, ( oggi in Turchia) sulle sponde del Mar Nero, nel 412 a.C. nella famiglia di un cambiavalute, Icesio, che verrà imprigionato perchè accusato di truffe monetarie. Poiché anche Diogene venne coinvolto nell’accusa si spostò, molto giovane, ad Atene insieme con un servo che quasi subito abbandonò dicendo:
“Se Mane può vivere senza Diogene, perché non Diogene senza Mane?”
Chi ci fornisce molte informazioni sulla vita di Diogene è lo storico greco Diogene Laerzio (180- 240 d.C.), nella sua opera Vita e dottrine dei filosofi illustri, e ci racconta che Diogene ad Atene venne attirato dagli insegnamenti del filosofo Antistene ( 444 a.C.- 365 a.C.), che era stato discepolo di SOCRATE (470- 399 a.C.) e che aveva scelto una vita fortemente ascetica e povera.
Antistene non voleva discepoli e trattò rudemente Diogene che lentamente divenne ancor più austero del maestro maturando anche un comportamento sociale irriverente e provocatorio verso i potenti e verso il servilismo della gente.
Per cercare di educare all’essenzialità della vita Diogene scelse non solo di diffondere la sua filosofia ( con la quale, insieme a quella di Antistene, diede inizio alla corrente filosofica Cinica) attraverso l’insegnamento nelle strade ma anche di compiere gesti simbolici ed eclatanti che “mostrassero” i suoi valori ideali. Decise di vivere praticamente nudo all’interno di una botte aperta che apparteneva al tempio ateniese dedicato a Cibele e quando vide un ragazzo che beveva usando soltanto le mani distrusse l’unica cosa che possedesse, una ciotola di legno, considerandola superflua.
Diogene insegnava che si dovesse evitare qualsiasi piacere fisico non necessario e in maniera molto esibita compiva gesti contro le convenzioni e i tabù sociali e quei “valori” a cui tanti aspiravano: ricchezza, potere e gloria. Insegnava che il rapporto con la natura e l’assoluta semplicità fossero la base di una vita morale poiché gli sviluppi artificiali della società per lui erano deleteri nella ricerca della verità e della bontà, unici veri fini della vita. Diceva:
“L’uomo ha complicato ogni singolo semplice dono degli Dei”.
Il filosofo riteneva che gli esseri umani vivessero una vita artificiale e ipocrita e che dovessero imparare ad essere più liberi e più se stessi: per questo, per la sua vena provocatoria, praticava in pubblico le funzioni fisiologiche senza essere a disagio, mangiava di tutto e dormiva dovunque, vivendo in modo naturale nel presente senza preoccupazioni come gli animali.
Per difendere le sue idee Diogene assunse anche comportamenti che potremmo giudicare indecenti: oltre il vivere quasi nudo in una botte, mangiava in pubblico seduto per terra, defecava nei teatri pubblici o davanti ai palazzi che chiameremmo istituzionali, compiva atti sessuali per le strade, insultava senza remore in pubblico chi considerasse un cattivo esempio per i cittadini. Chi lo ammirava considerava Diogene un esempio assoluto di ragionevolezza ed onestà morale. Ma chi lo disprezzava, e non erano pochi, lo definiva un maleducato incivile e fastidioso ed uno dei suoi epiteti era: il Socrate pazzo.
Diogene rivendicò strenuamente la libertà di parola e il rifiuto di un certo modo di condurre la politica, per cui potremmo definire Diogene un anarchico ante litteram. Diogene Laerzio cita questa frase:
“ Tutto appartiene agli dei; i sapienti sono amici degli dei; i beni degli amici sono comuni. Perciò i sapienti posseggono ogni cosa”.
Diogene ha avuto in assoluto e tra i primi una visione cosmopolita della vita per cui spesso diceva di sé: Sono cittadino del mondo intero, andando così ben oltre l’uso del tempo di vedere la propria identità assolutamente legata all’appartenenza ad una polis.
Abbiamo già detto dei comportamenti pubblici altamente provocatori pur d’indurre alla riflessione i suoi concittadini ateniesi grazie soprattutto al suo ascetismo che gli procurava, però, anche disprezzo per cui, per la sua vita randagia, veniva chiamato “il cane”. Così racconta Diogene Laerzio:
“Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene, urinò loro addosso, come fa un cane”.
Quindi Diogene svolse il compito di critico della realtà sociale e il suo annullare ogni rispetto per la famiglia, l’ordine sociale, la proprietà e la reputazione avevano come fine di portare l’uomo a non essere schiavo della società e che in questo erano felicità e saggezza.
