Si chiama «disintermediazione», ma ora nessuno appartiene più a niente. E scatta la ribellione. «Dicono che la Nazione sia un ferrovecchio e un’altra appartenenza viene meno»
Che abbaglio colossale abbiamo preso, noi che abbiamo inneggiato incantati alla modernità che ci avrebbe fatto più simili agli altri, ai Paesi più avanzati. L’abbiamo chiamata liberazione, ed era solitudine di massa. Emancipazione dalle appartenenze, dalle ideologie, dalle corporazioni, oppure, con termine gergale più sofisticato, «disintermediazione», annullamento dei mille corpi intermedi che fanno da cuscinetto tra lo Stato e l’individuo.
Ma ora, a emancipazione avvenuta, nessuno appartiene più a niente. È solo, senza vincoli, senza luoghi in cui ritrovarsi, senza una comunità in cui vivere insieme agli altri. Solo con una tastiera, escluso da tutti, forgotten man, ma nel senso che è dimenticato da tutti, non solo dal potere lontano, quello che non si occupa più di te. E ti tratta pure con disprezzo. E non sa più come parlarti. E in quale lingua poi, visto che è una lingua che appartiene solo a pochi.
Una delle cose più stupide predicate in questi decenni è stata per esempio il disprezzo per i partiti. Mea culpa. I partito erano quello che erano, elefantiaci, costosi, mostri burocratici, arroganti, molto disinvolta con una certa intermediazione che conoscevano bene, quella con cui gonfiavano le risorse che consentivano apparati mastodontici.
Ma le sezioni dei partiti erano cose serie. Ce n’erano in ogni quartiere, in ogni rione: tre, cinque, otto sezioni di partito, non molto distanti. Qualche volta volavano cazzotti, ma solo qualche volta. In quelle sezioni ci si riuniva, si andava la sera dopo il lavoro, si discuteva, ci si confrontava, si litigava, si giocava a carte e a biliardino. La sezione di partito era un corpo intermedio pieno di vita, un punto di riferimento, un luogo caro a cui appartenere.
Periferia abbandonata
Oggi non ce n’è più neanche una (o forse qualcuna, vuota, riempita solo a ridosso di scadenze elettorali, non con militanti ma con subalterni malpagati che preparano i volantini). Non ci sono giornali di partito in cui riconoscersi all’edicola. Non ci sono più tante edicole. Se hai un problema con il lavoro, i sindacati, altro corpo intermedio potentissimo, sempre più burocratico e autoriferito oramai, non ti danno più una mano, per il semplice fatto che non esistono più, svaniti nei loro bunker.
Non esiste più un cinema di quartiere. Non esiste più un teatro di quartiere, non esiste più un luogo dove andare a sentire qualche concerto nelle periferie abbandonate: ma ormai è tutto periferia abbandonata. E non ci si affeziona alle periferie abbandonate.
Sei solo, asserragliato in casa, non vai più al cinema, non vai più «al partito», non vai più «al sindacato», hai paura anche, ma in tv dicono che statisticamente non dovresti più avere paura. E allora non voti più, e se vai a votare voti quelli che ti sembrano l’unica comunità rimasta, e che almeno riesce a dare una lezione a quelli che contano ma non contano più nulla per te.
Arcaiche «corporazioni»
David Riesman, già negli anni Cinquanta, la chiamava «folla solitaria». Ecco, la «folla solitaria» è arrivata, trascinata dalla «disintermediazione». Si svuotano le parrocchie, anche. E i campetti dove i ragazzi giocavano a pallone: «alla viva il parroco» si diceva appunto. Come diceva Paolo Conte: «Neanche un prete per chiacchierar».
Le organizzazioni di mestiere sono state liquidate come arcaiche «corporazioni»: al loro posto, il nulla. Le banche popolari: erano un’istituzione sociale, fondata sulla fiducia che si deve alla banca dei padri, dei nonni, dei bisnonni, e adesso cosa sono diventate? E le cooperative, che hanno di diverso oramai da una gelida organizzazione industriale dove il sentimento di appartenenza è semplicemente sparito? E i consorzi, le reti che ti tenevano legati a un territorio, a un sapere condiviso, a un mestiere, a una competenza? Tutti svanito, tutto disintermediato: la «folla solitaria».
L’ingresso nella tumultuosa post-modernità
Le statistiche, quelle davvero interessanti, dicono che i ceti disagiati, mandano sempre meno i loro figli all’Università: e quando il merito viene strapazzato, resta solo il privilegio, oppure la raccomandazione, l’ultimo legame che unisce le persone alla politica, detto anche «voto di scambio».
È stata una liberazione, ma che ne è delle strade dei quartieri periferici in cui non c’è più un negozio? Una folla solitaria nelle strade solitarie. C’è qualcosa di sbagliato nel modo con cui abbiamo concettualizzato l’ingresso nella tumultuosa post-modernità.
La famiglia in cui sei un po’ meno solo? Una gabbia. Anche la Nazione dicono che sia un ferrovecchio e un altro luogo mentale dell’appartenenza viene meno, salvo sfogarsi quando la Nazionale vince i Mondiali. E allora scatta la ribellione cieca. E sopra ci si lamenta della rozzezza, come se ai sanculotti occorresse fare l’esame di eleganza.
Pierluigi Battista Il Corriere 8 marzo 2018
Vedi: Quando la solitudine genera tiranni
La Sinistra che ha perso anche la cultura