Nel 52 a.C. Cicerone difende Tito Annio Milone, accusato di aver fatto uccidere Clodio. Cicerone sostiene che Milone ha agito per legittima difesa, in occasione di un’imboscata. Come provarlo? Fatto sta che, dopo l’omicidio, Milone si è recato tranquillamente a Roma affidandosi alle autorità «senza sensi di colpa, senza paure, senza tormenti di coscienza». Cicerone usa spesso l’argomento della «coscienza a posto» come indizio per provare che l’accusato è innocente. Alla fine della carriera di avvocato, Cicerone affronta il tema dell’infallibilità del «tribunale della coscienza».

La sua lunga esperienza gli ha insegnato che un colpevole può avere l’animo in pace «avendo fatto del male e continuando a vivere bene». Queste parole sono il sottotitolo del saggio Disimpegno morale in cui Albert Bandura, il più eminente psicologo sociale vivente, raccoglie le sue vaste conoscenze e ricerche.

Le teorie filosofiche e la psicologia della moralità si sono limitate a studiare l’acquisizione dell’etica e il ragionamento morale. Bandura affronta il problema complementare del «disimpegno morale». Come riusciamo a compiere azioni cattive senza provare rimorsi o sensi di colpa per aver violalo regole morali che noi stessi condividiamo? Impariamo molto presto.

Bandura, insieme a Barbaranelli, Pastorelli e Caprara, il professore della Sapienza che ha avuto il grande merito di far conoscere in Italia il lavoro di Bandura con cui ha collaborato per anni, ha pubblicato nel 1996 una ricerca pionieristica sull’importante Journal of Personalaty and Social Psychology. Fin da piccoli impariamo a giustificare scontri e bugie con l’obbligo sociale di proteggere gli amici e preservare la rispettabilità del nostro gruppo.

I bambini si discolpano con altre due tecniche auto-assolutorie che ritroviamo presso gli adulti: il confronto vantaggioso, e cioè la giustificazione dì una malefatta con un ipotetico danno maggiore, e la costrizione dovuta a presunte circostanze avverse. Un altro fattore si salda ai precedenti: la denigrazione delle vittime che «sì sono meritate la punizione». Questo meccanismo può essere esasperato fino alla disumanizzazione dell’altro.

Amos Goeth, comandante nazista di un campo di concentramento, stava dettando una lettera per il padre malato. Alzò gli occhi. Vide un prigioniero svogliato. Estrasse la pistola egli sparò con freddezza. Un caso limite: sopraffatto dalla compassione e contemporaneamente crudele.

In astratto potrebbe sembrare incredibile che un individuo sia così incoerente con se stesso, in realtà le ricerche di psicologia del pensiero mostrano che la mente funziona per compartimenti stagni ed è molto facile tenere in un cassetto mentale l’affetto per il padre e in un altro cassetto la disumanizzazione dei prigionieri.

Il disimpegno morale si nasconde quando si passa dagli individui alle organizzazioni. Nell’industria dell’intrattenimento i contenuti violenti plasmano i telespettatori fin da piccoli e si affermano perché nessuno è veramente responsabile della loro diffusione. La catena industriale ha tanti anelli. Ciascuno fa girare un piccolo ingranaggio sentendosi «la coscienza a posto»

Nel caso tragico del commercio incontrollato di armi sempre più letali si ricorre alle tecniche dell’eufemismo e della responsabilità distribuita: è sempre colpa degli altri. In occasione della recente strage in una scuola della Florida, si è ripetuto il tremendo slogan assolutorio: «Non sono le armi a uccidere, sono le persone». Non stupiamoci se il presidente USA propone di addestrare alcuni insegnanti e armarli a difesa degli alunni.

Alcuni esponenti della Chiesa cattolica, portatrice per eccellenza di moralità, non possono far altro che ricorrere allo spostamento di responsabilità. «Non credo che spettasse a me la denuncia», dichiarò Sean Brady, capo della Chiesa in Irlanda, a fronte del comportamento di alcuni preti. Fino a quando, nel giugno 2015, Papa Francesco varò uno specifico tribunale vaticano dedicato alle sanzioni, si continuò a incolpare la «cultura permissiva» di cui la Chiesa non era responsabile, anzi nemica.

Bandura si pone infine il problema della prevenzione e spiega come hanno funzionato le iniziative per il controllo delle nascite in India e in Africa. Tramite serial televisivi di successo, basati sulla sua teoria del cambiamento, si diffondono storie che incoraggiano l’adozione di mezzi anticoncezionali. Analoghe esperienze hanno fallo prendere coscienza della gravità del virus HIV-AIDS in Tanzania. Purtroppo, se ci sono forti interessi economici in gioco, come nel caso del cambiamento climatico e del mondo della finanza, non è facile combattere il disimpegno, malgrado qualche battaglia vinta.

Ancor più difficile è sradicare la politicizzazione delle religioni, talvolta alla base del fanatismo religioso e del “martirio” dei terroristi. La strategia della disumanizzazione del nemico è antica e funziona sempre. La ritroviamo già nelle parole di Papa Urbano 11 all’avvio delle crociate quando, nel 1095,così parla dei musulmani: «Oh. che disgrazia se una razza così spregevole, degenerata e
schiava dei demoni, dovesse avere la meglio su un popolo che ha fede nel Dio Onnipotente».

Quasi un millennio dopo, in Europa, l’impegno per l’accoglienza dei musulmani è tipico delle persone profondamente religiose, come dimostrano Ribberink, Achterberge, Houtman. Il libro di Bandura è un inno all’impegno morale e un testamento civile. Più che novantenne. Bandura dedica alla memoria della moglie l’analisi delle multiformi strategie del disimpegno per aiutarci a rifiutarle tutte.

Paolo Legrenzi      Il Sole 24 ore Domenica, 4 marzo 2018

 

Il libro:   Albert Bandura, Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene,  ed. Erickson 2017, € 28

 

Vedi:  Le parole che usiamo per mettere a posto la coscienza

Responsabilità

Senza vergogna


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