Diogene Laerzio ci racconta che una volta decise di prendere una lanterna in pieno giorno e di andare in giro. Quando gli chiesero perché facesse questa “stranezza” rispose: Cerco l’uomo. Non tanto un uomo onesto o puro, come intenderemmo oggi, ma l’uomo che vivesse secondo la sua vera natura non repressa dalle convenzioni sociali, dalle esteriorità, dalle regole e non schiavo della fortuna e della sorte capricciosa.
Quindi Diogene attraverso “l’impudenza” voleva educare all’”indifferenza” di fronte a qualsiasi realtà esteriore per potersi affrancare dalla schiavitù della necessità.
Un giorno Diogene si mise in viaggio verso Egina ( un’isola a 50 km da Atene) e venne catturato dai pirati che lo vendettero come schiavo a Creta ad un uomo ricco di Corinto, un certo Xeniade, che lo fece tutore dei suoi due figli e curatore della sua casa. Quando il mercante di schiavi chiese al filosofo quale ritenesse fosse il suo prezzo rispose che poteva essere venduto soltanto ad un uomo di governo o a qualcuno che cercasse un maestro. Racconta Diogene Laerzio:
“E chiedendogli l’araldo che cosa sapesse fare, Diogene rispose: «Comandare agli uomini». Fu allora che egli additò un tale di Corinto che indossava una veste pregiata di porpora, il predetto Xeniade, e disse: «Vendimi a quest’uomo: ha bisogno di un padrone”.
Diogene visse il resto della sua vita a Corinto dove continuò a vivere in una botte e ad insegnare l’essenzialità, il controllo di se stessi e l’autosufficienza e rimanendo legato alla famiglia di Xeniade. Ogni tanto teneva discorsi pubblici in occasione delle Olimpiadi o di altri Giochi che attiravano un numeroso pubblico. Forse fu proprio durante uno di questi eventi che incontrò, come abbiamo visto, Alessandro Magno. Diogene Laerzio, a differenza di Plutarco, riferisce di una reazione irritata del re di fronte al comportamento irrispettoso di Diogene per cui inviò a colui che veniva chiamato il cane un vassoio pieno di ossa. Diogene accettò il dono dicendo:
“Degno di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo”.
Diogene morì a Corinto verso l’età di 89 anni e, afferma Diogene Laerzio, nelle stesse ore in cui Alessandro moriva a Babilonia: fu sepolto con grande affetto dai figli di Xeniade e i Corinzi lo onorarono altamente, a differenza degli Ateniesi, erigendo una colonna per ricordarlo su cui era inciso un cane.
Potremmo collegare la visione della vita e della felicità di Diogene, pur nella differenza dei metodi, a quella proposta da SIDDARTHA GAUTAMA detto il BUDDHA (566- 486 a.C.) in India, a quella proposta da SOCRATE (470- 399 a.C.) ad Atene, a quella proposta da SENECA (4 a.C.- 65 d.C.) a Roma e a quella proposta da FRANCESCO D’ASSISI (1181- 1226) in Italia e il suo invito perentorio alla dignità della libertà, all’essenzialità del vivere quotidiano e all’autenticità di se stessi è più che mai valido oggi nel tempo dell’omologazione globale, del consumismo sfrenato e della dittatura digitale.
Così scrive Diogene Laerzio:
Soleva (Diogene) anche dire che nella vita assolutamente nessun successo è ottenibile senza strenuo esercizio, e che questo è capace di vincere qualunque ostacolo. È dunque necessario che quanti scelgono le fatiche che sono in armonia con la natura, invece di quelle improficue, vivano felicemente; mentre coloro che scelgono, contro natura, la dissennatezza siano infelici.
Lo stesso abito acquisito di spregiare il piacere fisico è piacevolissimo; e come quanti sono abituati ad una vita piacevole si dispiacciono se vanno incontro al suo contrario, così coloro che sono esercitati al loro contrario spregiano con gran piacere proprio i piaceri fisici. Di questo genere erano i discorsi che faceva e che dimostrava mettendoli in pratica: contraffacendo effettivamente la moneta, non concedendo alla legalità l’autorità che invece concedeva alla natura, e affermando di condurre la stessa sorta di vita che era stata di Eracle, il quale nulla anteponeva alla libertà.
Vedi: IL DOVERE DELLA MEMORIA: 19 aprile. Il filosofo educatore.
Peter Sloterdijk: «Questa è l’età dei neo-cinici»
Vedete il nostro video ” Il dovere della Memoria“: QUI