Uno sconosciuto mi scrive che «la discrezionalità del presidente della Repubblica nella scelta dei ministri è nulla. Punto e basta» (mi ricorda un amico credente che chiudeva le discussioni attorno a Dio dicendo «è ontologico». Cioè: punto e basta). Ma non è soltanto il primo che passa, lo dicono in molti, lo dice anche Giorgia Meloni – focosa custode della Costituzione contro la riforma di Matteo Renzi – allibita dalle «ingerenze» di Sergio Mattarella. Una prerogativa costituzionale diventa ingerenza: punto e basta. E del resto – come scrive Giovanni Orsina nel suo imperdibile «La democrazia del narcisismo» – la democrazia fu il trasferimento della promessa di felicità dall’aldilà all’aldiquà.
Per questo si tagliò la testa a Carlo I e poi a Luigi XVI, per stabilire che la loro autorità non era di origine divina, che ogni uomo non si sarebbe più accontentato di ubbidire al re e a Dio in attesa di una felicità come ricompensa ultraterrena, ma che ogni uomo sarebbe diventato titolare del diritto di essere felice in vita. Questo ha imposto alle democrazie di rilanciare all’infinito, e ormai come giocatori di poker impazziti, con promesse di felicità sempre più mirabolanti e irraggiungibili, ancora più chimeriche della felicità celeste.
E di conseguenza, come la crisi della religione porta ognuno a costruirsi un Dio su misura, così la crisi della politica porta ognuno a costruirsi una democrazia su misura, in obbedienza all’unico folle imperativo: ho il diritto di essere felice. Punto e basta.
Mattia Feltri La Stampa 26.5.18
Il libro: Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo, Ed. Marsilio 2018, € 17,00
Se il populismo è sintomo e non malattia, da dove deriva il nostro rancore? Da Tocqueville a Tangentopoli, dal Sessantotto ai giorni nostri, la storia del lento divorzio tra cittadino e politica.
«La politica non controlla più il futuro. Ha sempre meno senso, potere, respiro. La sua funzione principale, ormai, è fare da capro espiatorio per il risentimento universale. Solo se riconosciamo che questa crisi ha le sue radici nel cuore della democrazia, e sta montando da almeno un secolo, potremo comprenderla a fondo»
Fino a pochi anni fa l’ascesa del populismo veniva interpretata quasi esclusivamente alla luce della crisi finanziaria. Ma se l’economia è tornata a crescere e il peggio sembra passato, perché i cosiddetti «partiti del risentimento» continuano a raccogliere consensi? Siamo forse di fronte all’epilogo di una storia che ha origini più profonde? Giovanni Orsina cerca queste origini all’interno della democrazia, ragionando sul conflitto tra politica e cittadini che ha segnato gli ultimi cento anni.
Se alcune fasi di quel rapporto – il connubio inedito tra massa e potere a partire dagli anni trenta, la cesura libertaria del Sessantotto – sono comuni a tutto l’Occidente, Orsina individua la particolarità del caso italiano nella stagione di Tangentopoli. Il sacrificio simbolico di un’intera classe di governo conclude la repubblica dei partiti e allo stesso tempo inaugura un venticinquennio di antipolitica. Con la quale tutti hanno dovuto fare i conti – Berlusconi, Renzi, Grillo, i postcomunisti, la Lega –, ma della quale nessuno è riuscito a correggere o contenere le conseguenze nefaste. (da IBS)
Vedi: Pensiero Urgente n.253) "La soluzione è dentro di noi"
Non c’è economia senza diritti
La retorica dei diritti disumani
Il paradosso della Costituzione