I leader dell’attuale governo italiano sono orgogliosi di definirsi “populisti”. Non sono gli unici a rivendicare quel titolo. Il populismo è in ascesa ovunque. Nel 2017, il Cambridge Dictionary lo definì la parola dell’anno. Eppure non c’è un consenso sulle cause che lo hanno generato e diffuso.

Per alcuni, il populismo ha dato voce all’ansia economica prodotta dal processo di globalizzazione in settori della popolazione penalizzati da quest’ultima. Per altri, è stato la reazione alla messa in discussione delle identità culturali tradizionali da parte delle innovazioni indotte dal processo di globalizzazione. Per altri ancora, è nato dalla frustrazione di una globalizzazione che ha reso i governi nazionali responsabili verso i mercati internazionali piuttosto che verso i loro elettorati domestici.

Il populismo si è diffuso per ragioni diverse in Paesi diversi, anche per via della indefinitezza della sua ideologia. Tant’è che ha dovuto allearsi con correnti di pensiero più solide (come il nazionalismo) per affermarsi (dando quindi vita al sovranismo). Tuttavia, nonostante la sua debolezza ideologica, il populismo rappresenta un movimento d’opinione politicamente insidioso, in quanto minaccia l’infrastruttura della democrazia liberale. Vediamo perché (considerando l’esperienza italiana).

In primo luogo, il populismo è un movimento contro élite ritenute corrotte in nome di un popolo (singolare) ritenuto incorruttibile.

Il concetto di élite è però sociologicamente variabile. Ne fanno parte esponenti della maggioranza governativa precedente che si ritiene abbiano profittato della loro posizione (la casta), in combutta con i rappresentanti della grande finanza (le banche mafiose) e (stando alle dichiarazioni dell’altro ieri di Matteo Salvini e Luigi Di Maio) con gli esponenti delle grandi imprese e dei sindacati. La necessaria critica al comportamento di singoli individui si è trasformata nella critica ad un “sistema di potere” vergognoso (aggettivo caratterizzante, quest’ultimo, il linguaggio di molti populisti governativi).

La retorica anti-elitaria non poteva risparmiare gli intellettuali, in particolare quando utilizzano criticamente le loro competenze. Basti pensare all’attacco di alcuni giorni fa, da parte di Beppe Grillo, a Sabino Cassese (un gius-amministrativista di fama internazionale), definito un “istruito stupido” perché aveva argomentato (in un articolo sul Corriere della Sera) che non si può governare senza disporre di competenze politiche. Come ha ricordato Tom Nichols (in un volume da poco pubblicato da LUISS University Press), per i populisti anche la competenza politica (e non solo tecnica) costituisce un ostacolo all’affermazione del potere del popolo.

In secondo luogo, il populismo è un movimento insofferente verso il pluralismo istituzionale (oltre che sociale). I bilanciamenti costituzionali sono considerati, da esso, inaccettabili. Luigi Di Maio non ebbe scrupoli a chiedere l’impeachment del presidente della Repubblica, quando quest’ultimo oppose il suo veto alla nomina di un ministro dell’Economia ritenuto inidoneo. Sempre Luigi Di Maio ha minacciato sanzioni a funzionari pubblici che si erano espressi a favore dell’approvazione del Trattato commerciale tra l’Unione europea (UE) e il Canada. Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno attaccato pubblicamente il presidente dell’INPS Tito Boeri, invitandolo a dimettersi, perché aveva reso pubbliche stime econometriche da loro non gradite. La Presidenza del Consiglio ha avviato un’indagine amministrativa per valutare l’appropriatezza della nomina (del gennaio scorso) di Mario Nava a presidente della Consob, nomina passata già al vaglio della Corte dei Conti e della Presidenza della Repubblica. Le stesse società a partecipazione pubblica (come la RAI o le Ferrovie dello Stato) dovrebbero conformarsi ai desideri della nuova maggioranza.

In terzo luogo, il populismo è un movimento insofferente verso la democrazia rappresentativa e le sue interdipendenze sovranazionali. Per il ministro per i rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, occorre superare l’istituzione che sarebbe invece suo dovere difendere, sostituendola con la democrazia diretta e referendaria. Per il leader finanziario dei Cinque Stelle, Davide Casaleggio, il Parlamento ha ormai i giorni contati. Per il garante dei Cinque Stelle, Beppe Grillo, è addirittura la democrazia ad avere i giorni contati, in quanto le elezioni verranno sostituite dal sorteggio per scegliere le autorità governative (aggiungendo, in assenza di qualsiasi evidenza, che ciò avviene già in due Province del Canada).

L’auto-governo del popolo è naturalmente minacciato dai regimi sovranazionali. Così, un gruppo di senatori della maggioranza ha presentato, l’8 maggio scorso, un disegno di legge costituzionale finalizzato a modificare gli articoli della costituzione (97, 117, 119) che riconoscono (per alcune materie) la preminenza del diritto europeo su quello nazionale.

Come si vede, il populismo è un movimento-contro. È contro le élite, è contro il pluralismo, è contro la rappresentanza. Il suo negativismo è utile in campagna elettorale, molto di meno nell’azione di governo. Sia chiaro, i partiti che hanno vinto le elezioni (i Cinque Stelle e la Lega) hanno il diritto di agire come credono, ma (sia altrettanto chiaro) non possono farlo minacciando l’infrastruttura della democrazia liberale.

Per questo motivo, è necessario rafforzare i guardrails affinché la democrazia non esca di strada (per dirla con un libro di Levitsky e Ziblatt che verrà presto pubblicato da Laterza). Vanno difesi i guardrails istituzionali (come le autorità indipendenti), vanno creati i guardrails politici (come il governo ombra dell’opposizione), vanno rafforzati i guardrails del sistema dei media e del mondo intellettuale (per troppo tempo intossicati dalle tossine populiste).

Senza il popolo, la democrazia sarebbe un regime tecnocratico. Senza le élite, sarebbe un regime ingovernabile. Nel contesto del pluralismo (sociale, istituzionale e sovranazionale), la democrazia ha bisogno di entrambi. Per neutralizzare le tentazioni populiste, è necessario alzare il livello del dibattito civile, ma anche la qualità delle élite pubbliche e private. Cittadini ben informati ed élite competenti e rigorose costituiscono il principale antidoto al populismo.

Sergio Fabbrini      Il Sole 24 ore   6 luglio 2018

 

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